Fra rigore e inquietudine. Tintoretto in mostra a Venezia

Ha finalmente aperto i battenti la mostra-omaggio di Venezia a uno dei suoi artisti più talentuosi. 500 anni dopo la nascita di Tintoretto, Palazzo Ducale e le Gallerie dell’Accademia gli dedicano un tributo espositivo in due atti.

Sono trascorsi più di ottant’anni dall’ultima rassegna intitolata a Jacopo Robusti (Venezia, 1519-1594) dalla sua città di origine. Il progetto Tintoretto 500, inaugurato poche ore fa negli ambienti del Palazzo Ducale e delle Gallerie dell’Accademia, riannoda virtualmente il filo della memoria attorno a un artista cardine dell’epopea cinquecentesca, evocando l’esposizione andata in scena nel lontano 1937 e giungendo a una nuova “sintesi”, come sottolineato da Gabriella Belli, direttrice della Fondazione Musei Civici di Venezia. Istituzione che, in dialogo con la National Gallery of Art di Washington e le Gallerie dell’Accademia, ha trasformato in realtà un omaggio poderoso.
Strutturata a partire da due nuclei cronologici ben definiti ‒ gli esordi del giovane Tintoretto e la produzione matura ‒ la mostra prende forma in altrettante sedi (le Gallerie dell’Accademia e il Palazzo Ducale) innescando un racconto visivo equilibrato e rigoroso, capace di rendere giustizia a un temperamento creativo lontano dalle rassicuranti etichette della storiografia.

Tintoretto, Ultima Cena, 1547, installation view at Gallerie dell'Accademia, Venezia 2018, photo Irene Fanizza

Tintoretto, Ultima Cena, 1547, installation view at Gallerie dell’Accademia, Venezia 2018, photo Irene Fanizza

IL GIOVANE TINTORETTO

La sessantina di opere riunite negli spazi dell’Accademia, con la curatela di Roberta Battaglia, Paola Marini e Vittoria Romani, ripercorrono il primo decennio di attività di Tintoretto, dal debutto come artista indipendente nel 1538 alla realizzazione del Miracolo dello schiavo per la Scuola Grande di San Marco, prima commissione pubblica datata 1548. Il racconto si dipana, fluido, sulle pareti, da cui emergono, come in una pellicola ben riuscita, frammenti dell’epoca nella quale Tintoretto mosse i primi passi verso la pittura ‒ all’ombra di Bonifacio Veronese, Paris Bordon, ma anche della scuola toscana di Salviati e Vasari ‒ e rimandi alle sperimentazioni giovanili di uno spirito inquieto, geniale, che non temeva la Maniera e il suo superamento, drammatizzando le soluzioni alla Tiziano con una dose di ardita autonomia.
Un’onda montante di vortici, intrecci di figure, altalene di cromie ghiacciate ed esplosioni tonali accompagna l’infilata di opere esposte nelle Gallerie ‒ emblematici, in tal senso, la tumultuosa Conversione di San Paolo, i vertiginosi scorci di Apollo e Dafne, ben oltre l’epico San Giovanni Evangelista a Patmos di Tiziano, e il raffronto con l’Ultima Cena di Giuseppe Porta Salviati e Jacopo Bassano, da cui affiora un Tintoretto sempre più certo nella padronanza delle luci e delle ombre. Entità dai confini liquidi, che non abbandoneranno mai le pennellate dell’artista e che diventeranno la cifra della sua potenza detonante, come ben rivela il capolavoro conclusivo della mostra allestita alle Gallerie dell’Accademia, il Miracolo dello schiavo. Qui il rigore di una verticale netta, che taglia idealmente la tela in due, dall’alto verso il basso, si nasconde, e al tempo stesso si rinvigorisce, nelle sapienti opposizioni cromatiche e in una stesura del colore ancora definita ma già rarefatta da una velocità destinata a farsi inarrestabile.

Tintoretto, Tarquinio e Lucrezia (dettaglio), 1578-1580, installation view at Palazzo Ducale, Venezia 2018, photo Irene Fanizza

Tintoretto, Tarquinio e Lucrezia (dettaglio), 1578-1580, installation view at Palazzo Ducale, Venezia 2018, photo Irene Fanizza

LA MATURITÀ ARTISTICA

A Palazzo Ducale il racconto interrotto nell’ultima sala delle Gallerie prosegue senza scossoni, agevolato dalla presenza, in apertura, di una serie di opere in prestito dall’Accademia, come evidenziato dalla direttrice Paola Marini. Lo sguardo è assorbito da una bellezza ammaliante, che rimbalza fra soggetti di stampo religioso ‒ la coinvolgente Presentazione di Cristo al Tempio e Sant’Agostino risana gli sciancati, dove la veste del santo chiama alla mente soluzioni in anticipo su secoli di pittura ‒ e figure profane ‒ l’ipnotica Susanna preda degli sguardi dei vecchioni e l’intimità della scena con Venere, Vulcano e Cupido. L’approccio coraggioso di Tintoretto nei riguardi delle linee e dei colori occhieggia dalla stupefacente Deposizione, in cui Madre e Figlio sono accomunati da un incarnato livido, portatore di una sofferenza quasi palpabile, “accesa” dal rosso e dal blu della veste, per poi riverberarsi nel groviglio formato dai corpi di Caino uccide Abele.
Profondo conoscitore del buio e dell’intensità del nero, Tintoretto sa modularne gli effetti, dando origine a opere che si pongono sulla delicata linea di demarcazione fra luce e ombra.
Gli allestimenti della mostra a Palazzo Ducale, progettati da Daniela Ferretti nell’ambito della curatela di Robert Echols e Frederick Ilchman, amplificano tale aspetto, rintracciando nei toni scuri delle pareti un mezzo per enfatizzare la tavolozza di Tintoretto. Magistrale la dialettica luminosa presente in Tarquinio e Lucrezia, che si stagliano su un fondo cupo assegnando alla concitazione dei corpi e alla collana strappata di Lucrezia, da cui piove una cascata di perle simili a gocce di pioggia, una centralità quasi disturbante nel suo lucore. Anche i ritratti assumono una valenza fondamentale nel percorso creativo di Tintoretto e nella scelta della palette cromatica. Ne sono una prova le effigi che punteggiano la conclusione dell’itinerario a Palazzo Ducale, sguardi carichi di espressività avvolti da abiti neri e porpora, che si concedono, come sempre, qualche guizzo di luce ‒ due esempi fra tutti: il Ritratto di Nicolò Doria, già visto alle Gallerie dell’Accademia, e l’Autoritratto del 1588 circa, estremi ideali della ritrattistica di Tintoretto.
Non mancano una riflessione sull’importanza del disegno nell’economia progettuale dell’artista e un piccolo, ma azzeccato, focus sulla tendenza di Tintoretto al riuso di idee, tele e disegni, trattati con grande parsimonia.

Tintoretto 1519-1594, exhibition view at Palazzo Ducale, Venezia 2018, photo Irene Fanizza (3)

Tintoretto 1519-1594, exhibition view at Palazzo Ducale, Venezia 2018, photo Irene Fanizza

UNA MOSTRA DIFFUSA

In attesa che la rassegna voli a Washington nei primi mesi del ‘19, l’intera città di Venezia prende parte alle celebrazioni del 500esimo anniversario della nascita di Tintoretto con una mappa di itinerari alla scoperta dei luoghi in cui sono conservati altri interventi dell’artista ‒ dalla Scuola Grande di San Rocco a quella di San Marco fino alle molteplici chiese della Curia patriarcale. Un tributo diffuso, quindi, reso possibile non solo dai tanti prestiti che animano le due mostre principali, ma anche dai restauri condotti grazie al supporto di Save Venice, organizzazione non profit americana impegnata da anni nella restituzione a Venezia dei suoi capolavori.
Anche i cataloghi che affiancano le due esposizioni, editi da Marsilio/Electa e Marsilio, rispettano la generale volontà di “fare il punto” su Tintoretto, con un denso apparato critico e puntuali schede di approfondimento.

Arianna Testino

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Arianna Testino

Arianna Testino

Nata a Genova nel 1983, Arianna Testino si è formata tra Bologna e Venezia, laureandosi al DAMS in Storia dell’arte medievale-moderna e specializzandosi allo IUAV in Progettazione e produzione delle arti visive. Dal 2015 a giugno 2023 ha lavorato nella…

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