Tutte le anticipazioni sulla mostra romana dedicata ai marmi Torlonia
A pochi giorni dall’inaugurazione dell’attesa mostra che Villa Caffarelli a Roma intitola ai marmi della Collezione Torlonia, facciamo il punto sulla rassegna allestita dallo Studio Chipperfield e curata da Salvatore Settis e Carlo Gasparri.
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Il 14 ottobre prenderà finalmente il via a Roma, presso Villa Caffarelli, la mostra dedicata alla Collezione Torlonia, selezione di circa novanta pezzi (su oltre seicento in totale) tra busti, rilievi, statue, sarcofagi ed elementi decorativi restaurati a cura di Anna Maria Carruba con il contributo di Bulgari. Dopo 145 anni dalla nascita del Museo Torlonia, rimasto aperto fino agli Anni Quaranta del Novecento, in seguito all’accordo tra la Fondazione – istituita nel 2014 da Alessandro Torlonia – e il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, la raccolta è presentata nella Capitale. Prima tappa di un tour che la porterà in giro per il mondo, dando risalto a capolavori studiati da decenni solo attraverso riproduzioni.
I TEMI DELLA MOSTRA
Il fil rouge della mostra è la storia del collezionismo. La raccolta del Museo Torlonia si presenta, infatti, come una collezione di collezioni, uno spaccato della storia del collezionismo di antichità dal XV al XIX secolo. Un tema, questo, che a Roma, a partire dal Quattrocento, portò alla formazione di quella pratica socio-culturale di raccogliere sculture antiche negli spazi privati, destinata a dare impulso allo studio dell’archeologia, alla “scienza” degli antiquarii e allo sviluppo di ricche collezioni private. Rappresentare in mostra il Museo Torlonia – che presto avrà una nuova sede, scelta al termine del tour espositivo ‒ vuol dire non solo far conoscere illustri esempi di scultura antica, ma anche mettere in luce un processo culturale in cui Roma e l’Italia ebbero un primato incontestabile.
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Collezione Torlonia, statua di Meleagro © Fondazione Torlonia. Photo Lorenzo De Masi
IL PERCORSO ESPOSITIVO
La rassegna è caratterizzata da una sequenza cronologico-concettuale “a ritroso” che inizia dall’evocazione di come sarà il Museo Torlonia e dalla sua sezione più impressionante, i ritratti. A seguire, riflettori puntati sui ritrovamenti ottocenteschi nella proprietà Torlonia, sugli esiti del collezionismo settecentesco, sulla raccolta secentesca di Vincenzo Giustiniani e infine sulle opere di cui è documentata la presenza in raccolte del Quattro e Cinquecento.
Fondamentale qui era far sì che l’allestimento non prevalesse sulle opere ma coadiuvasse la linea concettuale e narrativa della mostra, rendendola leggibile a tutti, specialisti e visitatori. Obiettivo primario era creare una osmosi significativa tra i contenuti storici, i Musei Capitolini e i loro spazi, alcuni dei quali riaperti al pubblico per l’occasione. Il percorso, infatti, si lega all’adiacente Esedra di Marco Aurelio, restituendo concretamente il nesso fra gli albori del collezionismo privato di antichità e i bronzi del Laterano donati alla città da Sisto IV nel 1471.
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Collezione Torlonia, Statua di divinità, detta Hestia Giustiniani, marmo pario, h. cm 200 © Fondazione Torlonia. Photo Lorenzo De Masi
PAROLA AL CURATORE SALVATORE SETTIS
La scelta del suo nome come curatore è stata unanime. Così come la convergenza di intenti tra il Ministero, la Fondazione e il co-curatore Carlo Gasparri, archeologo che per la famiglia da quarant’anni si occupa di restauri. Un progetto scientifico co-firmato, che non ha mai subito modifiche rispetto a quello presentato all’inizio di questa avventura, quattro anni fa.
Cosa vedremo esposto in mostra e perché?
Il principio che ci ha guidati è stato rendere visibile ed evidente, a tutti i visitatori – addetti al settore e non – che questa mostra è solo un’anticipazione di quello che sarà il Museo Torlonia. Tutto parla di lui, evocandolo: ecco spiegato il percorso a ritroso, che parte dai giorni nostri e poi va indietro, fino al Quattro-Cinquecento, passando per rinvenimenti ottocenteschi, il collezionismo del Settecento e del Seicento.
Qual è stato il criterio curatoriale che vi ha portato alla scelta dei pezzi e quanto tempo avete impiegato per trovare il giusto numero?
I pezzi finali sono novantatré. Ci abbiamo messo diversi mesi, direi cinque-sei, ma le confesso che è stato un rimaneggiamento continuo, perché talvolta ci accorgevamo di alcuni pezzi migliori e li abbiamo sostituiti. Abbiamo scelto facendo convergere due criteri: uno qualitativo (la bellezza delle singole opere) e uno connesso all’interesse del racconto, all’idea cioè di rappresentare al meglio la formazione della collezione nei secoli.
Tra i pezzi scelti ce n’è uno preferito?
Grande attenzione è stata posta alla selezione dei ritratti imperiali (i Torlonia ne possiedono centotrenta in ottimo stato). Studiando la collezione abbiamo trovato questa statua, intera – non manca nulla! ‒ risalente al III secolo d.C.: è una fanciulla sconosciuta, il cui panneggio dell’abito e il modo in cui il marmo simula la stoffa trasparente sul busto e sulla mano sono strepitosi. Delicata ma iperrealistica. E in condizioni perfette. Direi che mi ha sorpreso. Purtroppo non sappiamo chi sia la giovane donna!
Parliamo, infine, del suo rapporto con l’architetto David Chipperfield, che ha curato l’allestimento. È soddisfatto del risultato finale?
Nelle mostre che ho curato ho sempre ricercato – e ottenuto, anche in questo caso ‒ che ci fosse un dialogo serrato tra le parti, le opere e lo spazio. Questo implica avere da subito uno scambio con il progettista, poiché ritengo che il criterio dell’allestimento e il criterio della narrazione debbano sposarsi. In questo caso l’architetto Chipperfield fu scelto, con mio pieno benestare, dall’allora sovrintendente Prosperetti. Lo avevamo apprezzato per il suo lavoro di ricucitura al Neues Museum di Berlino, in cui era stato capace di rimettere insieme i pezzi di un contenitore storico danneggiato, attualizzandolo ma mantenendone intatte le tracce. Un grande segno di sensibilità estetica e storica, esattamente quello che serviva anche a noi. È stato più volte qui, sia per osservare bene la collezione che gli ambienti dei Musei Capitolini. Abbiamo lavorato in un’ottica di valorizzazione e reciproco rispetto, ripercorrendo lo stile narrativo della mostra attraverso artifici mnemonici, come la rievocazione cromatica (il rosso pompeiano della prima sala o il verde prato dell’ultima, ad esempio). C’è un continuum tra i colori delle pareti e il pavimento di cotto scuro delle sale, con grande attenzione all’aspetto illumino-tecnico, centrale quando si parla di scultura. In generale, è una mostra poco scritta, con didascalie sobrie. Non volevamo essere troppo dettagliati: volevamo solo poter finalmente raccontare una bella storia.
‒ Giulia Mura
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #22
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