Il Superbarocco genovese in mostra a Roma
L’inatteso splendore del poliedrico, multiculturale ed eccentrico Barocco genovese è al centro della mostra allestita alle Scuderie del Quirinale di Roma. Lungo un secolo e mezzo di storia
Un titolo pop, forse inadatto, per una mostra che di pop non ha nulla. Il Barocco genovese si manifesta alle Scuderie con piglio filologico, esuberanza pittorica e rende merito a una delle più feconde scuole europee, pari solo a quella romana. Se il Barocco pontificio si plasma sulla forma della città in un arricchimento reciproco, quello genovese rispecchia l’anima della ‘Superba’: privata, misteriosa e sorprendente.
La schiera di capolavori è notevole, grazie a illustri prestiti, e documenta un secolo e mezzo di sfarzo, dalla presenza a Genova di Pieter Paul Rubens, tra il 1605 e il 1607, alla morte di Alessandro Magnasco nel 1749. Vi affiora un linguaggio tutt’altro che regionale, effetto di un fortunato incrocio di culture di stanza nella Repubblica oligarchica e multiculturale, agiata per ricchezza manifatturiera, commerciale e finanziaria, e consapevole del ruolo dell’arte come risorsa economica e identitaria.
GENOVA E IL BAROCCO
Saldi i suoi rapporti con la Spagna, forte di un’aristocrazia colta e potente, Genova esprime un’arte non di corte o ufficiale, ma diffusa, eclettica e scambievole. I forestieri v’importano la maniera delle scuole italiane e d’oltralpe e s’immergono in un ambiente influenzato dai toscani e stimolato dall’Accademia del disegno fondata da Giovan Carlo Doria, cui Pieter Paul Rubens nel 1606 dedica un gagliardo e ventoso ritratto equestre che apre la rassegna.
La miccia che accende il Barocco genovese si deve a due presenze che lasciano il segno: Rubens, che nel 1622 dedica una guida ai grandiosi palazzi, e il suo seguace Antoon van Dyck, che dal ’23 si afferma come ineguagliabile ritrattista dell’aristocrazia. Stimolati da ghiotte committenze giungono poi altri fiamminghi, specialisti in pittura di genere e natura morta. Il gusto per le ‘cose inanimate’, già limitato a tele da cavalletto, trova spazio sulle fastose composizioni di Bernardo Strozzi, che intorno alle figure sistema argenti, vasellame, fiori, frutta e cacciagione, inaugurando temi apprezzatissimi. Un raro nucleo di argenti da parata, tra vasi, bacili e versatoi sbalzati e cesellati, accompagna i dipinti e riecheggia le parole di Giovan Battista Agucchi, che nel 1601 scrive: “In pochi altri luoghi d’Italia si trovano gli ori, gli argenti e le ricche suppellettili che si vedono qui”.
LA MOSTRA ALLE SCUDERIE DEL QUIRINALE
La mostra schiera 120 pezzi, tra tele e pale lignee, bozzetti, disegni, grafica e sculture, e orienta il visitatore per blocchi tematici, perlopiù cronologici. Ci si immerge con progressivo godimento in una monumentale varietà immaginifica che spiazza e incanta. Colpisce la sedimentazione di linguaggi diversi, alimentati dal genio di Rubens e Van Dyck e poi diversificati nelle sperimentazioni degli artisti locali, scevri da convenzionalismi accademici. Ai collezionisti piace la pittura lombarda ‒ Giulio Cesare Procaccini nell’Estasi della Maddalena coniuga l’istanza realista con il morbido colorismo veneto e nuova scioltezza compositiva ‒, ma anche il caravaggismo napoletano di Francesco Solimena o quello edulcorato del francese Simon Vouet. Le scuole caravaggesche sono qui numerose, mentre il classicismo emiliano giunge nel 1616 con il Martirio di Sant’Orsola di Guido Reni, dal naturalismo intenso e cromatico.
Al pianterreno la potenza del Barocco si svela pienamente. Si resta fulminati davanti ai ritratti di Van Dyck, che blandisce la vanità dei nobili con effigi grandiose e intime, in cui trapelano fierezza di rango e segreti interiori, grazie a uno sguardo di disarmante verità che l’opulenza di velluti, sete e damaschi appena dissimula.
GLI ARTISTI DI SUPERBAROCCO
La libertà tematica è ovunque protagonista: nelle dispense con cacciagione di Antonio Maria Vassallo o nei baccanali di Giovan Battista Castiglione, che passa dal mito alle scene bibliche con lo stesso slancio dionisiaco. Il Barocco maturo, ancora più vario, sbrigliato e visionario, vede attivi Valerio Castello, che scioglie forme e colori cercando la fuggevolezza, Domenico Piola, Andrea Ansaldo, Domenico Fiasella, Giovanni Andrea De Ferrari, Giovan Battista Carlone e Orazio De Ferrari. Al piano nobile la mostra si amplia con disegni, affreschi e quadrature. Un bel nucleo di sculture testimonia come la scuola plastica, già vicina ai modelli classici, grazie a Ercole Ferrata, ai contatti con Bernini e Algardi e all’arrivo in città di Pierre Puget, gareggi con la pittura per originalità e destrezza stilistica.
Conclude la rassegna il sorprendente Alessandro Magnasco, che alla metà del Settecento rifugge dall’accademismo corrente e s’abbandona a composizioni oscure, febbrili e vespertine. Un epilogo crepuscolare e misterioso di una gloriosa stagione espressiva.
‒ Francesca Bottari
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati