Andrea Mantegna incontra Giovanni Bellini. A Venezia
Fondazione Querini Stampalia, Venezia ‒ fino al 1° luglio 2018. La sede veneziana mette in mostra i suoi tesori. Ospitando un eccezionale confronto tra due capolavori del Rinascimento veneto.
Istituzione privata con sovvenzioni statali e regionali a progetto, la Fondazione
Querini Stampalia di Venezia si appresta a festeggiare nel 2019 i suoi centocinquant’anni di vita, fiera dell’autonomia a lungo difesa – fu voluta nel 1868 dal conte Giovanni Querini Stampalia ‒ e oggi più che mai vitale.
Una storia gloriosa la sua, legata a personalità di spicco non solo in ambito nazionale ma anche internazionale. Carlo Scarpa, in primis. Le sue attività, radicate nelle tradizioni della città lagunare, coniugano oggi arte antica e contemporanea attraverso iniziative espositive di alto valore culturale.
Grazie a una mostra del tutto particolare, oggi è giunto per la Querini Stampalia il momento di una riflessione sulla storia della pittura rinascimentale veneta e, in particolare, su due artisti che ne hanno fatta grande la fama.
LA MOSTRA
Nella Venezia quattrocentesca Jacopo Bellini era considerato uno dei pittori più talentuosi e lavorare nella sua bottega rappresentava un privilegio. Si può supporre che il padovano Andrea Mantegna, uno dei giovani artisti a lui vicini, invaghitosi di Nicolosia, figlia del Maestro, fosse intorno al 1450 già assai apprezzato nell’ambiente della Serenissima. Rievoca oggi il suo ruolo e, soprattutto, la sua opera, una raffinata mostra dal titolo Capolavori a confronto Bellini/ Mantegna. Presentazione di Gesù al Tempio. Allestita sotto la direzione di Mario Botta, è incentrata su due sole opere pittoriche accomunate dallo stesso soggetto, ma riconducibili a mani diverse: l’una, appunto, di Mantegna, l’altra di Giovanni Bellini, figlio di Jacopo, più giovane del padovano di pochi anni. Curioso dunque constatare che i due pittori fossero anche cognati (Nicolosia era sorellastra di Giovanni) e che i dipinti, evidentemente l’uno omaggio all’altro, pur distanziandosi cronologicamente di quasi vent’anni, presentino analogie davvero sorprendenti, e non solo dal punto di vista iconografico.
Lo stile, certo, è altra cosa, giocato sul disegno e sull’accentuato realismo nell’opera di Mantegna, sul virtuosismo del colore e sul morbido naturalismo in quella di Bellini. Si è giunti alla conclusione che nell’opera del pittore padovano (1454) le figure laterali altri non siano che Nicolosia, divenuta moglie del Mantegna, e il pittore stesso. Si è inoltre ipotizzato che nel bambino sia simbolicamente espressa l’invocazione di buoni auspici per la nascita del primogenito della coppia, e, nel contempo, l’annuncio della Crocifissione di Gesù
‒ le bende fanno infatti pensare al Martirio ‒, e che le fattezze di San Giuseppe rimandino a quelle dell’anziano Jacopo Bellini.
LE OPERE VIAGGIANO
Che Giovanni abbia fedelmente “ricalcato” con tecnica “a spolvero” la composizione mantegnesca appare ipotesi plausibile agli occhi dei curatori (Brigit Blass-Simmen, Neville, Rowley e Giovanni Carlo Federico Villa), ma certo è che molto del suo genio immise nella versione della Presentazione al Tempio da lui realizzata tra il 1470 e il 1480. Tra l’altro, le nuove due figure, l’una femminile e l’altra maschile, che si aggiungono rispetto all’iconografia mantegnesca alle estremità sinistra e destra del dipinto, si suppone – anche se la critica non ha ancora espresso giudizi definitivi in merito ‒ siano la moglie di Giovanni Bellini e il Bellini stesso. Dunque un che di misterioso avvolge le due opere destinate, dopo la sede veneziana della mostra, a proseguire il loro iter espositivo alla volta di due altre istituzioni importanti: a Londra la National Gallery (dal 1° ottobre 2018) e a Berlino la Gemaldegalierie (dal 1° marzo 2019). Istituzione museale, quest’ultima, che è proprietaria dell’opera del Mantegna.
I TESORI DELLA FONDAZIONE
Fanno ala al nucleo della mostra, accompagnata da un esaustivo inquadramento storico-critico, le opere d’arte esposte in modo permanente alla Fondazione – dipinti di Lorenzo di Credi, Jacopo Palma il Vecchio, Bernardo Strozzi, Luca Giordano, Marco e Sebastiano Ricci, Giambattista Tiepolo, Pietro Longhi – cui si aggiungeranno, tra pochi mesi, nell’autunno prossimo anche capolavori provenienti dalle collezioni della Cassa di Risparmio di Venezia. Si tratta, per quanto riguarda queste ultime, inclusive anche di una biblioteca e di una raccolta numismatica, di un patrimonio d’arte affidato dal 2018 per vent’anni alla Querini Stampalia da Intesa Sanpaolo, istituto in cui la Cassa di Risparmio è recentemente confluita. A ottobre, tali collezioni saranno presentate negli spazi riplasmati dall’architetto Michele De Lucchi al terzo piano del cinquecentesco edificio sede della Fondazione.
‒ Alessandra Quattordio
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