Parigi celebra la grande pittrice italiana Artemisia Gentileschi

Sono circa 40 i dipinti che il Museo Jacquemart-André ha selezionato per portare al pubblico francese il meglio di Artemisia Gentileschi, per la prima monografica parigina della pittrice

È una delle mostre più attese della stagione e, a giudicare dall’affollamento dei primi giorni di apertura, Artemisia Eroina dell’arte al Museo Jacquemart-André ha conquistato i parigini (e non solo). Quella allestita nel palazzo di boulevard Haussmann che appartenne a Nélie Jacquemart e Édouard André, due raffinati collezionisti della fine del XIX Secolo, è la prima esposizione monografica dedicata ad Artemisia Gentileschi (Roma, 1593 – Napoli, 1653), una delle protagoniste della pittura europea nella prima metà del XVII Secolo, nella capitale francese.

Artemisia Gentileschi a Parigi, tra capolavori e opere di recente attribuzione

Una quarantina di quadri – di cui ventisette (su un corpus di circa un centinaio di opere attribuite) in gran parte firmati e altri di recente attribuzione, affiancati da una dozzina di tele di suoi contemporanei, a partire da quelli del padre, Orazio Gentileschi (Pisa, 1563 – Londra 1639), presso la cui bottega la pittrice nata a Roma nel 1593 si formò – servono a delineare i grandi temi con cui si confronterà Artemisia, artista assai reputata in vita e con committenze di altissimo livello in tutta Europa. Le curatrici italiane Patrizia Cavazzini (membro del comitato scientifico della Galleria Borghese dove, nel 2022, ha curato l’esposizione Meraviglia senza tempo) e Maria Cristina Terzaghi (professoressa di Storia dell’arte moderna all’Università di Roma Tre e membro del comitato scientifico del Museo di Capodimonte a Napoli), affiancate da Pierre Curie (conservatore del Museo Jacquemart-André) hanno scelto di articolare il percorso della mostra in otto sezioni. La selezione non è cronologica, ma tematica e inevitabilmente condizionata da alcuni accadimenti drammatici nella vita della pittrice, a partire dallo stupro subito nel 1611 da parte di Agostino Tassi, un pittore che frequentava la bottega del padre. Evento che contribuì a indirizzare l’artista sulla via di un’indipendenza inusuale per una donna del Seicento e a favorirne anche una riscoperta in chiave protofemminista. Si pensi al romanzo “a specchio” che le dedicò Anna Banti (Artemisia, Sansoni, 1947) che, non dimentichiamolo, era moglie di Roberto Longhi, già autore nel 1916 di un saggio sui Gentileschi, padre e figlia.

Il percorso dell’esposizione parigina su Artemisia Gentileschi

La mostra si apre con una sezione intitolata Il successo europeo che focalizza l’attenzione sull’apprezzamento del lavoro di Artemisia e del padre Orazio presso diverse corti europee per le quali realizzano opere di grandi dimensioni. Nel 1638, la pittrice raggiunge il padre a Londra, che qui morirà un anno più tardi, per aiutarlo a completare le committenze del re d’Inghilterra. Nel corso della sua carriera, Artemisia aveva già lavorato per altri sovrani europei, la famiglia Medici a Firenze, il vice-re di Spagna a Napoli e attraverso l’intercessione di quest’ultimo per la corte spagnola. Anche nella seconda sala Padre e figlia: influenze ed emancipazione si continua l’esplorazione dei loro rapporti, ritornando agli anni della formazione della giovane artista nell’atelier familiare. Emblematica di questo periodo è l’opera Susanna e i vecchioni (1610), (Pommersfelden, Schloss Weissenstein), la prima firmata da Artemisia e realizzata sotto la supervisione di Orazio. Di quest’ultimo, a suggerire il confronto stilistico, nella stessa sala viene esposto il quadro Davide e Golia (1605-1607). Influenza paterna chiaramente riscontabile anche in Giuditta e la sua serva (verso il 1615) e ne La Vergine dell’Annunciazione recentemente attribuita alla giovane Artemisia, dopo che in precedenza la si riteneva opera del padre.

L’influenza di Caravaggio e gli anni trascorsi a Firenze

La mostra parigina non poteva dimenticare l’influenza di Caravaggio sulle opere dei Gentileschi. La corona di spine (1605) del maestro lombardo è messa a confronto con Davide e Golia (verso il 1610-1620) e con la Danae (verso il 1612), prestito eccezionale del museo di Saint-Louis.

Gli anni trascorsi a Firenze, dove l’artista si rifugia dopo lo stupro e il successivo processo, sono decisivi nella formazione e nella carriera di Artemisia. “Negli anni fiorentini nasce una nuova personalità: non più l’illetterata dei primi anni romani, ma una donna colta e raffinata, che conosce la musica, studia gli artisti toscani, frequenta scienziati e letterati che gravitano attorno alla corte dei Medici” spiega Maria Cristina Terzaghi. Rappresentativa di questo periodo è L’Allegoria dell’Inclinazione (1615-1616) proveniente da Casa Buonarroti, opera recentemente restaurata e prestata per la prima volta fuori dall’Italia.

Il ritorno a Roma e il rapporto con gli altri pittori caravaggeschi

La sala successiva punta a far conoscere un aspetto forse meno conosciuto della carriera di Artemisia, quello di ritrattista (e autoritrattista). La Dama con il ventaglio (forse un autoritratto, verso 1620-1625) e il Ritratto di un cavaliere dell’ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro (1622) dal Palazzo d’Accursio di Bologna sono un esempio di queste ricche committenze. Ma a colpire per la grazia dell’esecuzione è soprattutto l’autoritratto come Suonatrice di liuto (1614-1615) dal Wadsworth Atheneum Museum of Art (Hartford). Come accennato, l’esposizione parigina propone anche opere di altri artisti con cui la pittrice ebbe rapporti. Dopo il ritorno a Roma nel 1620, Artemisia frequenta molti artisti “caravaggeschi”, fra cui alcuni francesi come Simon Vouet (in mostra c’è un suo bel ritratto di Artemisia) e Nicolas Régnier e i nordici Gerrit van Honthorst e Leonaert Bramer. Quest’ultimo nel 1620 realizza una serie di disegni in cui ritrae i suoi amici artisti, fra i quali compare anche Artemisia vestita da uomo e con i baffi. Un riconoscimento dello status raggiunto da una giovane donna, che dal 1622 viveva separata dal marito, Pierantonio Stiattesi, e diventa poco a poco padrona del proprio destino, a capo della famiglia che comprende la figlia e due domestiche e della sua bottega. “Artemisia non godeva della libertà di movimento dei suoi colleghi maschi nella Roma del Seicento”, spiega Patrizia Cavazzini “ma aveva potuto ammirare le opere di Caravaggio e recandosi nelle chiese a pregare poteva confrontarsi con le opere di altri artisti”.

Eroine ed eroi della mitologia e delle storie sacre

L’esposizione propone una copia del XVII secolo proveniente dalla Pinacoteca Nazionale di Bologna di una delle sue opere più conosciuta, Giuditta e Oloferne (l’originale è al Museo di Capodimonte, a Napoli). “Un tema, quella della decapitazione, che la pittrice mutua da Caravaggio e che diventerà quasi un leit motiv nel corso della sua carriera: la donna che deve difendersi da un uomo più forte fisicamente” precisa Patrizia Cavazzini. Molte interpretazioni – soprattutto quelle in chiave femminista – hanno voluto leggere in questi temi una sorta di rivalsa per lo stupro subito in gioventù, ma Maria Cristina Terzaghi mette in guardia da certe letture in chiave psicologica: “Non credo che quell’episodio le abbia condizionato la vita, questa è un’interpretazione dell’immaginario moderno, in realtà è un’artista che, conscia della sua condizione femminile e delle difficoltà ad essere accettata, ha comunque saputo raggiungere il successo”. Un tema della lotta fra uomo e donna, con le donne trionfanti, ritorna anche nelle sale successive della mostra, come nell’impressionate, per realismo e violenza, Giaele e Sisara (1620) proveniente dal Museo di Belle Arti di Budapest. Da ammirare anche un altro capolavoro, di carattere più intimista, come la splendida Maddalena penitente (verso il 1625), opera recentemente restaurata proveniente dalla cattedrale di Siviglia.

Artemisia e le sue sorelle pittrici del Seicento

Dal canto suo, il co-curatore Pierre Curie ha voluto sottolineare che “Artemisia non è un caso isolato di pittora affermata, nella storia dell’arte italiana: basti pensare a Diana De Rosa a Napoli, Lavinia Fontana a Roma, e poi ancora Sofonisba Anguissola e Maddalena Caccia”. E, nel catalogo della mostra, Curie allarga lo sguardo all’Europa citando le pittrici francesi Louise Moillon, Catherine Girardon e Élisabeth-Sophie Chéron, assieme ad altri esempi in Portogallo, Inghilterra, Olanda e Fiandre. La mostra parigina è prodotta da Culturespace, impresa leader nella gestione di monumenti e musei francesi fra cui lo Jacquemart-André affidatogli dall’Institut de France, proprietario del museo che accoglie circa 400mila visitatori ogni anno.

Dario Bragaglia

Artemisia. Heroine of Art
Museo Jacquemart-André
Parigi, fino al 3 agosto 2025

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Dario Bragaglia

Dario Bragaglia

Dario Bragaglia si è laureato con Gianni Rondolino in Storia e critica del cinema con una tesi sul rapporto fra Dashiell Hammett e Raymond Chandler e gli studios hollywoodiani. Dal 2000 al 2020 è stato Responsabile delle acquisizioni documentarie e…

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