Memorie di un esploratore dimenticato: l’Egitto di Belzoni a Padova
Centro Culturale Altinate San Gaetano, Padova – fino al 26 luglio 2020. Padova celebra con una mostra le avventure e le scoperte in Egitto agli inizi dell’Ottocento di Giovanni Battista Belzoni, l’esploratore dimenticato dalla Storia ma che ha ispirato al cinema il leggendario Indiana Jones.
La Storia a volte si lascia scrivere da personaggi fuori dal comune, si serve di loro e poi li dimentica. Uno di questi nomi, inciso da duecento anni nella roccia della piramide di Chefren, è quello di Giovanni Belzoni (Padova, 1778 – Gatwo, 1823).
Rimane ancora un mese per visitare L’Egitto di Belzoni, la mostra allestita al Centro Altinate San Gaetano di Padova in occasione del bicentenario dal suo ritorno in patria. La monografica che gli dedica la sua città natale ripercorre la vita di questo esploratore rinnegato dalla Storia ma amato dal cinema: è lui che ha ispirato al regista George Lucas il celebre Indiana Jones.
Non fu un archeologo, non fu un egittologo: Belzoni fu un avventuriero di umili origini dai metodi intuitivi e dagli errori fortunati, figlio di un’epoca che si concesse il lusso di depredare in nome della scienza. Il giudizio su questa figura controversa è rimesso al visitatore, che con lui si addentra in un dedalo di cunicoli e camere sepolcrali, corridoi stellati e canneti lungo il Nilo, in una visita incalzante e tecnologicamente immersiva, tra memoria storica e narrazione.
All’alba dell’archeologia Belzoni non ebbe solo idee lungimiranti ma il cuore e il coraggio di realizzarle. Raccontare le sue scoperte significa riscriverne la memoria alla luce della sua passione per l’ignoto, della forza fisica e della determinazione, qualità che fecero davvero la differenza nel successo di imprese in cui tutti prima di lui avevano fallito a colpi di dinamite, Napoleone compreso.
DAL PALCOSCENICO DI LONDRA ALLA VALLE DEI RE
A sedici anni Belzoni lasciò il sonnolento borgo fluviale di Padova: i racconti dei marinai di passaggio nella bottega del padre barbiere lo portarono a studiare ingegneria idraulica tra Roma, Parigi e Amsterdam. Alto più di due metri, le prime piramidi che vide furono quelle “umane”: nei panni di Sansone Patagonico, personaggio cucito ad arte sulla sua straordinaria fisicità, “the Great Belzoni” sul palcoscenico sosteneva sulle spalle fino a undici persone, ma la Storia aveva in serbo per lui ben altre imprese, sotto il sole cocente del deserto.
Tutto iniziò con un rifiuto: quando il pascià d’Egitto bocciò il suo progetto di macchina idraulica, per tre anni dal 1816 Belzoni spiegò le vele lungo il Nilo. Su quelle rive incontrò viaggiatori instancabili, come l’amico Johann L. Burckhardt, e lavorò al soldo di consoli avidi e invidiosi, come Bernardino Drovetti e Henry Salt.
LE CONQUISTE DI BELZONI
Nella mostra di Padova un Belzoni dalla personalità mastodontica si staglia tra le rovine della “città dei giganti”, quando da Tebe riuscì a trasportare a Londra il sorriso colossale del Giovane Memnone. Il suo piede violò per primo il tempio di Ramses II e l’ingresso della piramide di Chefren, ma la scoperta che divenne leggenda fu la “Cappella Sistina egizia”, la tomba di Sethi I. Belzoni portò alla luce tesori che non arricchirono lui ma i musei archeologici di tutta Europa, tra i prestatori d’eccellenza della mostra padovana, destinati a rimanere incompresi in quelle teche ancora per molti anni.
La sete di conoscenza gli diede mille ragioni per vivere e una per morire: Belzoni lasciò di nuovo Padova da eroe nel 1819 per inseguire il richiamo delle favoleggiate sorgenti del Niger. Morì il 3 dicembre 1823, forse per un virus, c’è chi dice avvelenato, e fu sepolto all’ombra di una palma nello sperduto villaggio di Gwato, in Nigeria. Due statue della dea Sekhmet dalla testa di leonessa rimangono a sorvegliare i corridoi di Palazzo della Ragione: come sono arrivate a Padova? Le ha donate Giovanni Battista Belzoni.
‒ Serena Tacchini
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