Il Rinascimento a Ferrara raccontato da una grande mostra
Il rinnovato Palazzo dei Diamanti a Ferrara ospita la mostra che fa luce sulla stagione rinascimentale della città. Ripercorrendo la storia di due grandi artisti che meritano di essere ricordati
Oggi è “provincia”, ma ci fu un tempo in cui Ferrara era uno dei poli dello scenario artistico – e non solo – italiano. La città emiliana raggiunse il suo massimo prestigio durante il governo di Borso d’Este tra il 1450 al 1471 e in quell’epoca vide formarsi un gruppo di artisti capaci di creare un linguaggio originalissimo, che ancora oggi stupisce per le soluzioni ricercate, talvolta “bizzarre”, cariche di simboli e di richiami all’arte nordica. Di questa “Officina ferrarese”, come la definì Roberto Longhi, fecero parte Cosmè Tura, Francesco del Cossa e poi Boccaccio Boccaccino, i fratelli Dosso e Battista Dossi, senza trascurare, fra gli altri, Ercole de’ Roberti. Proprio da quest’ultimo prende le mosse Rinascimento a Ferrara, una mostra ambiziosa, che espone ben cento opere, di cui più di venti di mano di Ercole de’ Roberti, cioè il nucleo più nutrito di lavori del maestro che si sia mai riusciti a riunire.
Ma se molti, almeno tra chi studiato i manuali di storia dell’arte, ricordano senz’altro de’ Roberti, decisamente meno numerose sono le persone che hanno presente la produzione di Lorenzo Costa, secondo protagonista del progetto espositivo: una grave lacuna, si può affermare dopo aver percorso le sale di Palazzo dei Diamanti. Ma prima di spiegarvi perché Costa rappresenta una clamorosa scoperta, cominciamo la visita dalla prima sala, anzi addirittura da una diversa location ferrarese.
LA MOSTRA SUL RINASCIMENTO A PALAZZO DEI DIAMANTI
Correva l’anno 1469 quando Borso d’Este commissionò l’incredibile Sala dei Mesi di Palazzo Schifanoia, ma purtroppo della vasta équipe di pittori che parteciparono all’impresa si conoscono pochi nomi. Francesco del Cossa è l’unico riportato nei documenti, poi si sono identificati Gherardo da Vicenza e un anonimo e curioso “Maestro dagli occhi spalancati”.
Gli studiosi rintracciano inoltre la mano del giovane Ercole de’ Roberti nell’affresco con il mese di settembre e questo dato ci proietta immediatamente all’interno di Palazzo dei Diamanti, dove nelle prime sale incontriamo alcune testimonianze che richiamano la fondamentale “premessa” di Schifanoia.
Il percorso prosegue con un’immersione – per via di quadri e sculture, non di pixel – nel contesto della Ferrara di metà Quattrocento: impossibile non restare colpiti dall’intensità della Madonna dello Zodiaco di Cosmè Tura, e opera dopo opera si viene condotti al cospetto dei capolavori di Ercole de’ Roberti, tra cui il dittico dei coniugi Bentivoglio proveniente da Washington, che è stato definito, sempre da Longhi, “dopo quel di Piero, il più bel ritratto a dittico di tutto il Quattrocento italiano”. Si sfiorano e si approfondiscono le più importanti committenze affidate al pittore ferrarese: il polittico Griffoni per la chiesa bolognese di San Petronio, gli affreschi della cappella Garganelli per San Pietro, sempre a Bologna, i pannelli con Porzia e Bruto e con Lucrezia, Bruto e Collatino e molto altro.
FERRARA E IL RINASCIMENTO
Fino a giungere alle Storie degli Argonauti, cruciali perché a lungo la loro attribuzione è stata dibattuta tra de’ Roberti e il giovane Lorenzo Costa: oggi si propende per l’autorialità del secondo. A Giasone e ai suoi compagni spetta allora il compito di traghettare i visitatori in una nuova era del Rinascimento ferrarese, quello che proprio grazie a Costa guardava a Perugino e a Leonardo. La “modernità” fu così acquisita dal pittore che la innestò sull’eleganza di linguaggio assimilata da de’ Roberti. La seconda parte della mostra, dove prevalgono le opere realizzate nella Bologna dei Bentivoglio, mette in scena una serrata successione di eccezionali pale d’altare e altri dipinti da cui emerge uno stile classicheggiante e pacato.
Il percorso si conclude con il periodo mantovano del “riscoperto” Costa: nel 1506, infatti, i Bentivoglio furono cacciati dal capoluogo emiliano e gli artisti fuggirono dalla città. Lorenzo Costa divenne pittore di corte dei Gonzaga a Mantova, e anche lì si fece interprete del linguaggio moderno, confrontandosi infine con Correggio che proprio in quegli anni faceva capolino sulle sponde dei laghi del Mincio.
Marta Santacatterina
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