Capolavori rinascimentali. Il Museo Jacquemart-André da Parigi a Roma
Gallerie Nazionali di Arte Antica, Roma ‒ fino al 27 gennaio 2019. Nella sede di Palazzo Barberini va in scena “La stanza di Mantegna. Capolavori dal Museo Jacquemart-André di Parigi”. Un dialogo fra la Capitale e la Ville Lumière nel solco del Rinascimento.
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La mostra, a cura di Michele Di Monte, è incentrata su un nucleo di opere provenienti dal Museo Jacquemart-André di Parigi, lavori che spiccano per le qualità rappresentative e per l’importanza storico-artistica che simboleggiano, a testimonianza del gusto ricercato e raffinato del celebre collezionista Edouard André e della moglie Nélie Jacquemart, che nel 1912 lasciarono in eredità la loro prestigiosa collezione allo Stato francese.
LE OPERE DI MANTEGNA
Sei le opere esposte, tra le quali due capolavori di Andrea Mantegna, l’artista veneto che, chiamato da Papa Innocenzo VIII, soggiornò a Roma dal 1488 al 1490 per decorare la cappella del nuovo edificio del Belvedere. Le pitture andarono perdute durante alcune ristrutturazioni settecentesche e, nella Capitale, non sono tuttora custodite opere autografe di Mantegna. La mostra appare dunque come un’importante occasione per ammirare da vicino la Madonna con il Bambino tra i santi Gerolamo e Ludovico di Tolosa del 1455 e lo straordinario Ecce Homo del 1500 circa. L’opera, perfettamente conservata, documenta la pittura di inizio Cinquecento, nella quale le costruzioni scientifiche delle forme e degli spazi si univano magistralmente alle esigenze devozionali dell’epoca. L’Ecce Homo è una chiara sintesi della ricerca compositiva che Mantegna perseguì durante la sua carriera pittorica, un capolavoro che ha preservato il sogno del Rinascimento, quello di riunire tutte le arti in un’epoca, interrogando il passato e proiettando l’artista verso una rivoluzione visiva che ha cambiato le sorti della storia dell’arte mondiale.
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Andrea Briosco detto il Riccio, Mosè, 1513. Paris, Musée Jacquemart André – Institut de France © Studio Sébert Photographes
SCHIAVONE E IL RICCIO
Altrettanto importante è la rara pergamena di Giorgio Schiavone, Il Ritratto d’uomo del 1460 circa: una descrizione del gusto celebrativo del ritratto, che alle rappresentazioni antiche combina il senso estetico della materia, un’abilità compositiva maturata dall’artista nella bottega del maestro padovano Francesco Squarcione.
Il culto delle forme dell’arte antica ricorre anche in Ercole e Anteo, un disegno della Scuola mantegnesca, e nel Mosè, il piccolo bronzo del 1513 di Andrea Briosco detto il Riccio.
‒ Nadia Gardini
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