L’Ottocento e la scultura. A Carrara
Palazzo Cucchiari, Carrara ‒ fino al 22 ottobre 2017. La città toscana celebra la tradizione scultorea ottocentesca attraverso una mostra che ne evoca protagonisti e stili. Facendo tappa a Firenze e Roma.
La scultura è ancora una volta di scena e la fa da padrona a Palazzo Cucchiari, prestigiosa sede ottocentesca con cui la Fondazione Conti da qualche anno promuove il rilancio della cultura del territorio e del patrimonio storico, culturale e industriale di Carrara. E lo fa quest’anno attraverso una grande rassegna dedicata alla migliore arte statuaria dell’inizio del XIX secolo, con cui tornano a casa anche i marmi apuani dalle collezioni dell’Ermitage. Si documentano la fortuna degli artisti italiani e carraresi all’estero e il formarsi di un collezionismo esigente e raffinato attraverso viaggi di formazione e la presenza nel Belpaese di diplomatici e nobili russi che scelgono, in piena Restaurazione, di stabilirsi tra Firenze e Roma, e quivi sguinzagliano un esercito di funzionari di palazzo e consulenti in caccia dei migliori atelier. Protagonisti indiscussi di quella stagione ispirata ai “neo-greci” furono gli eterni rivali Antonio Canova ‒ cui appartengono tre opere in mostra, provenienti dalla locale Accademia di Belle Arti ‒ e Bertel Thorvaldsen. Li potevi trovare acquartierati nei viottoli di Roma, intenti in una lotta all’ultimo colpo di scalpello ‒ il danese più ostinato e preciso nell’adesione a un metro di stampo classico che non poteva essere suscettibile di interpretazione o scadere nel sentimento, Canova accusato di disseminare il lavoro di errori e licenze poetiche ma sempre surriscaldato da una luce tenue, portatore di ben altro candore e di un colorismo che rimanda ai lasciti della scuola veneta sul maestro di Possagno. Thorwaldsen sopravvivrà all’italiano e la sua fama continuerà a diffondersi, più attento nella composizione e nella costruzione delle figure, ispirate a temi tratti dalla mitologia greca, primo fra tutti il Ganimede, che egli vuole consegnare alla vista tendendo il marmo al nitore, al massimo di purezza e perfezione.
GLI ALLIEVI
Meno scontato è il confronto con gli allievi, fedelissimi e meno fedeli che scesero da Carrara nella Capitale, Pietro Tenerani, Luigi Bienaimé, Carlo Finelli, e se il primo uscì dal solco del maestro Thorvaldsen, imprimendo al suo stile un carattere severo che ben si attaglia allo spirito della restaurazione monarchica e al gusto impero, Bienaimé restò a bottega come rifinitore ufficiale di tutte le opere del maestro, da cui trasse nuovi esemplari, sviluppando una propria riflessione consegnata a opere caratterizzate da un surplus di grazia ed eleganza. Il passo è ormai breve per giungere oltre, con Le ore del carrarese Finelli, il cui gesso è concesso gentilmente a prestito dalla Fondazione Antonacci. Mentre i palazzi sui canali pietroburghesi si arricchivano di marmi apuani levigati finemente, giungevano in Italia i grandi collezionisti russi, i principi Jusupov, lo zar Nicola I con i figli a loro volta istruiti su come riconoscere l’Arte vera, dove andare a cercarla, da quali mani sollecitarla.
Non meno di Roma, gli ammiratori dell’arte italiana ebbero come meta la Toscana con Firenze e Siena che diedero i natali rispettivamente a Lorenzo Bartolini e a Giovanni Duprè. A immergere Bartolini nell’atmosfera d’ancien régime basta un cenno alla residenza da costui svolta a Parigi per compiere l’apprendistato presso l’atelier di Jacques-Louis David, ed è proprio presso il francese che egli impara a copiare la natura, deciso ad affrancarsi rispetto dai modelli degli antichi. L’aver proposto agli allievi un modello di storpio negli anni dell’insegnamento bartoliniano a Carrara resterà un gesto di rottura, vivo per anni e lustri interi nel ricordo e nelle cronache; da questa primissima avvisaglia prenderà il via un vero mutamento epocale: nasce così la vena romantica, che germoglierà in una stagione di grandi ideali di rinnovamento etico e civile tornando a guardare alla realtà e alla natura. Né sorprende che lo studio di Lorenzo Bartolini a Carrara venga assalito nel 1818 per un impeto di ribellione anti-francese negli anni della reggenza, da Carrara a Lucca, della sorella di Napoleone Elisa Baciocchi. Alla Baciocchi spetta il merito di avere incrementato la produzione statuaria locale attraverso la creazione del Banco Elisiano, con l’ordinazione quasi seriale di busti dell’Imperatore che venivano tradotti in marmo negli atelier locali a partire da gessi dei maestri più acclamati dell’epoca.
NUOVE TENDENZE
Da Bartolini in poi si riconoscono i primi accenti di una rinnovata attenzione per la realtà nel piglio naturalistico della figuretta dell’Ammostatore, dal viso leggermente sproporzionato, con quel corpo infantile malaticcio e colto di sorpresa, ancor più convincente e vivo, memore come mai di quello storpio scandaloso, ogni giorno più estraneo all’ideale neoclassico. Nelle varianti di fanciulli e putti di vari autori si consuma l’avvenuto distacco dal canone d’inizio secolo, e nel confronto diretto sullo stesso tema si distingue con sicurezza quanto a merito e originalità l’opera di Giovanni Duprè, per la ricerca estenuata di uno stile che osa fuoriuscire dalla tradizione, uno stile improntato al verismo che di lì a poco darà frutti in Vincenzo Vela. Il grandioso Sonno dell’Innocenza rivela l’insoddisfazione del genio, la profondità e l’estenuazione di una ricerca che fu in Duprè anche crisi esistenziale. La ricerca di uno stile espressivo e sciolto diventava obiettivo primario anche rispetto alle esigenze di compostezza e ordine più volte avanzate dalla committenza.
‒ Francesca Alix Nicoli
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