Anniversari leonardeschi, dubbi leonardeschi. L’editoriale di Renato Barilli
Anche Leonardo da Vinci rientra fra gli artisti più inflazionati in quanto a omaggi espositivi. Soprattutto nel cinquecentenario della sua morte che cade in questo 2019. Ma Renato Barilli solleva qualche dubbio.
In una puntata precedente di questa rubrica ho deprecato la mala abitudine nostrana di “far piovere sul bagnato”, cioè di insistere a mettere in mostra artisti ben noti, senza che le reiterate esposizioni presentino particolari caratteri di novità e approfondimento. Caso tipico, il povero Warhol, che anche in questo momento è visibile sia a Parma sia a Cortina, ritengo senza alcunché di memorabile in entrambi in casi.
Ma ahimè questo andazzo coinvolge anche artisti massimi, non ne è esente neppure il grande Leonardo, di cui appunto si insiste a organizzare mostre a ripetizione cogliendo vari pretesti. Io stesso ho partecipato a una mostra a lui dedicata, in un posto certo splendido, la Venaria Reale, e in un’occasione solenne, il 2011 dei 150 anni dall’unità d’Italia, ma nello stesso momento gli era dedicata una mostra ben più completa e autorevole alla National Gallery di Londra. Poi è stato quasi d’obbligo che Milano lo rimettesse in scena nel 2015, con riferimento all’Expo. Ora scattano i cinque secoli dalla morte (1519) e si scalda i muscoli perfino il Louvre, mentre già si rimprovera il nostro Stato di arrivare tardi a un appuntamento così importante. E ogni volta fioccano le istanze a spostare capolavori, col dilemma se dire di sì o di no.
“Mi sono sentito indotto a mettere nero su bianco un mio dubbio cruciale, che cioè due famosi ritratti attribuiti al genio di Vinci non siano usciti dalle sue mani”.
Di fronte a tanta movimentazione di prestiti e relativi trasporti eccezionali, e spese ingenti, si deve invece deprecare, sul versante che conta, una esiguità di contributi scientifici, come se questi fossero un dato marginale. Posso dire di uno di questi “assordanti silenzi”, per usare una formula trita, di cui sono stato vittima io stesso. Infatti, nel bel mezzo di un simile fitto traffico di mostre leonardesche, mi sono sentito indotto a mettere nero su bianco un mio dubbio cruciale, che cioè due famosi ritratti attribuiti al genio di Vinci, la Dama dell’ermellino, e più ancora La belle ferronnière, non siano usciti dalle sue mani. Ha aderito a questa mia tesi uno dei nostri migliori “modernisti”, Antonio Pinelli, che ha accettato di pubblicare un mio saggio in questo senso sulle sue autorevoli Ricerche di storia dell’arte (n. 120, 2016), una delle poche riviste del settore sopravvissute alla crisi del cartaceo. Non sto qui a riassumere le mie motivazioni, che si appoggiano sul fatto che fino agli inizi del secolo scorso i competenti anche più agguerriti davano il primo di quei ritratti al Boltraffio, e del secondo, che pure è stato posto trionfalmente nella copertina del catalogo per la mostra più “ufficiale” fra tutte, la milanese del 2015, non esiste alcun riferimento nei cenni biografici sull’artista, e dunque attribuirlo a lui è pura e semplice illazione.
Temevo una pioggia di contestazioni, magari anche di improperi, con proclamazione del classico “sutor, ne ultra crepidam”, tu, povero untorello di misere cronache del contemporaneo, come osi varcare una soglia solenne, muoverti nelle maestose sale del palazzo? E invece, silenzio, forse in base a un altro stereotipo, “non ti curar di lui ma guarda e passa”. E dunque, magari si insista pure nel replicare le mostre, ma si curi l’alibi di giustificarle come spunti per approfondire le indagini.
‒ Renato Barilli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #47
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