L’enigma di Pintoricchio. In mostra a Roma
Ai Musei Capitolini va in mostra una vicenda pittorica che supera i limiti della storiografia artistica. Protagonisti il Pintoricchio e un dipinto murario perduto e parzialmente ritrovato, insieme al mistero che ne avvolge le origini.
Quando il cardinale valenzano Rodrigo Borgia divenne papa col nome di Alessandro VI allestì il proprio appartamento al primo piano del Palazzo Apostolico in Vaticano e affidò la decorazione delle “camere segrete” – tre ampie sale adibite a funzioni di rappresentanza e un cubicolo – al celebre pittore umbro Bernardino di Betto detto il Pintoricchio e alla sua bottega. Le volte dei soffitti, le lunette e le pareti furono dipinte in capo a due anni – dal ’92 al ’94 – con quella celerità che era uno dei connotati della meritata fama del Pintoricchio il quale seppe qui combinare magistralmente il repertorio del proprio discepolato artistico con lo “spirito del tempo” e con le esigenze della committenza, traendone un’originale quanto spettacolare koinè: la lezione prospettica del Perugino che coadiuvò nel cantiere della Sistina; la passione mimetica dell’antico (la statuaria, i fregi dei templi e dei sarcofagi, le grottesche e gli stucchi) accesa dall’entusiasmo per le recenti scoperte della Domus Aurea al colle Oppio e della Villa di Adriano a Tivoli; un certo gusto umbro-fiammingo per il dettaglio; l’inclinazione estetica di Papa Borgia per gli ori, per gli ornamenti preziosi e sovrabbondanti, per il clima fiabesco dell’arte iberica mudéjar.
UN ENIGMA ANCORA IRRISOLTO
La mostra allestita ai Musei Capitolini comprendente una trentina di opere apre uno squarcio su questo momento aureo del nostro Rinascimento – l’ultimo decennio del Quattrocento –attraverso la storia tormentata di un dipinto murario perduto e infine, in parte, ritrovato, situato originariamente nel cubicolo dell’appartamento Borgia (qui virtualmente presente grazie ad alcune gigantografie del ciclo pintoricchiesco) e tramandato dalla copia su tela (in mostra) commissionata dai Gonzaga al pittore mantovano Pietro Fachetti.
Si tratta della Madonna con il Bambino e Alessandro VI ascritta prima al Perugino e in seguito al Pintoricchio. Una scandalosa vulgata, avallata anche dal Vasari, intravedeva nel volto della vergine il ritratto dell’amante del papa, Giulia Farnese, ragion per cui l’imbarazzante dipinto fu prima coperto, poi manomesso e quindi suddiviso in due frammenti conservati entrambi nella collezione Chigi a Roma: il cosiddetto Bambin Gesù delle mani e la Madonna – per la prima volta esposta al pubblico – che presenta, a ben vedere, come documentato dalla mostra, i connotati mariani tipici dell’artista umbro. Del ritratto di Alessandro VI, invece, nessuna traccia. Distrutto? Reso anonimo dall’improvvida mutilazione e finito chissà dove? Alle volte la storia dell’arte può dare all’appassionato il brivido del thriller.
– Luigi Capano
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