Verrocchio, scintilla del Rinascimento. A Firenze
Palazzo Strozzi e il Museo del Bargello celebrano la memora artistica di Verrocchio, maestro rinascimentale cui si ispirarono illustri successori.
Nell’anno di Leonardo, a lui idealmente collegata per affinità, si tiene a Firenze la prima monografica italiana su colui che fu l’iniziatore del genio poliedrico rinascimentale: pittore, scultore, orafo, Andrea di Michele di Francesco di Cione detto Il Verrocchio (Firenze, 1435 ‒ Venezia, 1488) fu una personalità d’immenso talento, capace anche di riconoscere e valorizzare quei giovani artisti che contribuirono alla grandezza della Firenze di Lorenzo il Magnifico. 120 opere con prestiti dall’Europa e dagli Stati Uniti, 14 i restauri effettuati per l’occasione, fra cui quello del celeberrimo Putto con delfino. Al Museo del Bargello una sezione esterna permette di ammirare una selezione di sculture lignee a tema religioso.
LO SPLENDORE MEDICEO
Ereditando dall’avo Cosimo il Vecchio, dopo il breve intermezzo del padre Piero, la signoria fiorentina, Lorenzo, più tardi definito il Magnifico per i suoi indubbi meriti di statista e mecenate, svolse un’accorta politica di pacificazione dell’Italia, sulla scia del “concerto di alleanze” con il Regno di Napoli, la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano, costruito da Cosimo; una condizione che permise una relativa stabilità interna, a sua volta conditio sine qua non per uno sviluppo senza precedenti delle arti e della letteratura. La città toscana fu uno dei centri del Rinascimento, uno status che durò fino al 1559, ovvero fino alla pace di Cateau-Cambresis, che relegò l’Italia a colonia spagnola. Ma, intanto, fu nella vivace Firenze laurenziana che la bottega del Verrocchio prosperò, inondata di commissioni da parte pubblica e privata.
IL MAESTRO DEI MAESTRI
In Verrocchio, nel suo stile che anela alla perfezione, nella tensione della forma che riecheggia quella del pensiero filosofico neoplatonico, sta la radice del Rinascimento, quella su cui si sono formati, fra gli altri, Perugino, Ghirlandaio, Signorelli, Botticini, e appunto Leonardo da Vinci, che da lui imparò l’amore per lo scibile umano nelle sue varie discipline. Una mostra di ampio respiro, che si sviluppa fra scultura lignea, lapidea, bronzea, la produzione in stucco e i dipinti su tavola, opere contestualizzate fra quelle degli illustri allievi. Artista noto e sconosciuto insieme, Verrocchio non fu un Leonardo mancato, ma fu, al contrario, un artista completo che può essere considerato la sua antitesi, per quel continuo ricercare la perfezione, il non lasciare un’opera fino a che non avesse raggiunto un grado d’ineffabile bellezza.
OLTRE DONATELLO
Che sia il solenne marmo o il più rustico legno, Verrocchio vi si cimenta con certosina perizia, imprimendovi una bellezza enigmatica, così poco appariscente da richiedere una certa capacità d’osservazione per essere scoperta e ammirata. È infatti un artista di pensiero, uno dei più rappresentativi del Rinascimento; le sue figure femminili possono essere gentildonne o popolane, ma in ogni caso non viene meno in loro quella grazia già a suo tempo lodata da Dante e dagli Stilnovisti. Così come nel celeberrimo Putto con delfino Verrocchio getta le basi di quello che sarà il “bello naturale” di Lorenzo Bartolini. La scelta curatoriale si concentra molto sulle sculture degli Anni Sessanta del Quattrocento, ovvero della fase giovanile dell’artista, attraverso le quali si riscopre la sua figura di ultimo seguace di Donatello e suo continuatore, ma in forme ancor più aggraziate, risultato di una continua sperimentazione di metodi e materiali, che rivela il genio del Rinascimento, cultore dell’arte intesa come disciplina del sapere universale.
PLATONISMO SU TAVOLA
La bellezza della pittura di Verrocchio si distribuisce con equità fra lo splendore dei colori e la grazia, ora solenne ora vivace, della figura umana, incastonata su paesaggi naturali che lasciano trasparire l’armonia ideale della polis; fiumi, montagne, laghi, colline, boschi, tutto è espressione di un mosaico variegato in mezzo a cui scorrono esistenze improntate al raggiungimento della pienezza dell’essere. Una bellezza “misurata”, tale da dare l’impressione di spargersi sulla tela secondo i canoni della proporzione aurea. Giunto alla pittura relativamente tardi, negli Anni Settanta del secolo, poté riversarvi una notevole maturità d’approccio; si percepisce infatti ‒ osservando le espressioni serene, pudiche, sobrie, quasi timide dei suoi personaggi ‒ che l’opera è sempre meditata, attenta a esprimere non soltanto il talento dell’artista, ma anche e soprattutto l’essenza dell’essere umano, o almeno la sua essenza ideale, così come concepita dai neoplatonici, che imperversavano a Firenze sotto la guida di Marsilio Ficino. Ha torto il Vasari nel definirlo soltanto un virtuoso esteta della tecnica, colpevole di lasciare vuote le anime delle sue figure; Verrocchio fu in realtà uno dei più attenti cantori della naturalezza pittorica, specchio di un “classicismo moderno” che ha un’ulteriore estensione nelle geometrie luminose delle pitture, dove i preziosismi delle vesti rivelano anche le sue abilità di orafo.
‒ Niccolò Lucarelli
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