Mimmo Jodice a fianco di Giorgio de Chirico. La mostra a Napoli
Le visioni di Mimmo Jodice intrecciano il silenzio della sua Napoli con le visioni metafisiche di Giorgio de Chirico. Fotografie in bianco e nero, dense di assenze e apparizioni, dialogano con archi, statue e vuoti senza tempo,

Un viaggio interiore, dove la città si fa sogno e l’immagine diventa poesia. La mostra Mimmo Jodice. Napoli Metafisica si inserisce nel programma Napoli Contemporanea 2025, la vasta iniziativa culturale voluta dal sindaco Gaetano Manfredi per restituire centralità all’arte nella vita della città. A curarla è Vincenzo Trione, consigliere del sindaco per l’arte contemporanea e l’attività museale, nonché interprete sensibile dell’opera jodiciana. La mostra si configura come tappa significativa del progetto di valorizzazione del Castel Nuovo, aprendo un varco immaginifico in cui lo spazio storico diviene soglia e specchio per riflessioni sull’immateriale, sull’invisibile che abita l’apparenza.
Le opere di Mimmo Jodice e di Giorgio de Chirico
Un allestimento meditativo, quasi liturgico, accompagna il visitatore in un viaggio che si dirama tra la Cappella Palatina, la Cappella delle Anime del Purgatorio e l’Armeria. È qui che le fotografie in bianco e nero di Mimmo Jodice (Napoli, 1934) — testimoni di un tempo sospeso, di una Napoli archetipica e metafisica — incontrano e dialogano con le opere di Giorgio de Chirico, maestro nel raccontare il mondo attraverso il prisma del mistero, dell’eco, dell’apparizione. Nella Cappella Palatina, cuore pulsante dell’esposizione, le fotografie si articolano secondo un percorso scandito da categorie che si fanno epifanie dell’invisibile: Da lontano, Archi, Colonne, Statue, Monumenti, Ombre, Apparizioni, Vuoti. Ogni sezione è una soglia, un varco verso un altrove in cui l’occhio si perde e si ritrova. Il dialogo che si instaura con l’opera di de Chirico è chiastico: Jodice guarda il mondo che de Chirico ha immaginato, e in quello sguardo ritrova il proprio. Le sue immagini non raccontano, non spiegano — suggeriscono. Come visioni emerse da una memoria collettiva, sedimentata tra pietre, silenzi, orizzonti abbandonati.






La mostra di Mimmo Jodice al Castel Nuovo di Napoli
La Cappella delle Anime del Purgatorio accoglie, o forse trattiene, il percorso Da Lontano e Vuoti, evocando una dimensione altra. L’allestimento, marcato da una balaustra che separa lo spazio dell’opera da quello del visitatore, introduce una distanza che è tanto fisica quanto metafisica. Le luci soffuse accarezzano le superfici, accendendo ombre più che illuminare, e l’atmosfera sembra sospendere il tempo, come in un respiro trattenuto, in un eterno limbo. Qui, la fotografia si fa preghiera muta, soglia tra il visibile e il celato. Accanto, l’Armeria custodisce un tributo affettuoso e potente: il video di Mario Martone, tratto dal documentario Un ritratto in movimento. Omaggio a Mimmo Jodice (2023), introduce lo spettatore alla figura dell’uomo oltre l’artista. Ad aprire il video, l’inedita poesia di Valerio Magrelli Per Mimmo Jodice — una dedica in versi che completa la mostra con parole che, come le fotografie del maestro partenopeo, sanno guardare l’invisibile.
La Napoli Metafisica di Mimmo Jodice
Ciò che si dispiega è il ritratto di un artista spirituale, per cui la fotografia non è strumento tecnico, ma stato d’animo, gesto poetico, modo di stare nel mondo. La Napoli che ritrae si fa icona spogliata della cronaca, per indossare abiti che nemmeno essa sapeva di possedere. Una città muta e sonora al tempo stesso, dove il silenzio è voce e la presenza è fatta di assenze. In queste immagini non ci sono persone, ma c’è l’umanità tutta. Sono contenitori di memorie perdute e possibilità future. In esse si sente il battito della città, anche quando essa si nasconde. Sono fotografie che aspettano, che respirano, che sussurrano. E in questo sussurro risuona la voce sommessa di Mimmo Jodice, custode di un vedere che non è mai solo guardare, ma sentire. Una mostra che non si visita: si attraversa, come un sogno limpido, o un ricordo che non ci appartiene ma che ci riguarda.
Diana Cava
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