Distrutto da cercatori d’oro illegali un antico insediamento in Sudan
Nei vuoti di potere di un Paese che stenta a risollevarsi dalla lunga guerra civile, il patrimonio artistico e culturale nazionale rimane molto spesso senza tutela. E oltre ai furti degli archeologi illegali legati al mercato nero delle antichità, subisce anche i danni causati dall’avidità delle bande, anch’esse illegali, di cercatori d’oro. Ultima vittima, un insediamento del Regno di Kush
Un’enorme voragine ha cancellato l’antico sito archeologico di Jabal Maragha, nel deserto di Bayouda,circa 170 miglia a nord di Khartum. Responsabili del grave accaduto i cercatori illegali d’oro che, aggredendo il terreno con potenti escavatori, ne hanno causato il cedimento. Inoltre, utilizzando le pietre dei resti delle antiche costruzioni, avevano persino improvvisato dei sostegni per erigere ripari contro il sole, sotto i quali prendere i pasti o addirittura pregare nelle ore comandate. Un’organizzazione perfetta, fino a quando i predatori sono stati sorpresi dagli archeologi che si stavano recando sul posto, e che per buona sorte erano accompagnati da una scorta della polizia; i malviventi sono stati quindi bloccati e identificati. Ma a conferma dell’indifferenza, anzi della connivenza delle autorità in materia di traffico illegale dell’oro, i cercatori, accompagnati a una stazione di polizia, sono stati rilasciati dopo poche ore. Non è difficile ipotizzare, come sostiene anche Mahmoud al-Tayeb– un ex esperto del dipartimento di antichità del ministero della culturasudanese, nonché professore di archeologia all’Università di Varsavia – l’esistenza di forti tangenti che passano dai cercatori alle autorità, almeno locali se non addirittura governative. Un atteggiamento che rischia di causare danni non soltanto all’ambiente naturale (per i metodi invasivi di scavo) ma anche al patrimonio artistico nazionale.
IL SITO ARCHEOLOGICO DI JABAL MARAGHA, L’ANTICO REGNO DI KUSH
Gli scavi erano stati avviati, dopo una lunga campagna esplorativa, nel 1999 dall’archeologo Habab Idriss Ahmed, e l’insediamento di Jabal Maragh afaceva parte, assieme ad altri scoperti nelle vicinanze, dell’antica civiltà Kush che fiorì nella leggendaria Nubia fra il 2000 a.C. e il IV Secolo d.C. e che, analogamente a quella egizia, si sviluppò lungo il fiume Nilo. I suoi centri più importanti furono Kerma, Napata e Meroe, quest’ultima famosa per le sue piramidi sullo stile di quelle dei Faraoni; all’epoca in Nubia si commerciava in oro, avorio, grano, schiavi e cammelli. E per la sua strategica posizione geografica, la civiltà di Kush ebbe probabilmente un ruolo determinante come medium culturale fra i popoli del bacino del Mediterraneo e quelli dell’Africa nera. Per questa ragione sarebbe molto importante poterne ricostruire le vicende su basi più concrete, ma l’impresa è appunto resa ardua dalle difficili condizioni socio-politiche del Paese che mettono a rischio le missioni archeologiche. Come ha dichiarato Hatem al-Nour, direttore del Dipartimento Antichità e dei musei nazionali,“questo sito era importante perché il suo stato di conservazione, sorprendentemente integro come raramente accade di trovare, conteneva molte informazioni utili per la ricerca sulla storia del Sudan. Su mille siti più o meno noti, almeno un centinaio sono stati distrutti o danneggiati”.Una cultura che, ancora una volta, l’incuria e l’avidità umane rischiano di far scomparire. Una distruzione che costituisce un crimine morale contro il popolo sudanese: distruggerne la memoria culturale significa esporlo agli speculatori internazionali, ai politicanti profittatori, e soprattutto ai fondamentalismi di ogni specie.
– Niccolò Lucarelli
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