Il Salvator Mundi e Leonardo da Vinci, tra enigmi e conferme
È una delle opere più chiacchierate degli ultimi anni e la sua “sparizione” non fa che aumentare la curiosità verso le sorti di un’opera realizzata, forse, da Leonardo da Vinci. Stiamo parlando del controverso “Salvator Mundi”, analizzato qui da Stefano Piantini.
Trattiamo qui di seguito un tema complesso, dibattuto e affascinante che riguarda la storia del dipinto noto con il titolo di Salvator Mundi attribuito a Leonardo e oggetto di riflessioni da parte di grandi storici dell’arte. In sostanza il tema è centrato su quali elementi lo individuino come un Leonardo, di sua mano, o come un Leonardo concettualmente e certamente da lui ideato e architettato, con interventi pittorici, coevi e non, non tutti di sua mano.
Il Salvator Mundi è un dipinto a olio su tavola, formato 66 x 46 cm. Il legno della tavola è il noce. La datazione lo colloca tra il 1490 e il 1519, essendo quest’ultimo l’anno della morte di Leonardo.
Il dipinto riprende l’iconografia bizantina del Cristo Pantocratore. In luogo del classico libro con le lettere Alfa e Omega, la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco, l’inizio e la fine (“Io sono l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il Principio e la Fine”, Apocalisse, 22), Cristo regge in mano una sfera di cristallo, meravigliosa, che contiene, nell’infinitamente piccolo, ogni cosa vivente nel Mondo, come l’Aleph di Borges. Una sfera di vetro riempita d’acqua, il mare da cui viene la vita; una lente, in uso già dall’epoca medievale. Come detto in apertura, vi sono elementi a favore della attribuzione certa a Leonardo, di sua mano, da parte di studiosi di fama e scienza mondiali e indiscutibili (i ricami della veste, la forma delle unghie, i pentimenti, l’uso della luce e dello sfumato, superbi), altri contrari (lo stato del dipinto prima del restauro, cattivo e sfregiato da interventi pittorici successivi, la freddezza schematica dei boccoli del Cristo, l’incarnato della mano benedicente, sezioni della veste poco leggibili). Per alcuni è un capolavoro di Leonardo e del lavoro straordinario della restauratrice.
La ideazione da parte di Leonardo sembra certa mentre il suo intervento diretto sulla tavola è fonte di dubbi. Certo il dipinto è stupendo, certo un soggetto simile è stato dipinto da Caprotti (Salaì, uno dei suoi fidanzatini), da Cesare da Sesto, dalla Bottega di Leonardo (versioni Napoli, de Ganay, Worsley) dal Giampietrino, da Marco d’Oggiono…
“Nel caso del Salvator Mundi il bene è unico e irripetibile, l’utilità marginale del compratore è massima, la scelta, ossia la decisione di acquisto, non è sensibile (o lo è in misura minima) alla variazione del prezzo del bene”.
Ora, analizziamo la sequenza di crescita di valore economico del dipinto. Il punto, ossia l’opera d’arte più costosa della Storia acquistata da un privato, è tutt’altro che secondario. L’opera è stata acquistata per la cifra, da capogiro, di 450,3 milioni di dollari, inclusi i diritti d’asta. Battuta da Christie’s a New York, Rockefeller Center, il 15 novembre del 2017. Ecco la sequenza cronologica dei valori economici dell’opera oggi conosciuti: 1958, 75 sterline; 2005, 1.175 dollari; 2013, 75.000.000 dollari; 2017 450.300.000 dollari. Il dipinto viene battuto dopo poco meno di 19 minuti di rilanci di 2 (lo sfidante) e 10 (il vincente) milioni di dollari al colpo.
L’acquirente, secondo fonti di Intelligence USA, sarebbe il principe saudita Badr bin Abdullah bin Mohammed bin Farhan Al Saud per conto dell’erede al trono, il principe Mohammed bin Salman (nell’ottobre del 2018 Jamal Khashoggi, uno dei più celebri giornalisti contemporanei, editorialista del Washington Post, voce prima vicina al potere della famiglia reale saudita, poi divenuta quella di un dissidente, viene assassinato e fatto a pezzi all’interno del consolato saudita a Istanbul. Si sospetta che il mandante sia Mohammed bin Salman).
E il dipinto dov’è finito? Da New York forse vola a Zurigo, in uno dei freeport della città, come suggerisce la superlativa restauratrice dell’opera Dianne Dwyer Modestini (in Svizzera esistono 245 depositi doganali analoghi a quello di Zurigo. A parere dell’Economist, i soli Freeport di Ginevra e Zurigo custodiscono beni di pregio, incluse molte opere d’arte, per circa 10 miliardi di dollari). Il Salvator dovrebbe essere esposto al Louvre Abu Dhabi nel settembre del 2018, sino a oggi non si è ancora visto. 2019, anno leonardiano: il dipinto avrebbe dovuto essere esposto alla super-mostra del Louvre, ma il dipinto non arriverà a Parigi. O forse è stato a Parigi per essere analizzato dal Centro di Ricerca e di Restauro dei Musei di Francia; pare sia stato, in quella sede, attribuito a Leonardo e riconosciuto come proprietà del Ministero della Cultura del Regno dell’Arabia Saudita. È d’uopo sottolineare che il solo costo assicurativo del dipinto varrebbe quanto l’investimento per la realizzazione di una mostra di alto livello e, a specchio, assicurarlo a un valore inferiore equivarrebbe a svalutarlo e quindi a metterne in dubbio l’attribuzione. Un serpente uroboro realmente diabolico.
LEONARDO E LA MICROECONOMIA
Ora consentitemi una succinta digressione connessa alla scienza economica, e in particolare alla cosiddetta microeconomia, ossia lo studio del comportamento dei singoli operatori e del funzionamento dei singoli mercati. In microeconomia, con il concetto di elasticità della domanda rispetto al prezzo di mercato – definibile come reattività della quantità domandata di un bene in seguito a una variazione del prezzo di tale bene – si indica quella misura che mette in relazione la variazione percentuale della quantità domandata con la variazione percentuale del prezzo, data una certa funzione di domanda. Il grande economista inglese Alfred Marshall (ma da tempo si postula che il genio vero sia stata la moglie, Mary Paley) nel 1890 rese popolare l’utilizzo delle funzioni di domanda e offerta come strumenti per la determinazione del prezzo; un altro dei suoi (?) contributi fu l’idea che i consumatori tendano a eguagliare i prezzi alla loro utilità marginale e la stessa nozione di elasticità della domanda rispetto al prezzo veniva presentata da Marshall come estensione di questi concetti. Nel nostro caso, paradossalmente, abbiamo una funzione di domanda definita anelastica rispetto al prezzo, infatti la domanda dei beni di lusso (yacht, gioielli, fashion di alta gamma, automobili sportive… opere d’arte) è poco sensibile alle variazioni di prezzo del bene. Nel caso del Salvator Mundi il bene è unico e irripetibile, l’utilità marginale del compratore è massima, la scelta, ossia la decisione di acquisto, non è sensibile (o lo è in misura minima) alla variazione del prezzo del bene.
Infine: non ho gli strumenti scientifici e tecnici per giudicare, né mi permetterei mai di dire una sciocchezza su un tema così complesso, specialistico e delicato. Trasferisco l’interrogativo ai lettori, attraverso tre immagini: il dipinto oggi, il dipinto prima del restauro, una fotografia in bianco e nero eseguita nel 1912 (di quest’ultima la fonte non è certa al 100%). Ho calcolato, ampiamente per difetto, che nel corso della mia vita lavorativa (e non solo lavorativa) a oggi ho visto circa 1.500.000 immagini di opere d’arte, architettura, design. Molte ripetute centinaia o decine di volte, naturalmente, molte stupende, altre meno. Sono abituato a lavorare con le immagini, amo le immagini.
Il Salvator Mundi è enigmatico, magico, inquietante (forse si potrebbe leggere, nella veste, una piega a forma di Omega sul lato sinistro, ossia la Fine) potente e bellissimo. Un mistero affascinante. Speriamo di poter rivedere il dipinto “live”, prima o poi.
‒ Stefano Piantini
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