Parco archeologico di Sibari, entra nel vivo il progetto di sistemazione dei depositi
In 20mila cassette sono conservati quasi 500mila reperti (in gran parte inediti) che riscriveranno la storia dell'area e saranno presto aperti al pubblico
Esattamente dieci anni dopo il disastro che fece esondare il fiume Crati sommergendo gran parte del territorio circostante nel fango, il Parco Archeologico di Sibari in Calabria rinasce e avvia la riorganizzazione di circa 500mila reperti. Questo il favoloso contenuto delle 20mila cassette conservate all’interno dei magazzini retrostanti il Museo Archeologico Nazionale della Sibaritide (facente parte del Parco), che presto saranno aperti al pubblico per la prima volta. Si tratta di una riserva immensa di opere in gran parte inedite – tra cui pezzi di anfore e vasi, frammenti di pareti e pietre – tutte provenienti dall’area ionica della Calabria del Nord e dalla provincia di Cosenza, che con ogni probabilità andranno a riscrivere la storia dell’area.
IL PARCO ARCHEOLOGICO DI SIBARI
Il Parco Archeologico di Sibari, posto nel comune di Cassano All’Ionio, sorge su un’area di 168 ettari lungo i resti di una delle più importanti città della Magna Grecia. Già centro di sviluppo della civiltà degli Enotri, la città di Sybaris fu rifondata dai coloni greci d’Acaia nel 730-720 a.C., e divenne un fiorente centro commerciale. La sorte di Sibari fu segnata dalla guerra contro un’altra importante città greca, Crotone, che culminò con la battaglia del Traente e un assedio di oltre due mesi, a seguito del quale il sito fu distrutto e allagato deviando il corso del Crati. I sopravvissuti fondarono, nel 444 a.C., la nuova colonia di Turi, sullo stesso sito, progettata dal famoso architetto Ippodamo di Mileto, poi rifondata come colonia romana con il nome di Copiae. Definitivamente abbandonata nel Medioevo, l’area fu riscoperta nel 1932.
LA RIAPERTURA DEI DEPOSITI DEL PARCO ARCHEOLOGICO DI SIBARI
A portare alla riabilitazione e (prossima) apertura dei magazzini, annunciata da alcuni anni e sostenuta con un corposo investimento, è stato quasi un anno di studi per la completa riorganizzazione degli spazi, e in particolare dell’E14, edificato sette anni fa con tanto di laboratorio per il recupero e la classificazione dei reperti. Le ricerche sono state condotte con l’aiuto dei ricercatori della Scuola Alti Studi di Lucca e dell’Università della Campania Vanvitelli. Il progetto, sviluppatosi a partire da un apposito database, ha beneficiato quindi di una collaborazione di livello nazionale, che ha portato a collaborare nella direzione scientifica il direttore del Parco Filippo Demma e i professori Maria Luisa Catoni e Carlo Rescigno, con la coordinazione della direttrice del Laboratorio di Restauro e responsabile dell’area Valorizzazione del Parco Camilla Brivio e il contributo della ricercatrice dell’Imt Serena Guidone. L’obiettivo comune, ora, è il pieno recupero dei reperti, così da permettere l’accesso agli studiosi esterni che contribuiranno a ripensare la storia del territorio, e nemmeno solo quella delle immediate vicinanze. Circa l’11% dei reperti, fanno sapere dal Parco, non proviene infatti dalla Sibaritide, ma è di pertinenza della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Cosenza, che continuerà a lavorare in piena cooperazione con il Parco disponendo di uno spazio attrezzato per lo studio e la catalogazione al suo interno, e che terrà i magazzini come punto di riferimento per l’analisi dei reperti e per l’uso del laboratorio.
Giulia Giaume
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