Antichi splendori da indossare. Seta, pittura e fili d’oro a Trento
Castello del Buonconsiglio, Trento – fino al 3 novembre 2019. Una mostra rara, che fa venir voglia di affondare le dita nei morbidi velluti di seta dai colori intensi e profondi, mentre lo sguardo corre sui fili dorati e argentati dei ricami. Manufatti fragili e lussuosi, che raccontano il ruolo delle migliori manifatture del Quattro e Cinquecento.
Dalmatiche, pianete, piviali, tonacelle: termini da addetti ai lavori, usati da chi studia e si occupa di paramenti liturgici e di conseguenza di stoffe e ricami antichi. Ma questo settore apparentemente di nicchia è in grado di svelare un universo affascinante che consente di addentrarsi negli stili artistici, nei rapporti tra manifatture e grandi artisti, nella storia del costume, nelle dinamiche commerciali di una società. Tutto ciò avviene a Trento grazie alla mostra Fili d’oro e dipinti di seta, allestita nelle sale del Castello del Buonconsiglio, dove si espongono preziosissimi manufatti tessili destinati alle celebrazioni liturgiche – spesso ricavati da abiti laici donati alla Chiesa – accostandoli a dipinti che puntualmente raffigurano la loro funzione e la loro importanza tra l’epoca gotica e rinascimentale in Italia centro-settentrionale, per poi sconfinare nel Nord Europa. A proposito del fondamentale ruolo dei tessuti in quei secoli e nei precedenti, una delle curatrici della mostra nonché direttrice del museo, Laura Dal Pra, ricorda l’emblematico episodio, noto a tutti, in cui il figlio di un mercante di stoffe di Assisi, di nome Francesco, abbandonò le proprie vesti per iniziare una nuova vita, mentre il vescovo prontamente coprì il futuro santo con il suo sfarzoso piviale.
IL PUNTO DI PARTENZA
Il pretesto che ha portato l’istituzione trentina a organizzare una mostra di tal sorta è stato l’acquisto sul mercato antiquario di due dalmatiche confezionate con diversi tessuti di origine italiana e decorate con ricami olandesi raffiguranti santi e scene del Nuovo Testamento. Ma l’ampio percorso espositivo delinea tutti i temi principali che afferiscono alla scala di valori che, tra tardo Medioevo e Rinascimento, era insita nei drappi prodotti per l’aristocrazia, la ricca borghesia e prelati d’alto rango. Lo documentano non solo gli splendidi paramenti liturgici – un esempio su tutti, quello di papa Niccolò V di ambito toscano – ma anche alcuni quadri dove i personaggi compaiono vestiti con velluti in seta luminosi e dai ricami scintillanti, gli stessi usati per decorare gli ambienti di rappresentanza, come è evidente in un’opera del misterioso Maestro di Hoogstraeten, attivo ad Anversa tra il 1495 e il 1520.
I MOTIVI, I LUOGHI
La selezione dei tessuti è frutto di una meticolosa ricerca che si è avvalsa anche di database ecclesiastici (quello della Conferenza Episcopale Italiana, in particolare) e che ha permesso di scovare ed estrarre dagli armadi delle sagrestie di mezza Italia – dalle grandi diocesi alle minuscole parrocchie – paramenti ancora oggi sfoggiati nelle occasioni più solenni. Il poderoso catalogo testimonia il lungo studio su ogni singolo pezzo, con il riconoscimento dei due principali ornati adottati dalle botteghe – quello “a cammino” e quello “a griccia” – e con approfondimenti sulle tecniche usate nei più importati centri di produzione tessile italiana al tramonto del Medioevo: Venezia, Firenze e Milano. Inoltre, a dimostrare quanto fosse piccola la distanza tra l’arte del ricamo e l’arte della pittura, in mostra è presente il cappuccio di piviale proveniente dal Castello Sforzesco di Milano e che fu ricamato in base a un disegno preparatorio verosimilmente di Sandro Botticelli. A lungo considerati “arte applicata” e quindi trattati con sufficienza dagli studiosi, i tessuti preziosi costituivano uno status symbol fondamentale, tanto che l’aristocrazia “nelle stoffe spendeva più che in alcun altro bene di lusso” (Giovanni Carlo Federico Villa in catalogo): la mostra di Trento contribuisce così a ridare dignità a quei capolavori di seta e fili preziosi, dimostrandone la stretta vicinanza e le relazioni con la pittura.
‒ Marta Santacatterina
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