Da Palmira ad Aquileia. Ritratti di due città di confine
Lontane ma entrambe luoghi di tolleranza e convivenza tra culture e religioni diverse. Ora Palmira e Aquileia si incontrano e si confrontano attraverso gli antichi volti dei loro abitanti, che fanno riflettere sulla furia devastatrice del terrorismo e al tempo stesso scoprire la raffinata città della proverbiale regina Zenobia.
Colpita al cuore, nei suoi gioielli più preziosi: quelle testimonianze archeologiche che lasciavano senza fiato, che raccontavano la storia di una città carovaniera, cosmopolita, libera e in relazione con il resto dell’impero romano. Di Palmira ormai, attaccata e devastata dalle accanite distruzioni dell’ISIS – nonché dai tombaroli che, nella totale assenza di controllo, saccheggiano il patrimonio artistico e archeologico che ancora sopravvive rendendolo oggetto di un fiorente contrabbando –, rimane ben poco. Distrutti il monumentale tempio di Bel, quello di Baalshamin, l’arco monumentale, il teatro, alcune tombe a torre e il Museo archeologico.
Ma fin dai primi ritrovamenti, dopo l’abbandono del sito avvenuto nel IX sec., le sculture e i mosaici di Palmira sono stati considerati opere importanti, bellissime, e quindi desiderate dai maggiori musei del mondo. Ecco allora che da quei luoghi di conservazione (tra cui il Terra Sancta Museum di Gerusalemme, il Museo delle Civiltà-Collezioni di Arte Orientale “Giuseppe Tucci” e quello di Scultura Antica “Giovanni Barracco”) provengono i 16 volti esposti ad Aquileia, ai quali si affiancano alcuni ritratti di cittadini locali. Le opere palmirene restituiscono così ai visitatori uno spaccato dell’antica arte di una città al confine tra Oriente e Occidente (che trova il suo culmine nella seconda metà del III sec. d.C.), nonché stimolano una riflessione sulle possibilità di restituzione digitale di ciò che non esiste più, ma di cui si possiede ampia documentazione.
UNA RASSEGNA DI AFFINITÀ
In mostra vi sono in particolare i rilievi funerari realizzati per le ricche tombe (le tipologie erano a torre – capaci di ospitare fino a 700 defunti –, ipogee o a tempio, con facciate monumentali e ricchissima decorazione scolpita) situate ai margini della città. Osservare fianco a fianco le sculture di Palmira e quelle di Aquileia consente di affermare che esse condividono lo stesso sostrato culturale e formule iconografiche affini, come dichiarano i curatori della mostra: abiti e gioielli definiscono il ruolo sociale del defunto, mentre il carattere di serialità è comune ai ritratti aquileiesi e, se si allarga la prospettiva, a quelli dell’intero mondo romano il quale, come ben si sa, poneva l’unità culturale a suo fondamento.
Tra i protagonisti delle effigi, sacerdoti, cammellieri, commercianti, funzionari pubblici, donne riccamente ingioiellate: abiti e accessori riflettono ancora il fashion di quell’epoca, influenzato dalle tendenze di diversi Paesi (alla greca, alla persiana) e al contempo sono testimoni di uno stile artistico eclettico che, nella Palmira “regina del deserto”, sovrapponeva la tradizione orientale e quella greco-romana.
PRIMA DELLA DISTRUZIONE
Allestita nel Museo Archeologico di Aquileia, la mostra si colloca in un programma più ampio che negli anni passati ha visto le esposizioni sui tesori del Bardo di Tunisi e su quelli di Teheran e che si affianca, nei nuovi spazi della Domus e Palazzo episcopale in piazza Capitolo, alla serie di fotografie scattate a Palmira da Ezio Ciol il 29 marzo 1996, prima delle devastazioni: una rassegna dedicata all’Archeologia ferita insomma, alle opere vittime della violenza insulsa del terrorismo fondamentalista.
‒ Marta Santacatterina
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