La Gioconda è nostra! Tifosi italiani in rivolta dopo i Mondiali. Il Louvre risponde (in italiano)
Cortocircuito social, nel mix assurdo tra tifoserie calcistiche, partigianerie politiche, razzismi vari e rivendicazioni in tema di beni culturali. La Francia vince i Mondiali e un tweet del Louvre scatena l’inferno.
E ti pareva che anche il calcio non diventava questione di dibattito nazionale, su temi che con lo sport c’entrano come i sacchetti bio con i complotti del sistema finanziario: niente di niente. Sui social è routine. Così, dal tifo per i campionati mondiali di calcio alle tifoserie politiche il passo è breve. Sventolando, in occasione della finale del 15 luglio, nazionalismi di ritorno, razzismi d’accatto, partigianerie sconclusionate.
La maggior parte degli italiani (secondo un sondaggio del Corriere ben il 90%) stava con la Croazia, in nome di un anti europeismo ormai à la page, con le destre in particolare a difendere la maglia biancorossa della squadra croata – il ricordo delle Foibe era roba per pochi cultori della materia – contro quella della super potenza francese, simbolo di un occidente filo-tedesco, nemico del popolo, sottomesso alla casta di Bruxelles.
DERIVE SOCIAL-NAZIONALISTE, TRA SPORT E POLITICA
A cavalcare l’onda, da vero scienziato dell’odierna comunicazione social, c’era il Ministro degli Interni Matteo Salvini, che con ardore si è speso per il decisivo match, augurandosi di non dover “vedere Emmanuel Macron che saltella”. Poi, a bordo di un volo di Stato è andato fino in Russia a godersi lo show. E il Presidente Macron, alla fine, ha saltellato eccome. Il tifo anti EU di Salvini – infilato tra un tweet sulla Legge Fornero, un attacco alle ONG, un porto da chiudere, un video sui cattivi migranti e un omaggio alla legittima difesa senza freni – si è rivelato una gufata straordinaria. Francia batte Croazia 4 a 2.
Potevano mancare le considerazioni sui tanti giocatori francesi di origine africana? Un classico che Salvini aveva già sfoderato dopo la mancata qualificazione dell’Italia ai Mondiali: la colpa, secondo un suo bizzarro Tweet condito dal solito hashtag #stopinvasione, era dei “troppi stranieri in campo”, a discapito dei tanti bravi giovani italiani lasciati in panchina. E dunque: i neri fanno vincere la Francia, ma fanno perdere l’Italia? Qualcosa non torna.
Exploit nazionalista tra Facebook, Twitter e Instagram, subito dopo il fischio dell’arbitro, con un solo ritornello: “altro che Francia, ha vinto l’Africa!”. Non si contano le battute contro i difensori della Francia multiculturale, contro gli invasori che ci rubano le maglie e le vittorie, contro i buonisti che soccombono al diktat dell’immigrazione. Visi pallidi, nelle nazionali europee, se ne vedrebbero sempre meno. “Ma che vittoria è?”, si chiedono i social-haters, elencando le bandiere dei vari Paesi africani da cui arrivano i migliori campioni di Francia. Un modo per sminuire le virtù dei rammolliti fighetti d’Oltralpe (e qui l’epiteto omofobo è un must) e per cavalcare ancora e ancora la crociata razzista che impazza, ormai, a livelli da propaganda coloniale. In odor di Ventennio.
L’IRONIA DEL LOUVRE E LA RIVOLTA DEI PATRIOTI ITALIANI
E in questo quadretto, che ci azzecca l’arte? C’entra pure lei, tristemente strumentalizzata e ideologizzata, a beneficio delle solite conversazioni da bar. A incentivare la diatriba ecco un simpatico tweet postato dal profilo ufficiale del Louvre per festeggiare la vittoria: l’immagine della Gioconda con indosso la maglia della nazionale francese e una semplice frase d’esultanza: “Fèlicitations à l’@equipedefrance pour leur victoire à la #CoupeDuMonde2018!”. Apriti cielo. Scoppia il putiferio sotto al post e gli italiani danno il meglio di sé. Qualche perla: “Hanno un milione di quadri tra cui questo del David…strano.. proprio la Gioconda???”, “Eh Sono diventati famosi grazie a noi beh.. La Gioconda è la Gioconda vuoi mettere…”, MA CHE CAZZ* METTETE LA MAGLIA DELLA FRANCIA MA CAZZ* BESTEMMIATE OOH IGNORANTI”, “E mo ce ripijamm tutt chill che è nuostr”, “Minchia che poveracci siete. Un cazzo di quadro di merda di un francese non l’avevate? Come si dice PEZZENTI in francese?”, “Oh belli de mamma la gioconda lasciamola a LEONARDO DA VINCI, tenetevi la torre di ferro voi”…
C’è persino chi minaccia, con tipica sicumera salviniana: “Prima o poi tornerà a casa, fidatevi”. Ok, ci fidiamo. La vittoria va al tweet maccheronico in perfetto stile troll, con la chiosa franco-romanesca che è già pronta per la classifica dei topic trend: “THIS QUADRO IS AN ITALIAN CAPOLAVORO. WHY YOU METTI GIOCONDA TO CELEBRATE YOU VITTORIA? PROBABLY YOU DON’T REMBER 2006 WHEN V’ABBIAMO DISTRUTTO. RIDATECE ER QUADRO NOSTRO. LIBERTÈ EGALITÈ LI MORTÈ”.
ARIDATECE LA GIOCONDA. MA ANCHE NO
Insomma, dimenticando per un attimo che l’Italia ai Mondiali non ha nemmeno giocato, umiliata dalle mancate qualificazioni, i patrioti sfogano la loro rabbia contro Macron, contro l’Europa, contro i vincitori, contro i giocatori neri, contro una super potenza che conquista pure i campi di calcio; e in punta d’orgoglio nazionale rivendicano l’italianità del quadro più famoso del mondo. La Gioconda è italiana e sta al Louvre per via di un imperdonabile abuso. Dicono, urlano, ribadiscono. Storia vecchia, che ogni tanto – quando serve un’icona collettiva da sventolare – torna in auge nel chiacchiericcio popolare.
Che il mitico dipinto di Leonardo sia “patrimonio dell’umanità”, come intelligentemente twitta un utente ispanico, pubblicando la Monna Lisa con un sombrero e la maglia messicana, a certuni non salta in mente manco per sbaglio. Che si tratti di un’opera legittimamente inserita nelle collezioni dello straordinario museo parigino, e che dunque appartenga alla Francia a pieno diritto, così come all’Italia appartengono migliaia di manufatti e opere non italiani, è un pensiero troppo complesso. La Gioconda è un simbolo del sistema museale francese e come tale viene raccontato, diffuso, valorizzato, celebrato. La retorica dei confini e delle identità, ridotta a siparietto campanilista, non teme (e non comprende) la logica pacifica degli scambi internazionali, fra traiettorie di collezioni e collezionisti, compravendite, lasciti, spostamenti, prestiti, eredità, missioni archeologiche, aste, donazioni: intrecci liberi e complessi che hanno contribuito nei secoli a costruire i fondi di musei piccoli e grandi, pubblici o privati.
LA STORIA DEL DIPINTO GIUNTO IN FRANCIA 5 SECOLI FA
Nel caso specifico della Gioconda, la questione è presto chiusa. “È stata venduta da Leonardo a re Francesco I“, risponde ai tifosi italiani in rivolta il social media manager del Louvre, con tanto di smile. E questa è la storia. È assodato infatti che lo stesso Leonardo potrò con sé il piccolo dipinto, quando partì per la Francia nel 1516: gli storici dell’arte concordano su questa versione e ritengono che, documenti alla mano, la famiglia reale di Francia lo acquisì, inserendolo nei propri patrimoni. Fu Luigi XIV, in seguito, a farlo spostare a Versailles, mentre nel 1800 Napoleone – secondo diverse testimonianze – lo fece appendere nella camera da letto della moglie Giuseppina, a Palazzo delle Tuileries. Nel 1804 il quadro entrò infine nelle collezioni del Louvre.
Torna ogni tanto – a supporto della tesi di una irregolarità nella presenza del capolavoro leonardesco in territorio francese – la bufala del furto da parte proprio dell’Imperatore. E invece no. Non fu nel corso delle spoliazioni napoleoniche che il dipinto lasciò Firenze per raggiungere Parigi. Nessun esproprio, nessun bottino di guerra. C’è uno scritto di Antonio de Beatis, segretario del Cardinale Luigi d’Aragona, che nel corso di un viaggio in Francia avvenuto nel 1517 documentava un importante incontro: “El signore (Luigi d’Aragona, ndr) con noi altri andò ad videre messer Lunardo Vinci firentino, vecchio de più de LXX anni, pictore in la età nostra excellentissimo, quale mostrò ad sua Signoria Illustrissima tre quatri, uno di certa donna firentina, facto di naturale, ad instantia del quondam magnifico Iuliano de Medici, l’altro di san Iohanne Baptista giovane, et uno de la Madonna et del figliolo che stan posti in gremmo de sancta Anna, tucti perfectissimi”. I tre dipinti dovevano essere in ordine “La Gioconda”, il “San Giovanni Battista” e la “Madonna col Bambino e Sant’Anna”.
A partire dal 1518 il quadro veniva comunque annoverato tra i beni presenti nelle collezioni di Francesco I di Francia. L’ipotesi è che a venderlo al Re, assieme ad altri dipinti di Leonardo, fu l’allievo prediletto Gian Giacomo Caprotti, detto il Salai.
Tutto regolare, quindi: ieri come oggi gli artisti producono e vendono, direttamente ai committenti o tramite mercanti, offrendo al mondo il frutto del loro lavoro. Opere nate per muoversi, per viaggiare, per trovare acquirenti, luoghi d’elezione, palcoscenici diversi, destini a volte certi, a volte rocamboleschi. E l’identità nazionale – che è semmai un fatto di memoria culturale, sempre aperta, condivisa e in divenire – poco c’entra con la territorialità del bene materiale.
DÉSOLÉS, MAIS NON. MONNA LISA RESTE ICI
Eppure, questa storia della gelosia italiana per il piccolo, straordinario gioiello di Leonardo, pare non trovare fine. A proposito di abusi, fu semmai un italiano, nel 1911, a rubare il ritratto della Monna Lisa, mosso da fervore patriottico. Avendo lavorato come imbianchino al Louvre, l’audace Vincenzo Peruggia riuscì nell’impresa: trafugò il quadro e lo condusse a Firenze, là dove riteneva dovesse restare. La vicenda si concluse circa due anni dopo, con il ritrovamento della tela (che Peruggia a un certo punto tentò di vendere a un antiquario fiorentino, Alfredo Geri) e la restituzione ai legittimi proprietari: lo Stato francese e il Museo di Rue de Rivoli.
L’ultima grande mobilitazione risale al 2012, con la campagna lanciata da Simone Vinceti – fondatore del “Comitato Nazionale per la valorizzazione dei Beni Storici, Culturali e Ambientali”- e indirizzata all’allora Ministro della Cultura francese Aurelie Filippetti. 150.000 firme raccolte, per chiedere che il dipinto venisse temporaneamente esposto agli Uffizi, paventando azioni di protesta, scioperi della fame e grandi manifestazioni.
La risposta delle istituzioni francesi? Non se ne parla nemmeno: “Sensibile al vostro desiderio di favorire l’accesso dei capolavori dell’umanità al più grande numero possibile di persone”, scrisse il direttore generale Vincent Berjot a Vinceti, “mi dispiace tuttavia di non poter dare un seguito favorevole alla vostra richiesta. Come voi stesso sottolineate, il prestito di quest’opera insigne porrebbe moltissime difficoltà tecniche (…). Più fondamentalmente, questo quadro è indissolubilmente legato all’immagine e alla reputazione internazionale del museo del Louvre, accoglie ogni anno più di 8 milioni di visitatori, venuti dalla Francia e dal mondo intero, e che non capirebbero se quest’opera venisse loro sottratta“. Fine delle discussioni. La Gioconda non si muove, nemmeno per un breve soggiorno oltreconfine. Con buona pace di tifosi vari.
Meglio, da domani, concentrarsi sui prossimi campionati, attesi in Qatar nel 2022. C’è tempo per ricostruire e ritentare, magari lasciando fuori politica e storia dell’arte. Nel mentre onore alla Francia e alla sua squadra, orgogliosamente senza frontiere.
– Helga Marsala
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