Tutti i volti di Buddha in mostra al MAO di Torino
Quali significati assume oggi l’iconografia buddhista? Come fare per decolonizzare un museo? Sono queste alcune delle domande che i curatori Davide Quadrio e Laura Vigo pongono al pubblico della mostra in corso al MAO di Torino
L’intenzione da parte del nuovo direttore del Museo di Arte Orientale di Torino, Davide Quadrio, di porsi in maniera critica anche nei confronti della stessa istituzione museale continua a essere sempre più esplicita. Dopo l’approccio innovativo ed esteticamente essenziale della mostra precedente, Il Grande Vuoto, il MAO si interroga ancora una volta sul significato che le opere della propria collezione possono avere in relazione al nostro tempo presentando la rassegna Buddha10.
LA MOSTRA SU BUDDHA AL MAO DI TORINO
Curata da Quadrio e da Laura Vigo, l’esposizione prende vita dalla volontà di far maturare nello spettatore una consapevolezza maggiore rispetto a ciò che egli stesso è portato a vedere, illustrando le motivazioni che da terre e tempi lontanissimi hanno condotto fino a noi questi specifici manufatti. Filo conduttore del progetto è la figura del Buddha, analizzata sotto molteplici punti di vista: dall’origine della sua iconografia sacra fino alle sue reinterpretazioni contemporanee passando inevitabilmente per quelle dinamiche commerciali che dalla metà dell’Ottocento l’hanno tramutata in un mero bene di consumo per i collezionisti del mondo occidentale. Avvalendosi anche della collaborazione con il Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”, il MAO coglie l’occasione per presentare un gruppo scultoreo della fine del Settecento, mai mostrato prima d’ora, i cui interventi di ripristino in corso d’opera sono visibili al pubblico. A rendere la rassegna altamente potenziata non è soltanto la sua stratificazione di intenti, ma soprattutto l’eterogeneità degli artisti coinvolti e il dialogo instaurato con importanti collezioni e realtà istituzionali del nostro Paese.
IL PERCORSO ESPOSITIVO DI BUDDHA10
Introdotto da due video allestiti nel karesansui del museo (rispettivamente, Ah! di Charwei Tsai e Drawing Study Series di Wu Chi-Tsung), sotto gli occhi benedicenti di un Buddha Gandhara del III secolo d.C., il vero e proprio percorso espositivo si snoda a partire dall’idealizzazione di un altro tipo di giardino zen. Entrando nella prima sala si viene infatti accompagnati all’interno di Prana, l’installazione realizzata da Andrea Anastasio e dal botanico Stefano Mancuso, dove dieci piante tropicali, di cui sette racchiuse in altrettante campane in vetro di Murano soffiato, invitano lo spettatore a respirare l’“alito” delle piante per purificarsi prima di immergersi a pieno nel misticismo della mostra. Varcata una tenda circondata da monotipi di matrice vegetale, prodotti ancora da Mancuso, ci si ritrova al cospetto di un imponente Buddha ligneo di origine cinese datato tra il XVI e il XVII secolo, frutto di un prestito da parte del Museo delle Civiltà di Roma. Posizionata su un grosso cubo in plexiglas, quasi a suggerire una sorta di sospensione trascendente, la scultura è sia inserita in un buio popolato da due guardiani del Tempio e da un altro Buddha assiso, sia circondata dalla musica fortemente evocativa concepita appositamente dalla compositrice cinese Amosphère. Attraversata la sacralità di questa seconda sala, si è indotti a contemplare una preziosa sfilza di minuziosi Buddha ritratti nelle posizioni e nelle reincarnazioni più disparate (emblema di un collezionismo sempre più diffuso), donata negli Anni Sessanta dal diplomatico Giacinto Auriti al museo romano di Palazzo Venezia. Guidati da un allestimento certosino a cura di dArk Studio, dove mattonelle di LED sostituiscono i soliti pannelli in forex e prespaziati dorati cambiano a seconda della luce sotto la quale li si guarda, il viaggio continua ponendo l’attenzione tanto sulle analisi diagnostiche eseguite per comprendere l’originalità di determinate opere quanto sul senso del Buddha nell’epoca contemporanea nonché sul concetto di iconoclastia (approfondito attraverso un innovativo sistema di Realtà Aumentata fruibile al piano superiore del museo).
LUCI E OMBRE DELLA MOSTRA AL MAO
Nonostante la stratificazione del progetto, l’eccezionalità delle opere esposte e l’allestimento impattante e funzionale, la mostra non è scevra da qualche contraddizione che lascia non poche perplessità. Senza volersi soffermare troppo sulla delicata e ammirabile scelta curatoriale di ragionare sul concetto di decolonizzazione museale, continuando però a presentare opere estirpate dai propri contesti naturali, quello che destabilizza particolarmente è il repentino cambio di registro che si percepisce sul finire del percorso espositivo. Nelle ultime sale del piano terreno spiccano infatti due opere contemporanee che stridono fortemente con tutta quell’armonia estetica e concettuale che trasuda invece dai manufatti precedentemente ammirati. Ci stiamo riferendo alla scultura New di Xu Zhen (che attinge dai tratti androgini della divinità Guanyin per restituire il ritratto di un’entità pop e gender fluid) e al video Moving Gods di Lu Yang. Caratterizzate da un certo senso di kitsch, che contrasta brutalmente sia con la genuinità della stanza dedicata a Mancuso e Anastasio sia con la solennità dei reperti disposti lungo tutto l’itinerario, entrambe le opere appaiono troppo cariche di un “effetto wow” che rischia di sminuire – se non addirittura banalizzare – la delicatezza formale percepita fino a quel momento.
IL MUSEO COME ORGANO VIVO
Controversie a parte, anche quest’ultima esposizione dimostra il nobile desiderio di Quadrio di rendere il suo museo una struttura più che viva, animata cioè da un dinamismo che si manifesta su più fronti. Oltre a essere nuovamente accompagnata da una rassegna musicale curata da Freddie Murphy e Chiara Lee, anche questa mostra vedrà il proprio allestimento modificarsi nel tempo, prevedendo dal prossimo maggio un cambio radicale che arricchirà il tutto di contenuti digitali e opere inedite. Come se non bastasse, ad attestare la vitalità del palazzo torinese è t-space, la nuova ala museale dedicata all’intersezione tra la convivialità e la sperimentazione contemporanea inaugurata lo scorso 26 ottobre.
Valerio Veneruso
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