La Madonna del latte di Murillo torna a Palazzo Barberini dopo un importante restauro
La Madonna del latte, capolavoro del pittore spagnolo murillo, torna ad abitare gli spazi di Palazzo Barberini a roma dopo un’importante operazione di restauro durato quasi 10 mesi.
Dopo quasi un anno di lavoro, il capolavoro di Bartolomé Esteban Murillo, La Madonna del latte torna in tutto il suo splendore negli spazi di Palazzo Barberini. L’intervento effettuato dal laboratorio di restauro delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, diretto da Chiara Merucci, è stato realizzato grazie ad Alessandra Percoco – per quanto riguarda la sistemazione della tela- e a Vega Santodonato – per ciò che concerne la cornice-, sotto la direzione scientifica di Alessandro Cosma.
COSA CI RACCONTA L’OPERA OGGI?
I delicati trattamenti hanno restituito maggior leggibilità all’opera riconducibile al tardo Seicento, recuperando anche particolari minuti e preziosi, come ad esempio i piccoli boccioli della pianta che si trova dietro la Vergine, nonché i delicatissimi passaggi cromatici delle vesti e del cielo. Ma c’è di più! Grazie alle indagini condotte da Emmebi diagnostica artistica srl e Artelab srl, si è potuto conoscere meglio la tecnica utilizzata da Murillo nonché i pigmenti impiegati. Un caso lampante è il manto blu sulle gambe di Maria, ancora brillante nelle parti rese con lapislazzuli, altresì alterate addove è stato adottato un economico “smalto”. Inoltre, durante il restauro, è stata realizzata per la prima volta anche una radiografia completa del quadro che ha permesso di intravedere la figura di San Francesco inginocchiato, “probabilmente in adorazione”, con un paesaggio che emerge velato dallo strato pittorico sottostante. La scoperta del San Francesco, spiega la responsabile del laboratorio di restauro delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, Chiara Merucci, “è importante anche da un punto di vista conservativo rivelando una stratigrafia molto complessa”. Da qui possiamo desumere che l’artista abbia abbandonato la prima stesura per poi riutilizzare la tela del San Francesco, e reimpiegando alcune parti come l’albero per le ombre del muro o le pieghe del saio per la veste della Vergine. L’opera è stata quindi esposta insieme ad una riproduzione a grandezza naturale della radiografia, nella quale si evince anche il lavoro maniacale dell’artista negli occhi che contraddistinguono la Vergine, ricordati con sentimento anche dallo scrittore Gustave Flaubert.
GLI OCCHI DANZANTI CHE FECERO INNAMORARE GUSTAVE FLAUBERT
La bellezza radiosa e la forza espressiva della Madonna del latte di Bartolomé Esteban Murillo riecheggiano da secoli: l’opera è stata celebrata nel corso dell’Ottocento dai numerosi viaggiatori che incrociavano realmente il suo sguardo. Ricordi appuntati su diari, lettere e articoli di giornale tornano oggi con vigore, come quello firmato da Gustave Flaubert che rimase così colpito dalla tela di Murillo tanto da scrivere all’amico Bouilhet nel 1851: “sono innamorato della Vergine di Murillo della Galleria Corsini. La sua testa mi perseguita e i suoi occhi continuano a passarmi davanti come due lanterne danzanti”. Una frase che si fa immagine, la stessa in cui ci immergiamo noi oggi, e che esemplifica la bravura di Murillo nel dare un’anima viva ai suoi soggetti, compresi quelli religiosi. L’opera, detta anche Madonna zingara – come la definì lo storico Carl Justi nel 1892 –, è una tra le più lodate e ammirate della Galleria Corsini (attualmente chiusa per importanti lavori di ristrutturazione) proprio perché caratterizzata da un fascino unico e particolare. Quest’opera, infatti, faceva parte della collezione del cardinal Neri Maria Corsini (1685-1770) che ne rimase talmente impressionato dal volerla collocare in un luogo intimo e privato del proprio appartamento, la sala dell’alcova, proprio di fronte al proprio letto.
– Valentina Muzi
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