I disegni del Pontormo in mostra all’Istituto Centrale per la Grafica di Roma
L’Istituto Centrale per la Grafica a Roma ospita l’intero fondo dei disegni di Pontormo provenienti dal lascito Corsini. Aprendo uno spiraglio sulla poetica di uno dei manieristi più complessi
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La mostra dei disegni a pietra rossa del Pontormo, in corso all’Istituto Centrale per la Grafica, ha rinfocolato una nostra passione mai sopita per quel manipolo di pittori attivi nella prima metà del Cinquecento, dotati di una visione eccentrica e difforme che, nel solco di una fortunata categoria vasariana, sono stati chiamati Manieristi.
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Jacopo Pontormo, San Cristoforo, 1519-22, sanguigna (pietra rossa) e tracce di gesso su carta vergata avorio. Courtesy Istituto Centrale per la Grafica, Roma
CHI ERA PONTORMO
Di Jacopo Carucci (Pontorme, 1494 – Firenze, 1556), detto Pontormo dal luogo di nascita, lo stesso Vasari ci consegna il ritratto di un uomo selvatico, diffidente, misantropo: “Fu Iacopo molto parco e costumato uomo, e fu nel vivere e vestire suo più tosto misero che assegnato, e quasi sempre stette da sé solo, senza volere che alcuno lo servisse o gli cucinasse… Non andò mai a feste, né in altri luoghi dove si ragunassero genti, per non essere stretto nella calca e fu oltre ogni credenza solitario”. E prosegue: “Alla stanza dove stava a dormire e tal volta a lavorare si saliva per una scala di legno, la quale entrato che egli era, tirava su con una carrucola, a ciò niuno potesse salire da lui senza sua voglia o saputa”. Nelle sale della Calcografia, viene esposto per la prima volta l’intero fondo dei disegni pontormiani provenienti dal lascito Corsini (appartenuti al Cardinale Neri Maria Corsini, grande collezionista e mecenate), il più cospicuo dopo quello degli Uffizi, ma ancora molto poco conosciuto.
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I DISEGNI DI PONTORMO IN MOSTRA A ROMA
Nella Weltanschauung neoplatonica che pervadeva il pensiero rinascimentale, il disegno era un arto dell’intelletto, un raffinato strumento di conoscenza più prossimo all’idea (intesa come archetipo) rispetto alla densità materica della composizione pittorica nella quale, per virtù dell’artista, si ipostatizzava dandole nerbo e midollo. In modi e tempi diversi era ciò che andavano predicando i grandi teorici dell’epoca: Alberti, Leonardo, Vasari. “Ci sì è accorti che quasi tutti questi disegni facevano parte, in origine, di un taccuino” ‒ spiega Giorgio Marini, uno dei curatori, sollecitato da una nostra domanda – “e i taccuini, nella tradizione rinascimentale, ma anche in precedenza, sono lo strumento con cui all’interno delle botteghe artistiche si tramandavano archivi di modelli ‒ sia appunti di figura dal vero che schizzi d’invenzione ‒ insomma una sorta di prontuario di cui servirsi all’occorrenza. Possono essere considerati, quindi, una documentazione dell’artista al lavoro. Ci sono studi sulla muscolatura molto leonardeschi a cui gradualmente si sovrappone una visione michelangiolesca: ispirati, cioè, ai due grandi maestri del Pontormo. Inoltre è documentato che l’artista usasse piccole sculture di cera o di terracotta per studiare il corpo umano dalle varie angolature. E questo gli sarà utile nei disegni più tardi quando esaspererà le sue visioni in senso antinaturalistico, irrealistico”.
‒ Luigi Capano
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