Aquileia. Dopo i lavori di restauro riapre la Domus di Tito Macro
Un progetto di valorizzazione pari a 6 milioni di euro ha riportato a nuova luce la domus romana appartenuta a Tito Macro datata tra la fine del I a.C. e la prima metà del I d.C. Ecco cosa è emerso durante i lavori di restauro
Rinasce ad Aquileia la Domus di Tito Macro, tra le più grandi dimore di epoca romana tra quelle scoperte nel Nord Italia, grazie a un progetto di valorizzazione e ricostruzione degli ambienti – dal valore di 6 milioni di euro, stanziati dalla Regione Friuli Venezia Giulia e mediante il contributo di ALES S.p.A., società in house del MiBACT – promosso dalla Fondazione Aquileia presieduta dall’Ambasciatore Antonio Zanardi Landi. “La valorizzazione della Domus di Tito Macro rappresenta un punto importante di un percorso che la Fondazione Aquileia segue da tempo, allo scopo di raggiungere una migliore fruibilità dei resti della grande città romana”, ha dichiarato Zanardi Landi. “L’obiettivo è rendere ‘parlanti’ i reperti archeologici e le grandi opere d’arte conservate ad Aquileia, aiutando la comprensione nel contesto originalissimo di una città che fu punto d’incontro della romanità con il mondo balcanico e con quello nordafricano e mediorientale. Confidiamo che la Domus di Tito Macro possa richiamare ulteriormente l’attenzione del pubblico, unendosi così ad altri due grandi edifici costruiti dalla Fondazione, l’Aula Meridionale e la Domus Episcopale, che attraggono ogni anno 60 mila visitatori ciascuno”.
LA DOMUS DI TITO MACRO AD AQUILEIA
La Domus, che copre una superficie di 1.700 metri quadrati, risale al I secolo a.C., ed è stata oggetto di una prima serie di indagini negli anni Cinquanta del Novecento. Tra il 2009 e il 2015 il Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Padova (in convenzione con la Fondazione Aquileia e su concessione del MiBACT, sotto la direzione del Prof. Jacopo Bonetto) ha condotto alcuni scavi nell’area della Domus, attraverso i quali si è scoperto che l’edificio è stato abitato fino al VI d.C. , e che il proprietario sia stato Tito Macro, facoltoso abitante di Aquileia, grazie al ritrovamento di un peso di pietra con maniglia di ferro con l’iscrizione T.MACR. Le ricerche hanno inoltre permesso di ricostruire la storia delle fasi di evoluzione della Domus e di chi l’ha abitata: sono stati ritrovati un anello d’oro e pasta vitrea del II-III d.C., e oltre 1200 monete d’oro. Altre 560 monete sono state ritrovate nella zona dell’atrio della dimora, nascoste dal proprietario in una buca intorno al 460 d.C., durante gli anni successivi alla presa di Aquileia da parte di Attila, re degli Unni. Alla casa si accedeva da ovest, attraverso un atrio sorretto da quattro colonne e dotato di vasca centrale per la raccolta dell’acqua e di un pozzo, per poi procedere verso il tablino, sala da ricevimento contraddistinta da un ricco pavimento musivo. Nella parte retrostante della casa si trovava il giardino, circondato da un corridoio mosaicato e dotato di una fontana. A nord si trovava la cucina, mentre nella parte orientale sono state riconosciute quattro botteghe, tra cui il negozio di un panettiere con il forno per la panificazione, i cui resti sono rimasti in vista.
I LAVORI DI RESTAURO ALLA DOMUS DI TITO MACRO
Il progetto di valorizzazione è stato ideato per garantire la conservazione dei reperti esistenti e la fruibilità del sito. A tale scopo è stata costruita una copertura in laterizio monocromo sostenuta da pilastri d’acciaio in rosso pompeiano, grazie alla quale i visitatori potranno entrare all’interno della domus, scoprendone così l’articolazione, i percorsi, la struttura e la volumetria. Sono state inoltre effettuate operazioni di pulitura, consolidamento, risarcimento di lacune e protezione finale su una superfice di 320 metri quadrati di pavimenti decorati con mosaici. Prossimamente il percorso di visita sarà completato da un allestimento multimediale, attraverso il quale saranno proposte le ricostruzioni degli ambienti e delle pavimentazioni originali della dimora. “Si tratta di un’impresa particolarmente lunga e complessa ma anche appassionante, frutto di un lavoro corale, di riflessioni, discussioni e scelte non banali, mirate a trovare un equilibrio tra tutela, restauro e ricostruzione filologica, leggibilità e godibilità”, spiega Simonetta Bonomi, Soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia. “Il risultato consente di apprezzare in modo nuovo i resti archeologici, restituendo loro atmosfere, luci e volumi”.
– Desirée Maida
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati