Museo Salinas, gioiello di Palermo
Cresce il Museo Salinas di Palermo. L’ultima mostra, che guarda a Napoli, Palermo e Pompei, è un’ottima prova sul piano della ricerca, degli allestimenti, della ricostruzione storica.
È il museo più antico della Sicilia, nato nel 1814 da un primo nucleo di donazioni private, sotto l’egida dell’Università di Palermo, e nel 1866 convertito in museo nazionale. Secondo la classifica 2018 di Style Magazine, mensile del Corriere della Sera, il Salinas è uno dei dieci musei archeologici più affascinanti del mondo. Un luogo straordinario, fra i maggiori tesori di proprietà della Regione siciliana.
Riaperto nel 2016 dopo un lungo cantiere, con l’appassionata direzione dell’archeologa Francesca Spatafora, dovrebbe inaugurare a breve l’ultima ala, a completamento di un vasto progetto di restauro e riallestimento. Intanto dischiude ogni giorno i suoi nuclei di reperti etruschi, punici, fenici, greci, romani, bizantini, dislocati tra le sale intorno al chiostro d’ingresso, a quello interno impreziosito da un romantico giardino, e alla splendida agorà, fulcro dell’edificio e palcoscenico mozzafiato. Ed è tutto un trionfo di fregi, metope, sculture, materiali lapidei, sarcofagi, monili, manufatti, vasellami.
PASSATO E PRESENTE
Lo spazio è radioso. Un chiarore filosofico inonda stanze, frammenti, corpi scolpiti: nella tessitura di pietra candida, di ocra, di luce meridiana, si avverte quasi il riverbero del lògos e del dáimon, di quella Magna Grecia in cui maturò l’idea di una kalokagathìa, l’ipotesi di un archè, il mistero della physis. Tutto è rapimento, concentrazione, viaggio tra simboli, oggetti, scritture, memorie.
E alla centralità della collezione si somma l’attenzione ai linguaggi del presente ‒ teatro, cinema, musica, arti visive, editoria ‒, senza dimenticare il lavoro con la didattica e la comunicazione, la connessione col territorio, i temi sociali, le partnership, giungendo alle call di CoopCulture – responsabile dei servizi aggiuntivi ‒ rivolte alle migliori realtà culturali cittadine, con il vaglio di un comitato scientifico. Celebrare il passato e reinventarsi con spirito contemporaneo.
LA MOSTRA
E poi le mostre. Produzioni originali che iniziano a scandire il palinsesto del Salinas, nel segno della ricerca e delle collaborazioni virtuose. L’ultima, Palermo Capitale del Regno. I Borbone e l’archeologia a Palermo, Napoli e Pompei, rievoca quel tempo in cui Palermo fu condottiera e regina. Era l’8 dicembre del 1816: il sovrano Borbone Ferdinando IV riuniva in un unico Stato il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia. Già l’anno dopo il prestigioso titolo di Capitale sarebbe passato a Napoli. Dodici mesi appena per la metropoli arabo-normanna, sede dell’antico Parlamento siciliano, sufficienti a lasciare in dono norme per la tutela del beni culturali e una serie di reperti archeologici, giunti per volere della famiglia reale.
La mostra, egregiamente curata da Spatafora con l’ausilio di un pool di studiosi, coinvolge il Museo Archeologico Nazionale di Napoli e i Parchi Archeologici di Pompei ed Ercolano. Le ampie sale, totalmente reinventate dall’efficace allestimento, accolgono una selezione di reperti e opere d’arte: statue, suppellettili, elementi architettonici, resti di pitture parietali. Un nucleo di donazioni che i sovrani Francesco I e Ferdinando II di Borbone destinarono al Salinas, oltre a diversi materiali provenienti da scavi ottocenteschi, finanziati dai reali in Campania. Una storia gloriosa, di politica, di governo e di conquista, ma anche di amore per la cultura e di investimenti lungimiranti.
Bianco, rosso pompeiano, giallo acceso e un blu lapislazzulo: i colori disegnano gli ambienti, scandendo il percorso attraverso Pompei e la Casa di Sallustio (parzialmente riprodotta in scala), Ercolano e Torre del Greco. Ideale sentinella, posta all’ingresso della mostra, è la copia romana della Menade rinvenuta a Roma, nelle Terme di Caracalla, tra il 1545 e il 1546, confluita nella collezione dei Farnese, quindi ereditata dai Borbone: un’ouverture aulica, tra suggestioni dionisiache e la potenza di un femminino intitolato alla grazia e all’eros.
Fattura di pregio anche per il Satiro versante, altra copia in marmo dell’originale in bronzo di Prassitele, per il piccolo gruppo con Eracle e la cerva, finezza di nero bronzeo e di curve possenti, o per la candida ninfa, immagine di meditazione e di dolcezza, sul bordo di un’antica vasca ormai perduta.
Ben calibrata, costruita con perizia, la mostra fa quello che ogni mostra dovrebbe fare: affiancare seduzione e conoscenza. Così, lungo una breve promenade fra storia recente e remota, miti lontani e fasti sbiaditi, va in scena un’idea di cultura che fu culto della memoria. Prestigio, vocazione, ricerca. E che resta radice, patrimonio: anche (e soprattutto) in tempi di disorientamento collettivo e di narrazioni al ribasso.
‒ Helga Marsala
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #14
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