Roma celebra Luca Signorelli, “pittore eccellente”. Con una mostra al Campidoglio
La mostra allestita a Palazzo Caffarelli porta per la prima volta a Roma le gesta artistiche di Luca Signorelli, “voce” del Rinascimento troppo spesso sottovalutata.
“Fu Luca Signorelli pittore eccellente, e nel suo tempo era tenuto in Italia tanto famoso e l’opre sue furono in tanto pregio, quanto nessuno in alcun tempi sia stato”. Il Vasari, nelle sue celebri Vite, dedica poco spazio ma più di un’iperbole al tormentato maestro del Duomo di Orvieto, cui guardarono con meditata attenzione Raffaello e Michelangelo, i due geni che ne oscurarono la fama decretandone il secolare oblio. Di lui sappiamo che visse a Cortona tra il 1450 (circa) e il 1523; che lasciò segni mirabili del proprio lavoro in Toscana, in Umbria, nelle Marche – segnatamente, diversi cicli di affreschi tra i quali l’opera per cui soprattutto viene ricordato: i dipinti “danteschi” della Cappella di San Brizio a Orvieto, precursori della Sistina ‒oltre che a Roma, dove soggiornò più volte e dove educò lo sguardo e la mano alle plastiche forme della statuaria classica e ai fantasiosi fraseggi delle grottesche della Domus Aurea, proprio in quegli anni rinvenuta; che Piero della Francesca e Antonio del Pollaiolo furono i suoi maestri putativi: se vi sia stato un reale alunnato, non v’è certezza. Parliamo di Luca Signorelli perché, per la prima volta, Roma rende omaggio a questo protagonista, talvolta negletto, del nostro Rinascimento con una mostra articolata nelle sale di Palazzo Caffarelli, una delle storiche sedi dei prestigiosi Musei Capitolini.
LE OPERE E I PROTAGONISTI
I capolavori adunati per l’occasione provengono da collezioni pubbliche e private, italiane ed estere. Ci troviamo a contemplare la Madonna Bache del Metropolitan Museum e ci lasciamo coinvolgere dalla malinconica compostezza degli sguardi, dall’intensità del lume che si accende improvviso sulla sacra maternità rivelando un pregiato fondo oro istoriato che rimanda al riguardante l’eco delle antiche grottesche neroniane. Ed eccoci di fronte al Martirio di San Sebastiano proveniente dalla Pinacoteca di Città di Castello – il soggetto è un topos iconografico dell’epoca ‒ appena restaurato per l’occasione. Nei protagonisti e nei figuranti della rappresentazione sacra ‒ collocati in una irreale scenografia di rovine e di monumenti capitolini ‒ sembrano essersi incarnate le antiche statue romane, con le loro pose classiche mille volte ‒ spesso distrattamente ‒ intraviste già nei libri di scuola; con quella loro nativa energia che alimenta e rinvigorisce e agita il volume dei corpi. In arte l’incarnazione non è una fede ma un fatto; vorremmo dire: un atto. Grazie anche al formidabile linguaggio veicolare di Signorelli, il genius di quelle antiche statue si è palesato perfino nel nostro avanguardistico Novecento. Ci riferiamo in particolare a quel gruppo di artisti raccoltosi attorno alla rivista Valori Plastici di Mario Broglio e il pensiero va a de Chirico, a Gentilini, a Cagli.
‒ Luigi Capano
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