La storia di una collezione, anzi due. A Domodossola
Da Ascoli Piceno a Domodossola, due nuclei di opere – e le vicende delle persone che le hanno raccolte e consegnate alla comunità – dialogano sullo sfondo di Casa De Rodis.
La mostra Tra Guercino e De Nittis. Due Collezioni si incontrano deve la sua nascita a contatti e relazioni innanzitutto umani, un po’ com’è nelle corde della famiglia Poscio e di quel mandato culturale alla base della collezione che ha trovato la sua sede permanente a Casa De Rodis, ormai dal 2014. In seguito al sisma del 2016 gli eredi dell’imprenditore piemontese Alessandro Poscio (1928-2013) furono contattati per ospitare alcune opere marchigiane, parte del lascito del collezionista Antonio Ceci (1852-1920) ai Musei Civici di Ascoli Piceno, la cui collocazione – e relativa sicurezza – era ormai compromessa. Anche se l’iniziativa non si è poi concretizzata in un deposito temporaneo delle opere a rischio in quel di Domodossola, il rapporto con la Pinacoteca Civica del capoluogo marchigiano ha avuto come esito l’iniziativa in corso: un confronto molto riuscito, per la qualità della selezione e per la puntualità dei rimandi estetici, tra due raccolte che sono andate formandosi all’insaputa dei rispettivi collezionisti – tanto più che a separare i già menzionati Poscio e il chirurgo Ceci c’erano sia la distanza geografica che quella anagrafica – eppure in una singolare continuità di gusti, generi pittorici e persino tecniche artistiche. Entrambe le raccolte si caratterizzano infatti per la predilezione di olii su tela a soggetto paesaggistico o bucolico – pregevole il tondo di Pellizza da Volpedo, per esempio – e di ritratti a cavallo tra Ottocento e Novecento, con un’incursione nei secoli precedenti attraverso piccoli gioielli di raffinata fattura quali disegni e dipinti devozionali seicenteschi, da Guercino e Pietro da Cortona a una delicatissima Madonna attribuita al Sassoferrato.
INTERVISTA ALLE EREDI DEL COLLEZIONISTA
Paola Poscio ha accompagnato il marito Alessandro per città d’arte e gallerie nel corso di oltre cinquant’anni. La figlia Stella, poi, è cresciuta in una casa alle cui pareti erano appesi paesaggi di fine Ottocento e scene di genere di epoca barocca. Sono loro ad aver raccolto l’eredità materiale e culturale della Collezione Poscio, proprio nel frangente in cui veniva presentata alla comunità.
Com’è nata la decisione di rendere pubblica la Collezione Poscio?
Negli ultimi anni, è sorto proprio in Alessandro Poscio il desiderio di rendere godibile a tutti le opere che aveva raccolto. Prima di giungere all’acquisto di Casa De Rodis, nel 2010, avevamo passato almeno un decennio in trattative con gli enti pubblici, tutte sfumate: dalla Regione Piemonte al Comune di Domodossola, la nostra proposta era sempre di dare le opere in comodato, secondo un piano di spesa ripartito tra la famiglia Poscio e la pubblica amministrazione; puntualmente, le difficoltà di bilancio, l’avvicendarsi delle giunte – e forse una certa mancanza di sensibilità, nei confronti della politica culturale in ambito artistico – portavano a un nulla di fatto. Finché Alessandro non iniziò a parlare di Casa De Rodis. Purtroppo, non ha potuto vedere il suo sogno realizzato: è scomparso nel 2013, proprio al termine dei lavori di riqualificazione della sede, a un passo dalla sua apertura al pubblico. Nonostante lo shock, abbiamo comunque deciso di continuare con la sua missione. La prima mostra, basata proprio sul gusto collezionistico di Alessandro, è stata inaugurata nel 2014, con un’accoglienza – anche in termini di visite – inaspettata.
Cosa ha significato per voi questo passaggio dal privato al pubblico?
È cambiato tutto. La differenza non riguarda tanto la gestione organizzativa della collezione e delle mostre, questa è la parte più facile [Stella Poscio è laureata in Economia, N. d. R.]: muta il modo di guardare alle opere, che non sono più “cose di casa”, ma oggetto di studio e approfondimento. Ciò che richiede più tempo ed energie è proprio l’aspetto ideativo: continuiamo a condurre la nostra vita e lavorare, ma la collezione diventa un pensiero costante.
Quali obiettivi vi siete date?
Seppure il programma culturale della Collezione Poscio sia “in progress”, dettato dal sentire nostro e dagli spunti che raccogliamo parlando con appassionati e addetti ai lavori, tutte le iniziative sono accomunate da due idee di fondo. Da una parte, resta quella che era la missione di Alessandro: condividere la bellezza delle opere, permettere a tutti di poterle apprezzare. Da qui, per esempio, la scelta di permettere ai visitatori di ritornare a vedere la mostra in corso tutte le volte che vogliono, dopo aver acquistato il biglietto iniziale.
Come istituzione, poi, c’è la volontà di approfondire tramite gli artisti presenti in collezione il rapporto con il territorio. Tutto è nato infatti dall’amicizia con Carlo Fornara, il pittore divisionista della vicina Val Vigezzo; fu allievo di Enrico Cavalli, che era un grande estimatore della pittura francese, e con il contemporaneo Giovanni Battista Ciolina andò a soggiornare a Lione: parliamo di autori che qui sono nati e qui hanno fatto ritorno dopo essere andati per il mondo, portando così influenze internazionali nella “Valle dei pittori”.
‒ Caterina Porcellini
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #5
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