Il museo di Palazzo Maffei a Verona compie 5 anni. Intervista alla direttrice Vanessa Carlon
650 opere in collezione spaziando su 4000 anni di storia dell’arte, un team quasi completamente femminile, un ricco programma di eventi e di progetti mirati sulle nuove generazioni. Un bilancio e progetti futuri per il museo veronese

Palazzo Maffei a Verona celebra cinque anni di vita. Anni in cui il progetto di museo voluto dall’imprenditore Luigi Carlon per la sua città, Verona, si è sviluppato in maniera sempre più strutturata. Con nuove acquisizioni, che hanno arricchito il corpus già molto ampio di opere in dotazione (oltre 650 ormai) spaziando su 4000 anni di storia antica e contemporanea, tra pittura, scultura, design, ceramica e Intelligenza Artificiale, e geograficamente recuperando i capolavori della pittura Veronese, valorizzando i maestri delle avanguardie storiche internazionali, o opere iconiche come La grande onda di Kanagawa.

I progetti di Palazzo Maffei a Verona
Ma le magnifiche ossessioni della famiglia Carlon non si fermano all’esposizione della collezione, offerta al pubblico grazie al progetto di allestimento museografico realizzato dalla storica dell’arte e curatrice Gabriella Belli e resa accessibile grazie a un ricco programma di didattica, progetti, e addirittura audioguide pensate sia per adulti che per bambini. Sono molte, infatti, le azioni e le collaborazioni che la Fondazione, in un progetto totalmente a iniziativa privata, mette in campo per rispondere alle esigenze del pubblico e della città, con un calendario di iniziative densissimo. Dalla danza al museo, in collaborazione con il Teatro Stabile di Verona e la Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano, al progetto sulla relazione tra Musei e salute (Progetto Minerva), in collaborazione con l’OMS-Università di Verona. Fino ai numerosi programmi a favore delle scuole di ogni ordine e grado. Ne abbiamo parlato con Vanessa Carlon, direttrice e Vicepresidente di Palazzo Maffei in questa intervista.

Intervista a Vanessa Carlon
Cinque anni fa nasceva Palazzo Maffei. Quali sono i presupposti e gli obiettivi con i quali avete cominciato questa avventura?
L’idea è nata in realtà 25 anni fa. Mio padre iniziava a pensare al futuro della collezione e il suo desiderio era quello di mantenerla unita, condividendo con mia madre e noi due sorelle il progetto di renderla accessibile al pubblico. Abbiamo quindi cominciato a cercare un luogo che diventasse la casa della collezione e dopo aver valutato diverse possibilità abbiamo acquisito Palazzo Maffei, luogo centrale, denso di storia e simbolo della città, che è risultato essere la casa ideale per il progetto che avevamo in mente. Abbiamo quindi spostato in tre mattine di novembre del 2019, all’alba, la collezione da casa dei miei genitori a qui.

È stato indolore?
All’inizio questa operazione è stata un po’ uno strappo per la mia famiglia. Ma poi quando abbiamo visto le opere prendere il respiro che hanno oggi abbiamo capito il significato del progetto. L’allestimento, grazie al progetto museografico di Gabriella Belli, ci ha immediatamente permesso di coglierne il senso. Ogni sala aveva un filo conduttore leggibile e riconoscibile, anche grazie alle infografiche interne, con didascalie lunghe e articolate, per una divulgazione più coerente, cosa che mio padre ha molto a cuore.
Quanto è durato il lavoro per riportare alla luce Palazzo Maffei?
È stato in realtà molto breve perché da settembre 2018 a settembre 2019 abbiamo restaurato il primo piano.
Poi avete aperto nel 2020 e…
Otto giorni dopo c’è stato il lockdown. Ma abbiamo vissuto questa interruzione in maniera positiva, lasciando sedimentare il grande lavoro di archiviazione, allestimento e restauro dell’anno precedente e dedicandoci a quanto non avevamo ancora fatto.
Ad esempio?
Avviare i social e progetti online con studenti e i docenti, che poi sono diventati la base di molti dei nostri laboratori didattici, che ancora ci ispirano. Inoltre, quando le imprese di costruzioni hanno ricominciato a lavorare (e noi eravamo ancora tutti chiusi) abbiamo potuto concentrarci sulla riapertura del secondo piano del Palazzo. Abbiamo creato ad esempio una sala conferenze che noi chiamiamo “Teatrino”, che ospita incontri con artisti e storici dell’arte, presentazioni di libri, performance, concerti in collaborazione con Fondazione Arena di Verona, per offrire alla città una programmazione più ampia e tenere vivo il museo.
Come è il pubblico di Palazzo Maffei?
Verona è una città turistica, anche grazie alla vicinanza del Lago di Garda. Riceviamo quindi molti turisti, soprattutto italiani, anche se negli ultimi anni abbiamo acquisito una significativa percentuale di persone provenienti dall’estero. Poi, grazie alla programmazione, alla didattica, ai molti progetti che facciamo, lavoriamo per offrire alla comunità, alla città di Verona, un luogo che sia la loro casa e dove tornare.

Con i giovani lavorate moltissimo.
Sì, è il nostro fiore all’occhiello. Anche grazie al sostegno di Gianluca Rana del Pastificio Rana sono oltre 20.000 (in tre anni) i bambini e i ragazzi provenienti da scuole di ogni ordine e grado che visitano il museo, usufruendo anche di visite guidate e laboratori, gratuitamente. Lavorare su nuovi pubblici e accendere in loro una miccia di passione è la mission del museo.
Come è stato accolto il progetto dalla città?
A mio parere molto bene. Ci sembra che la relazione con il Comune, con Fondazione Arena di Verona, con la Fiera, funzioni egregiamente. Collaboriamo con l’Università e l’Accademia di Belle Arti e con le scuole superiori. Ad esempio, con il Liceo Scipione Maffei che ha anche sviluppato un progetto di podcast sull’arte realizzati dagli studenti intitolato Maffei alla seconda, in virtù della consonanza tra i nomi tra le due istituzioni.
Qual è il progetto di cui vai più orgogliosa in questi ultimi cinque anni?
Siamo felici dei risultati ottenuti e di essere diventati un punto di riferimento culturale per la città. Il risultato però di cui siamo più fieri è la collaborazione con i giovani, che per noi soprattutto in questo momento storico hanno bisogno di fare esperienze, magari insieme ai loro amici o alla classe. Quando vengo al museo al sabato o alla domenica e vedo gruppi di ragazzi che visitano la collezione in maniera autonoma sono veramente soddisfatta. Poi mi piace molto collaborare con le nuove generazioni: il nostro team è quasi totalmente femminile ed è composto principalmente da giovani. La nostra più “anziana” collaboratrice ha 32 anni, mentre la più giovane ne ha 25.
Il team di Palazzo Maffei è composto da una decina di persone. Come sono state selezionate?
Tramite i nostri progetti di formazione realizzati con l’Università e l’Accademia, che in cinque anni hanno portato ben 100 ragazzi, retribuiti da Palazzo Maffei, a collaborare con noi. Abbiamo valutato e apprezzato le qualità professionali di alcune persone che hanno lavorato insieme a noi attraverso questi progetti e le abbiamo assunte a tempo indeterminato.
Se dovessi definire in poche parole la collezione che cosa diresti?
È una collezione che riflette la personalità del collezionista, che è una persona curiosa, molto legata all’innovazione, che è stata anche la sua fortuna imprenditoriale. Nella collezione ha voluto approfondire determinati nuclei, come la pittura antica veronese o legati ai maestri che nel loro Grand Tour hanno voluto visitare Verona: Veronese, Giolfino, il Maestro di Sant’Anastasia, ma anche Van Wittel e Boldini che ci hanno lasciato delle vedute bellissime della città.









E guardando a tempi più recenti?
C’è un nucleo importante sul Novecento, che è la grande passione di mio padre, con un amore forte per il Futurismo proprio per la carica innovativa che portava con sé, ma anche per la Metafisica e il Surrealismo o l’arte Concettuale. Qui gli artisti sono davvero tanti: Balla, Boccioni, Severini e poi Picasso, Kandinsky, Wharol, Magritte, de Chirico, Duchamp; uno spaccato importante delle avanguardie anche italiane con Manzoni, Burri, Fontana fino a De Dominicis, Pistoletto o Cattelan. Gli piace molto lavorare con gli artisti contemporanei – Nannucci e Sassolino – e soprattutto con i giovani artisti (da ottobre in collezione c’è un’opera in divenire realizzata con l’Intelligenza Artificiale di Manuel Gardina, a cura di Serena Tabacchi).
Come avvengono le nuove acquisizioni?
Per volontà del collezionista che approfondisce e sa già in che direzione andrà la collezione. Poi ci sono anche sollecitazioni esterne che naturalmente vengono valutate. Ma tendenzialmente la linea è chiara e viene condivisa e discussa con la famiglia e con il Comitato Scientifico. Ecco le ceramiche di Picasso accanto alle ceramiche rinascimentali o Monsieur Chéron di Modigliani inserito in quella che abbiamo chiamato “Sala dei traghettatori” che ci prepara al Novecento; oppure il grande tondo di Vedova nell’ambito dell’astrazione italiana o l’installazione site specific realizzata da Claire Fontaine per dialogare sul concetto di bellezza con la scultura ottocentesca della Bagnante di Puttinati posta nell’atrio del Museo.
Cinque anni sono trascorsi. Come vedi il futuro di Palazzo Maffei?
Nel potenziare sempre più la collaborazione con i giovani artisti. Credo che il nostro futuro vada necessariamente in questa direzione.
Santa Nastro
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