Il Museo Archeologico di Napoli inizia l’apertura dei suoi depositi
Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli condivide parte dei suoi 270mila reperti archiviati nel sottotetto. Intanto in una mostra, ma poi si programma l’apertura vera e propria degli spazi di deposito.
Anche il Museo Archeologico Nazionale di Napoli apre i propri depositi, o meglio, una parte del loro contenuto. Seguendo il popolare esempio del Boijmans Depot di Rotterdam, che come abbiamo ribadito sta segnando un prima e un dopo della museologia globale, il MANN condividerà con il pubblico alcuni dei 270mila reperti conservati dietro le quinte – patrimonio che il museo definisce “ineguagliato in Italia per quantità e qualità” – raccolti nei suoi oltre duecento anni di storia e già oggetto di prestiti. Per la prima volta, e fino al 30 giugno, molti dei 30mila manufatti e opere che trovano casa nel solo sottotetto del museo saranno infatti esposti alla Villa dei Papiri nella mostra fotografica di Luigi Spina Sing Sing. Il corpo di Pompei, che ricostruisce la vita delle città vesuviane prima dell’eruzione del 79 d.C.
L’APERTURA DEI DEPOSITI DEL MANN DI NAPOLI
“Sing Sing è il nome con cui il direttore Giuseppe Maggi battezzò negli anni Settanta i sottotetti del museo, sottolineandone la somiglianza con il famoso carcere americano”, racconta il direttore del MANN Paolo Giulierini. “Ancora oggi sembrano davvero gli ambienti di una prigione, con lunghi corridoi e cellette chiuse da grate di metallo. Dentro però non ci sono criminali, ma decine di migliaia di oggetti provenienti dagli scavi di Pompei ed Ercolano. E molti altri sono conservati nei depositi sotterranei del museo. Abbiamo iniziato a “liberare” quei reperti”. La mostra, accompagnata dall’omonimo volume edito da 5 Continents Edition con testi di Paolo Giulierini, João Vilela Gerardo, Davide Vargas e Luigi Spina, vuole essere quindi un primo passo per la completa valorizzazione e condivisione (fisica e digitale) di reperti che “non sono materiale di seconda o terza fascia”, spiega Giulierini. “Molti oggetti sono di altissimo valore. Statisticamente, dal MANN proviene il 75% dei prestiti archeologici del Ministero della Cultura”. L’impegno del museo per la valorizzazione dei depositi è alta, dal sostegno alla campagna “100 opere tornano a casa” ai progetti di digitalizzazione in 2D e 3D, in collaborazione con alcune università statunitensi: “Entro la metà del 2022 puntiamo a organizzare le prime visite fisiche dei depositi e a presentare una nuova piattaforma digitale che offra agli utenti di tutto il mondo la possibilità di scoprire questo patrimonio”.
LA MOSTRA SING SING ALLA VILLA DEI PAPIRI DEL MANN
La mostra, con 46 immagini in bianco e nero 50x60cm, viaggia su due binari paralleli: da una parte ci sono Pompei ed Ercolano – raccontate attraverso gli oggetti di vita quotidiana dei loro abitanti – e dall’altra il “viaggio” di Spina nello studio dei reperti. Questo, spiega il fotografo campano, “è iniziato nel 2010 ed è stato condotto attraverso tante visite al MANN. Sing Sing è un luogo magico. La prima cosa che ti colpisce è il suo silenzio assordante: lassù senti solo il canto dei gabbiani. Poi vieni avvolto dalla densità degli oggetti: candelabri, vasellami, piatti, brocche. Quando si pensa a Pompei ed Ercolano, di solito ci si concentra solo sui capolavori, le ville, i mosaici. Ci si dimentica del corpo della città: quegli strumenti che venivano utilizzati ogni giorno, in un modo che non è poi così diverso da quello con cui oggi usiamo i nostri. Ho voluto recuperare proprio quel corpo, ridare umanità ai reperti”. La tecnica adottata da Spina è una versione fotografica della “anastilosi” – la tecnica con cui gli archeologi ricompongono, con i pezzi originali, le strutture del passato – ponendo gli oggetti su dei tavoli per riprodurne la funzione quotidiana. Dai manufatti inestimabili, si arriva così alle cose più semplici, come i pezzi di pane carbonizzato trovati nelle cassette archeologiche: “Il panettiere doveva averlo cotto nel suo forno la notte prima dell’eruzione, ma nessuno ha mai potuto consumarlo”, conclude Spina. “Quelle forme conservano il desiderio della vita”.
– Giulia Giaume
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati