Grande mostra sul Barocco a Venaria. Guida alle sezioni migliori

Una mostra che farà storia, quella allestita nella Reggia Sabauda alle porte di Torino. Qui vi raccontiamo le sezioni che ci sono piaciute di più.

Anche la Reggia di Venaria Reale riapre dopo il lockdown con una mostra che garantisce il distanziamento sociale: nella Citroneria Juvarra, infatti, si stagliano nell’ampio spazio oltre duecento capolavori databili tra la fine del Seicento e la seconda metà del Settencento.
Sfida al Barocco. Roma Torino Parigi 1680-1750, curata da Giuseppe Dardanello (Università degli Studi di Torino) e Michela di Macco (Università di Roma La Sapienza),coinvolge i più prestigiosi musei delle tre città: dal Musée du Louvre all’Accademia Nazionale di San Luca, dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica – Palazzo Barberini e Galleria Corsini a Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica, dai Musei Reali (Biblioteca Reale, Galleria Sabauda, Palazzo Reale) al Musée des Arts Décoratifs.
L’esposizione rappresenta l’esito di un articolato progetto di ricerca svolto da un comitato scientifico internazionale nell’ambito del Programma di ricerche sull’età del Barocco della Fondazione 1563 per l’Arte e la Cultura, grazie al sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo, ed è organizzata dal Consorzio delle Residenze Reali Sabaude.
Abbiamo già parlato della mostra, ma in questa sede vogliamo raccontarvi le sezioni dell’allestimento che ci sono piaciute di più.

SEZIONE 0 – APERTURA DELLA MOSTRA

Pompeo Girolamo Batoni, Pittura, Scultura e Architettura, 1740, olio su tela. Rivoli, Collezione Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’Arte

Pompeo Girolamo Batoni, Pittura, Scultura e Architettura, 1740, olio su tela. Rivoli, Collezione Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’Arte

In Umano troppo umano, Nietzsche scrive che “lo stile barocco nasce allo sfiorire di ogni grande arte, ogni volta che le esigenze nell’arte dell’espressione classica sono diventate troppo grandi”; esso è una forma d’essere più che uno stile in senso stretto ed è destinato a ripetersi “molte volte nella poesia, nella prosa, nella scultura, nell’architettura”, così come nella musica e nella pittura.
La mostra si apre introducendo il visitatore alla progressiva consapevolezza del Barocco: tre esempi di allegorie delle arti – a opera di tre fra i maggiori protagonisti dell’intera mostra, ovvero Pierre Subleyras, Pompeo Girolamo Batoni e Jean-Siméon Chardin – descrivono i diversi modi di rappresentare la modernità in rapporto con l’antico e la natura. Con la sua Allegoria della Pittura, Scultura e Architettura, Batoni si inserisce nella tradizione delle personificazioni delle Arti: un’allegoria per confermarne la pari dignità delle espressioni artistiche, l’aequa potestas sostenuta nell’ambito accademico romano. La natura morta di Subleyras ne I cinque sensi racconta con pochi tocchi la predilezione barocca per il genere della vanitas e la capacità dei moderni di eguagliare gli antichi. Infine, Gli attributi delle Arti di Chardin afferma il primato dei moderni e introduce la raffigurazione della “scimmia pittrice”, simbolo dell’ars simia naturae (la natura come primario modello delle Arti).

SEZIONE 4 – TORINO CIRCA 1680. ALLA RICERCA DI UNA IDENTITÀ MODERNA

Guarino Guarini, Studio di un settore del tamburo e della cupola per la Cappella della Sindone, 1675 ca., stilo, penna e inchiostro bruno su preparazione a matita, su carta avorio. Torino, Archivio di Stato

Guarino Guarini, Studio di un settore del tamburo e della cupola per la Cappella della Sindone, 1675 ca., stilo, penna e inchiostro bruno su preparazione a matita, su carta avorio. Torino, Archivio di Stato

La quarta sezione è dedicata alla città ospite; una specie di prologo della storia di Torino, in parallelo a quella francese e a quella romana raccontate in altre sezioni.
A fine Seicento, Torino è una “città nuova”: si tenta di ridisegnare un’identità culturale, architettonica e figurativa all’altezza delle ambizioni politiche sabaude, in uno scenario al confine con quello europeo ma “debole” per quanto riguarda le tradizioni artistiche locali. Scritto ciò, proprio in quanto luogo principalmente d’importazione artistica, la città era in grado di offrire multiformi possibilità di lavoro a pittori, scultori e architetti. Maestranze da tutta Europa si incontravano e influenzavano vicendevolmente, in un clima fertile e brillante; è in questa humus che attecchiscono i modelli delle spettacolari, vertiginose e immaginifiche architetture di Guarino Guarini – imperdibile, in mostra, l’unico disegno superstite per la cappella della Sindone – e la poliedrica e originale Morte di san Francesco Saverio, una pala a opera di Andrea Pozzo che dimostra le suggestioni romane, genovesi e lombarde.

SEZIONE 7 – TORINO 1715-1740. PER UNA “GALLERIA DEI MAESTRI DELLE SCUOLE D’ITALIA”

Sebastiano Ricci, Il ritrovamento di Mosè, 1727 28, olio su tela. Torino, Musei Reali – Palazzo Reale, Sala dell’Alcova

Sebastiano Ricci, Il ritrovamento di Mosè, 1727 28, olio su tela. Torino, Musei Reali – Palazzo Reale, Sala dell’Alcova

Filippo Juvarra, vanto eterno della città, giunse a Torino con la nomina a primo architetto regio nel 1714, dopo un decennio vissuto a Roma durante l’apice dell’esperienza arcadica, nella cerchia del cardinale Ottoboni insieme con Francesco Trevisani e Sebastiano Conca.
Nei vent’anni di attività torinese (1714-1735) l’architetto portò avanti quel progetto culturale unitario e di rinnovamento di cui si è trattato nella sezione 4: le residenze reali, gli edifici per l’amministrazione dello Stato e le chiese vennero trasformate e rifondate dallo stesso sguardo riformatore. Dal 1731 Juvarra lavorò al Palazzo Reale, sotto la committenza del nuovo re Carlo Emanuele III: tali interventi, uniti ai cantieri avviati presso Rivoli – nel quale l’architetto mise a paragone la scuola napoletana rappresentata da Francesco Solimena con quella veneziana, illustrata da Sebastiano Ricci – facevano parte di un progetto innovativo per allestire una straordinaria esposizione di arte contemporanea, una “Galleria dei migliori maestri delle scuole di Italia”. Riguardo ai lavori presso la Palazzina di caccia di Stupinigi e presso Villa della Regina, la loro collocazione fuori porta e soprattutto la loro finalità di svago hanno permesso scorci pittoreschi e tagli teatrali, con colori vibranti, dettati e assecondati dalle atmosfere naturali.

SEZIONE 9 – ROMA ANTICA E MODERNA. NELL’ANTICO LA NATURALEZZA

Giovanni Paolo Panini, Galleria immaginaria di vedute di Roma antica, 1757, olio su tela. New York, The Metropolitan Museum of Art

Giovanni Paolo Panini, Galleria immaginaria di vedute di Roma antica, 1757, olio su tela. New York, The Metropolitan Museum of Art

Verso la metà del secolo, Roma si conferma la depositaria dei modelli artistici italiani; ma presto il rinnovamento accademico di influenza francese matura nuove riflessioni, ad esempio quelle di Slodtz e Adam, che con i loro busti uniscono alla lezione di Bernini lo studio dal vero e della statuaria antica.
Le opere raccolte nella nona sezione illustrano la reazione degli artisti di fronte ai modelli della classicità: un guanto di sfida gettato all’antico da parte di inedite tendenze moderne – e con questa prospettiva si possono osservare la Roma antica e la Roma moderna di Giovanni Paolo Panini, eccezionalmente in prestito dal Met di New York. Si afferma un vero e proprio genere, ovvero le vedute delle cosiddette gallerie immaginarie, esposizioni in luoghi ideali e fiabeschi, dove gli artisti immaginano un horror vacui sopperito dall’ammassamento di quadri e sculture sia proiettate dal passato sia provenienti dall’arte moderna – ad esempio, le statue di Michelangelo e Bernini riprodotte da Panini. Una sorta di allegoria delle arti che incontra il vedutismo più spinto – un metavedutismo, si oserebbe dire – dimostrando l’ingegno e la tecnica fenomenale del moderno, capace di superare i modelli originari.

SEZIONE 10 – RICERCHE SUL VERO E SUL NATURALE (1710-1740)

Pierre Subleyras, Nudo femminile di schiena, 1732 ca., olio su tela, Roma, Gallerie Nazionali Barberini Corsini, Palazzo Barberini

Pierre Subleyras, Nudo femminile di schiena, 1732 ca., olio su tela, Roma, Gallerie Nazionali Barberini Corsini, Palazzo Barberini

La prima metà del Settecento è caratterizzata da sperimentazioni sul Vero e sul Naturale. Lo studio della figura umana acquisisce una intensità nuova, raccogliendo esperienze e conclusioni dal secolo precedente: la ricerca si focalizza sul genere del ritratto, come dimostrano il dipinto di Benedetto Luti, Mezzo busto di giovane donna di spalle reggente un quadro o uno specchio – non a caso reggerebbe uno specchio, oggetto simbolico di tutto il Barocco – e il Busto Madame Vleughels di Edme Bouchardon, maestro eccelso del marmo che trasforma la materia in movimento e metamorfosi.
È in questa sezione che si può ammirare il Nudo femminile di schiena di Pierre Subleyras, corrispettivo del modello antico dell’Ermafrodito Borghese: il testo critico della mostra lo definisce “una pittura di tocco, potente e calibrata, a inseguire il calore della pelle viva” con “sconcertante naturalezza”. Un’opera seducente e magnetica proprio grazie alla sua – rinnovata – semplicità.

Federica Maria Giallombardo

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Federica Maria Giallombardo

Federica Maria Giallombardo

Federica Maria Giallombardo nasce nel 1993. Consegue il diploma presso il Liceo Scientifico Tradizionale “A. Avogadro” (2012) e partecipa agli stage presso l’Assessorato alla Cultura della Provincia di Biella (2009-2012). Frequenta la Facoltà di Lettere Moderne presso l’Università degli Studi…

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