Cola dell’Amatrice. Un “maestro raro” colpito dal terremoto
Artista ma anche architetto, come doveva essere l’uomo di lettere rinascimentale. Questo era Cola dell’Amatrice, “montanaro” che trascorse gran parte della sua vita nelle terre che ora sono state devastate dal terremoto. Vi raccontiamo chi era e cosa ha fatto nella prima metà del Cinquecento.
UN PITTORE-ARCHITETTO
Fra le immagini più emblematiche del sisma che ha devastato una porzione dell’Italia centrale rientra senz’altro la foto della statua di Cola dell’Amatrice rovinata a terra. La bella scultura in bronzo, opera di Turillo Sindoni, fu eretta dalla cittadina laziale al suo figlio più noto nel 1915, negli anni in cui l’ancor giovane Stato unitario andava costruendo la propria identità attorno agli eroi dell’arte e della letteratura e in cui le piazze di ogni città e paese della Penisola si riempivano di monumenti alle glorie locali.
Il Rinascimento occupò un posto privilegiato in questo processo di riscoperta ed esaltazione delle radici, e della stagione rinascimentale Nicola Filotesio detto Cola dell’Amatrice (1480 o 1489 – post 1547) fu un esemplare rappresentante, come sottolinea il bel basamento su cui la statua si ergeva (e, si spera, tornerà presto a ergersi): tra i mattoni che lo rivestono, infatti, sono incastrati frammenti (pseudo)antichi, allusivi a quell’appassionato studio dell’arte classica che fu alla base della produzione artistica tra Quattro e Cinquecento.
Un Antico che Cola ebbe modo di studiare direttamente, e di cui restano ricordi evidenti specialmente nelle architetture da lui progettate (eh sì, perché questo uomo del Rinascimento fu prima di tutto pittore, ma anche architetto): è il caso della facciata del Duomo di Ascoli, di cui palmare è la derivazione dalla struttura a tre fornici dell’arco di trionfo, e del maestoso prospetto lapideo della Basilica di San Bernardino all’Aquila, con la canonica sovrapposizione degli ordini classici.
L’AMORE PER L’ANTICO
Ma l’Antico di cui si innamorò Cola non fu solo quello “archeologico” studiato sulle vestigia e nelle collezioni nobiliari, fu anche e soprattutto quello rianimato da Raffaello nelle sue pale e nei suoi affreschi. Cola fu folgorato dall’arte raffaellesca durante un fondamentale soggiorno a Roma nel 1513: se prima di allora l’arte del pittore di Amatrice era stata influenzata soprattutto dalla tradizione romana (Antoniazzo), umbra (Perugino e Piermatteo d’Amelia) e abruzzese, dopo l’incontro con le figure di Raffaello Cola sviluppò uno stile che si poneva sulla scia del classicismo raffaellesco, senza tuttavia abbandonare del tutto un certo carattere rustico, che rimontava alla sua originaria formazione “montanara” e che risalta nelle espressioni caricate e nell’enfasi dei gesti.
Tra le montagne, se si eccettua il già ricordato passaggio romano e la tarda attività a Città di Castello, si svolsero la vita e la lunga carriera di Cola; proprio nella zona che così duramente è stata colpita dal terremoto. Per Ascoli lavorò molto, e lì ancora si trovano molte delle sue opere principali; ad Amatrice si conservano tre sue tavole, due raffiguranti santi, presso il circolo culturale Nicola Filotesio, e la bellissima Sacra Famiglia, custodita nel locale Museo Civico. Il museo, esemplarmente diretto dalla storica dell’arte Floriana Svizzeretto, che è purtroppo tra le vittime del terremoto, ha subito gravi danni; si spera tuttavia che il dipinto di Cola, alloggiato all’interno di una teca in vetro, sia scampato alla distruzione. Probabilmente il peggio è toccato agli affreschi di cui le tante chiese di Amatrice sono ricche: affreschi di pittori che hanno preceduto Cola, come Dionisio Cappelli, che forse di Cola fu maestro, e di artisti che furono fortemente influenzati dal più noto pittore amatriciano.
L’ELOGIO DI VASARI
Del valore dell’arte di Cola fu conscio già Giorgio Vasari, pur così avaro di notizie e di elogi per gli artisti meridionali (e tale Cola, originario della regnicola Amatrice, doveva apparirgli). Vasari dedica al pittore alcune righe al termine della vita di “Marco Calavrese” (Marco Cardisco), sottolineando che egli sarebbe stato un artista ancora migliore, se il suo percorso creativo fosse stato meno appartato e se egli “avesse la sua arte esercitato in luoghi dove la concorrenza e l’emulazione l’avesse fatto attendere con più studio alla pittura, ed esercitare il bello ingegno di cui si vide che era stato dalla natura dotato”.
Grande rilievo nella breve biografia che Vasari dedica a Cola è assegnato a un episodio singolare, di cui è stata messa in dubbio la storicità: la moglie dell’artista, da vero exemplum di donna della Controriforma, si sarebbe sacrificata per salvare il proprio onore e la vita del pittore. “Fuggendo costei col marito”, scrive Vasari, “il quale era seguitato da molti soldati, più per cagione di lei, che bellissima giovane era, che per altro, ella si risolvé, non vedendo di potere in altro modo salvare a sé l’onore et al marito la vita, a precipitarsi da un’altissima balza in un fondo; il che fatto, pensarono tutti che ella si fusse, come fu invero, tutta stritolata non che percossa a morte; per che lasciato il marito senza fargli alcuna ingiuria, se ne tornarono in Ascoli”.
Grazie al sacrificio dell’amata, Cola fu salvo; ma, se vogliamo dare credito al biografo aretino, l’episodio lo segnò indelebilmente: “Morta dunque questa singolar donna, degna d’eterna lode, visse maestro Cola il rimanente della sua vita poco lieto”.
Fabrizio Federici
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