Capolavori contesi tra Italia e Francia. In mostra a Roma
Nel 1816, grazie all’intervento di Antonio Canova, rientrava in Italia la gran parte delle opere sottratte al Paese in età napoleonica con il Trattato di Tolentino del 1797. La mostra capitolina rende omaggio a questa importante ricorrenza, non solo evocando i criteri istituzionali sottesi alla scelta delle opere requisite, ma anche sottolineando il valore trainante del modello enciclopedico del Louvre.
Convince, fin dalle premesse, la scelta di focalizzarsi sulla grande stagione di rivolgimenti storici e culturali che fece da imprescindibile cornice all’ingente sottrazione di opere d’arte voluta da Napoleone per arricchire la collezione dell’allora Muséum National (il futuro Louvre), nato nel 1793. La commissione francese di artisti e scienziati, inviata in Italia per l’occasione tre anni più tardi, accordò la propria predilezione verso l’antico (L’Apollo del Belvedere e il Laocoonte vennero quindi sottratti al Belpaese) e i grandi maestri del Rinascimento, Raffaello in primis (tra le opere in mostra, il Ritratto di Leone X). Molto gradite anche alcune opere del classicismo seicentesco introdotto dai Carracci e portato avanti da virtuosi interpreti: è il caso de La Fortuna con una corona di Guido Reni, di magistrale bellezza, opportunamente accostata alle Veneri della statuaria classica. Si trattò di scelte non certo casuali, data la radicata tradizione accademica francese. L’indiscussa centralità della Roma settecentesca, meta del Grand Tour, aveva contribuito ad alimentare un gusto orientato in tal senso: il Neoclassicismo avrebbe fatto proprio del culto per l’antico e del bello ideale il perno di un’intera estetica.
DALLA REQUISIZIONE…
Tra le requisizioni non mancarono poi le opere dei più ragguardevoli esponenti della pittura tonale veneta, di cui vennero particolarmente apprezzate l’intensità cromatica e certa innovazione tecnica nella resa di scorci e architetture: molti Tiziano, Tintoretto e Veronese presero inevitabilmente le vie della Francia. In un secondo momento, i francesi si resero conto della pesante carenza dei cosiddetti Primitivi (artisti a cavallo fra Tre e Quattrocento) in una collezione che ambiva all’universalità, a eccezione di certa produzione del Perugino, già incluso in virtù del legame con il sommo allievo urbinate. Si cercò quindi di porre rimedio, con un’apposita mostra che ne suggellò l’avvenuto riconoscimento e la relativa acquisizione da parte dello stesso museo, ribattezzato Musée Napoleon nel 1803.
… AL RITORNO
Il ritorno in Italia della maggior parte dei capolavori sottratti, grazie all’azione diplomatica del Canova, si rivelò determinante nell’animare il dibattito che avrebbe portato alla fondazione di noti musei. Anche l’Italia infatti riconobbe, con crescente consapevolezza, il valore identitario intrinseco all’arte e la conseguente necessità di preservare il patrimonio entro sedi istituzionali, nell’interesse di una collettività che cercò poi faticosamente di costituirsi in nazione negli anni del Risorgimento: nascono in questi anni la Pinacoteca di Brera e, ancora prima, quelle di Bologna e di Venezia.
La rassegna ha quindi anche il pregio di indurci a riconsiderare le origini di questa ricchezza e pluralità di esiti in un’ottica comunitaria. Un messaggio di indiscutibile attualità in un momento in cui valori e ideali fondativi dell’Unione Europea appaiono in crisi.
Giulia Andioni
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