Sulle tracce di Raffaello. In attesa che la mostra di Roma riapra
Inaugurata alle Scuderie del Quirinale e subito chiusa in seguito al decreto per contenere il Coronavirus, la mostra su Raffaello ne approfondisce la storia e la poetica. Qui ripercorse da Ludovico Pratesi.
Una mostra straordinaria come quella di Raffaello (Urbino, 1483 – Roma, 1520) alle Scuderie del Quirinale, attualmente chiusa per effetto del Coronavirus, rappresenta la conclusione di un lavoro scientifico che ha coinvolto 54 prestatori da tutto il mondo e decine di studiosi, coordinati da un comitato scientifico di 14 esperti del Sanzio, presieduto da Sylvia Ferino-Pagden. Curata da Marzia Faietti e Matteo Lafranconi con Francesco P. Di Teodoro e Vincenzo Farinella, riunisce più di 200 opere per celebrare il 500esimo anniversario della morte del Divino, avvenuta il 6 aprile 1520. Uno sforzo durato tre anni per realizzare una mostra di livello internazionale che rischia di essere vanificato dal virus? No, perché una mostra di studio rappresenta prima di tutto un’occasione imperdibile per approfondire meglio la figura di questo protagonista assoluto del Rinascimento. Così, dopo le celebrazioni che si svolsero nel 1983 per l’anniversario della sua nascita, a quasi mezzo secolo di distanza questa esposizione fa il punto su come il Ventunesimo secolo vede Raffaello, grazie ai saggi contenuti nel ponderoso catalogo edito da Skira. Quali sono le principali novità che questa mostra ha portato nella visione di questo genio assoluto? Non poche, e di notevole interesse non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per il grande pubblico. Innanzitutto, come racconta Marzia Falletti, Raffaello era affascinato da Leonardo da Vinci, il suo principale punto di riferimento per l’intera carriera. E Michelangelo? Facciamo un salto indietro nel tempo.
IL LEGGIADRO RAFFAELLO
Intorno al 1514 l’ambiente artistico e intellettuale italiano era diviso tra due fazioni: i sostenitori del binomio Dante- Michelangelo da una parte, che apprezzavano la loro “dificultà”, e dall’altra parte la coppia Raffaello-Petrarca, titolari della “facilità”. Giorgio Vasari non aveva dubbi nel preferire Michelangelo “divinissimo” a Raffaello “leggiardo”, ma di parere diverso erano non solo Pietro Aretino e Baldassare Castiglione, ma anche Ludovico Ariosto e Pietro Bembo.
Il nostro era colto, leggeva e componeva anche sonetti di gusto petrarchesco, come provano i cinque sonetti, scritti tra il 1509 e il 1510, sui disegni preparatori della Disputa del Sacramento nelle Stanze di Giulio II in Vaticano, esposti alle Scuderie.
La sua grande abilità nell’arte era appunto quella di armonizzare le citazioni e i modelli provenienti dall’arte classica, fissati attraverso straordinari disegni preparatori per ogni opera: non solo architetture e sculture, ma perfino scene teatrali, come nel caso dello sfondo della Cacciata di Eliodoro, ispirato a scenografie di commedie classiche. Studio e fantasia, ma soprattutto volontà di affidare l’esecuzione di ogni opera al disegno di ogni dettaglio, in modo da raggiungere “una riconciliazione della storia passata con il presente”, sottolinea Falletti.
Un talento che il Sanzio mette a frutto soprattutto nelle Stanze, ricche di riferimenti ad architetture e sculture classiche ‒ come puntualizza Arnold Nesselrath ‒, come il fregio sull’Arco di Costantino visibile nell’affresco della Battaglia di Costantino o lo skyline della Roma antica sullo sfondo della Visione della Croce. “Raffaello gestiva anche questa attività archeologica attraverso la sua bottega. Teneva al proprio servizio disegnatori, incaricati di recarsi in Paesi lontani come la Grecia, per censire reperti e incrementare così la sua conoscenza e quella della sua cerchia” scrive lo studioso.
ANTICHITÀ E DISEGNO
Una cerchia della quale doveva far parte anche l’architetto Antonio da Sangallo il Giovane, secondo la suggestiva ipotesi di Alessandro Viscogliosi, al quale Raffaello affidò i rilievi dei Fori Imperiali intorno al 1519, quando papa Leone X gli chiese di realizzare una pianta di Roma antica. “Raffaello era il massimo esperto di antichità del proprio tempo” ‒ aggiunge Vincenzo Farinella ‒ “capace di competere, per sapienza antiquaria, con i più celebri umanisti e letterati degli inizi del Cinquecento”: disegnava dettagli di famose sculture classiche che poi riutilizzava nelle pale d’altare o negli affreschi. Per non parlare degli arazzi: nel 1516 Leone X commissiona a Raffaello i cartoni per le Storie di San Pietro e san Paolo, che dovevano costituire la base per gli arazzi più preziosi al mondo, tessuti con fili d’oro e d’argento nella bottega di Peter Van Aelst a Bruxelles e destinati a essere posizionati nella parte bassa della Cappella Sistina durante i conclavi. Anche in questo caso il Sanzio vuole sperimentare nuove soluzioni, proponendosi “di tradurre su tessuto l’illusione della tridimensionalità, in scene che si muovono in modo realistico”, sottolinea Sylvia Ferino-Pagden. “Per rendere efficacemente le espressioni dei personaggi, che manifestano i propri affetti in modo estremamente chiaro, Raffaello prende a modello Leonardo, mentre la drammatica gestualità è ispirata all’esempio di Michelangelo. Il nuovo carattere statuario delle figure, coperte da pesanti vesti spesso drappeggiate come toghe, è invece il risultato della crescente imitazione ed emulazione delle statue classiche”. In parole povere, Raffaello da giovane guarda a Leonardo, mentre quando arriva a Roma dialoga con Michelangelo e studia l’antico.
DA BELLINI A PINTURICCHIO
Ma non solo: il Sanzio ha occhi anche per i pittori della generazione precedente: lo studio per la Pala di Monteluce con l’Incoronazione della Vergine, conservato all’Ashmolean di Oxford, sarebbe ripreso dalla grande pala d’altare di Giovanni Bellini (1475) con lo stesso soggetto, che l’artista poteva aver visto da giovane nella chiesa di San Francesco a Pesaro, come sostengono Angelamaria Aceto e Francesco P. Di Teodoro. Nei suoi numerosi viaggi fiorentini, effettuati fin da giovanissimo, Raffaello era interessato alle sculture di Donatello, e Alessandro Nava ipotizza un suo viaggio a Padova, sulla base di una citazione presente in un disegno con le Esequie di un vescovo (1507), oggi conservato a Monaco di Baviera. Infine, Vincenzo Farinella ci introduce nei misteriosi meandri della formazione di Raffaello, non più dominata da Perugino, come ha scritto Vasari. Se il Sanzio conosceva di certo l’arte di Pietro Vannucci, a partire dal 1502 guarda soprattutto Pinturicchio, come dimostra La Resurrezione di Cristo (1499-1500) oggi a San Paolo del Brasile, dove il sarcofago marmoreo e le fantastiche armature dei soldati, secondo Farinella, derivano dalla pittura di Pinturicchio. Una ulteriore prova della complessità di Raffaello, che la mostra alle Scuderie restituisce in maniera esemplare.
‒ Ludovico Pratesi
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