Riscoprire Gaudenzio Ferrari
“Il Rinascimento di Gaudenzio Ferrari” è il titolo della mostra ospite della Pinacoteca e del Sacro Monte di Varallo Sesia, dell’Arca di Vercelli e del Broletto di Novara dal 24 marzo. A descriverla sono gli studiosi Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, curatori della rassegna con la supervisione dello storico dell’arte Gianni Romano.
Finalmente una grande mostra, divisa in tre luoghi e in numerose sedi, dedicata a quello che il trattatista Giovanni Paolo Lomazzo – insieme a Mantegna, Michelangelo, Polidoro da Caravaggio, Leonardo, Raffaello e Tiziano – considerava uno dei sette “Governatori” nel “Tempio della Pittura”. Un artista che oggi è conosciuto, nonostante la grandezza, da pochi, per la maggior parte addetti ai lavori. Come avete costruito la mostra?
Abbiamo cercato di raccontare la storia dell’artista dividendo il suo percorso artistico in tre tappe, legando le sedi di mostra alle testimonianze sul territorio. A Varallo abbiamo messo in scena la giovinezza sperimentale (invitando il visitatore a osservare la parete di Santa Maria delle Grazie, il Sacro Monte e la Madonna di Loreto, testimonianze di questo momento); a Vercelli abbiamo raccontato la piena e consapevole maturità, connessa agli affreschi di San Cristoforo; a Novara abbiamo tratteggiato l’ultima fase della vita, i dieci anni milanesi a confronto con la marea montante del Manierismo.
Avete affermato che: “Il percorso di Gaudenzio Ferrari, nonostante gli studi passati e recenti, è ancora ricco di incognite”. A cosa fate riferimento?
Per fare solo un esempio: come mai al principio degli Anni Trenta del Cinquecento Gaudenzio si trova a lavorare per il duca di Milano Francesco II Sforza, dopo che quest’ultimo visita il Sacro Monte per sciogliere un voto?
Qual è stato il criterio di suddivisione delle opere nelle diverse sedi?
A comandare è stata la cronologia del pittore, i luoghi di riferimento della sua vita in un determinato momento e non la collocazione delle opere, antica o presente. Dovevamo darci una regola che non ingenerasse confusione o fosse dispersiva.
Questa mostra ha la supervisione del massimo esperto di Gaudenzio Ferrari, il professor Gianni Romano, a lungo Soprintendente del Piemonte, ma vi hanno collaborato anche molti giovani studiosi. Si tratta di un consesso di esperti, che costituisce un confronto aperto fra diverse generazioni di storici dell’arte?
Facendo gli insegnanti, quello che ci interessa è l’aspetto pedagogico, per cui abbiamo provato a far lavorare studenti del biennio con dottorandi e specializzandi, in un dialogo serrato. A questo abbiamo aggiunto la possibilità di un confronto con una storia dell’arte che va scomparendo, quella di Gianni Romano appunto, uno degli ultimi grandi conoscitori viventi, ma non soltanto.
In mostra non saranno presenti solo opere di Gaudenzio ma anche di artisti a lui coevi come Perugino. Di che opere stiamo parlando?
In mostra si potranno verificare direttamente gli omaggi o i debiti che Gaudenzio contrae nei confronti di maestri e modelli. Ad esempio, si vedrà un Dio padre di Perugino, proveniente da un polittico della Certosa di Pavia, che Gaudenzio prende di peso per una sua opera giovanile: il Polittico per Sant’Anna a Vercelli.
Questa è una rassegna in cui le opere provengono da varie Paesi, da istituzioni territoriali quali la Diocesi di Novara, la Galleria Sabauda, il Museo Civico d’Arte Antica e l’Accademia Albertina di Torino, da importanti musei italiani e stranieri, tra i quali il Louvre, il Ringling Museum of Art di Sarasota, lo Städel Museum di Francoforte, il Szépművészeti Múzeum di Budapest, oltre che da storiche collezioni private. Nei secoli l’opera di Gaudenzio Ferrari è stata dunque oggetto di un significativo collezionismo?
La fortuna di Gaudenzio è legata ai conoscitori che dalla metà dell’Ottocento comprano suoi quadri, in Italia, per i grandi musei di tutto il mondo. Ma opere a lui riferite non mancano nelle grandi collezioni private del Sei e Settecento; basta pensare alla raccolta del marchese Giustiniani a Roma, il collezionista di Caravaggio.
Avete scelto di garantire al visitatore di ciascuna sede un’esperienza completa sull’artista, in modo che anche la fruizione di una sola di esse possa comunque risultare significativa. In che modo?
Ci saranno apparati didattici e visivi che permetteranno di completare la visita, rispetto alle altre sedi e ai luoghi circostanti connessi con i dipinti in mostra, ma speriamo che il visitatore veda dal vero tutto. Tutte e tre le puntate.
Uno degli aspetti più intensi della mostra è che lo spettatore può trovarsi a una distanza davvero ravvicinata con quello che viene considerato il capolavoro dell’artista, il grandioso ciclo di affreschi con le ventuno scene della vita di Gesù, che, nel 1513, Gaudenzio realizzò sul tramezzo di Santa Maria delle Grazie a Varallo. Che cosa ci dite di questo lavoro?
È una grande parete, un tramezzo, come ne restano pochi tra Lombardia e Piemonte, in Santa Maria delle Grazie a Varallo. Divide la parte monastica da quella dei fedeli. Su questo lato, nel 1513, Gaudenzio intorno ai trent’anni affresca le storie della vita di Cristo, secondo un costume caro ai Francescani Osservanti che permetteva, durante le prediche, di mostrare direttamente ai fedeli i passi del Vangelo. Durante la mostra un ponteggio permetterà di vedere, come non mai, queste scene.
Qualche anno fa ho visto la bellissima mostra che avete curato sul Bramantino. Vogliamo accennare al rapporto tra l’opera dei due artisti?
Gaudenzio da giovane deve aver frequentato Milano e deve essere stato folgorato dalla lezione “metafisica” del Bramantino. Le sue geometrie astratte riappaiono anche a tanti anni di distanza nelle sue opere: persino alla fine, negli affreschi per Santa Maria della Pace a Milano, non si può fare a meno di avvertire un sentore bramantiniano.
Gaudenzio viaggia. Va a Firenze, a Roma….
Una fonte tarda ci dice che Gaudenzio sarebbe stato addirittura un aiuto di Raffaello nelle Logge Vaticane. Purtroppo non abbiamo il carnet di viaggio di Gaudenzio: bisogna solo immaginare i suoi percorsi dalle suggestioni che si colgono nelle sue opere. È un artista che ama tanti maestri e ne odia pochi. Leonardo e il Bramantino visti a Milano, ma anche pittori più eccentrici conosciuti in centro Italia, come Amico Aspertini o Filippino Lippi. Di Perugino abbiamo già detto.
Tra gli intellettuali che negli anni hanno più amato e studiato Gaudenzio Ferrari vi è Giovanni Testori, che al pittore ha dedicato importanti studi. Come vi ponete rispetto a essi?
Testori – seguendo alcune aperture di Roberto Longhi, suo maestro – è stato il vero mentore di Gaudenzio. Ha restituito in prosa poetica quello che Gaudenzio aveva fatto in pittura e scultura. Ancora adesso certi passaggi ecfrastici di Testori (per tacere delle attribuzioni o delle ricostruzioni di complessi) restano imprescindibili. Speriamo che questa mostra serva a far capire la grandezza di Gaudenzio, cosa che Testori ha cercato di fare per tutta la vita.
‒ Angela Madesani
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #9
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