L’eternità del mondo classico in mostra alle Terme di Diocleziano
L’Occidente figlio dell’Antichità Classica. Tra eredità intellettuale e artistica e immedesimazione con un passato mitico, il nostro rapporto con gli antichi è oggetto di studio della mostra romana
Ancora oggi la cultura occidentale non può che cercare i propri archetipi in seno a quella che viene detta Antichità Classica, la civiltà che, sviluppatasi a partire dall’inizio del I millennio a.C. tra la penisola greca, il Mediterraneo e Roma, ha dato vita e linfa culturale a diversi popoli. La civiltà occidentale e tutte le sue espressioni sono pertanto figlie di un percorso che ha avuto le fondamentali tappe di crescita e diffusione proprio con l’Antichità Classica, un vasto intreccio di stili artistici che la mostra L’istante e l’eternità. Tra noi e gli antichi cerca di farci conoscere nella sua complessa eterogeneità, attraverso circa trecento tra opere e manufatti antichi, medievali, moderni e contemporanei.
L’ETERNITÀ DEL MONDO CLASSICO
Il nostro modo di parlare, mangiare, desiderare, credere, abitare, giudicare moralmente o esteticamente, e pure il nostro essere parte di una società, dipendono da quelle espressioni di civiltà appena ricordate. Utile in tal senso può tornare la figura di Ulisse, celebre re di Itaca protagonista dell’Odissea che, oltre a esser stato quasi ininterrottamente rappresentato nelle arti figurative per circa tre millenni, a più riprese è stato magistralmente scelto come prototipo letterario per la sua intelligenza, il coraggio e la sete di conoscenza, da Dante Alighieri nel Medioevo a James Joyce nel Novecento. Non è un caso che Théodore de Kerros, un giornalista francese esperto di problematiche riguardanti il Mediterraneo, abbia recentemente ripercorso in cinque mesi le dodici tappe del mitico viaggio di Ulisse secondo la ricostruzione ipotizzata dell’ellenista Victor Berard del 1933: un percorso tra le traiettorie del Mare Nostrum trasformato in una riflessione sull’attualità tra tensioni climatiche, geostrategiche e migratorie.
LA MOSTRA ALLE TERME DI DIOCLEZIANO
Allestita in alcuni spazi delle Grandi Aule delle Terme di Diocleziano, e suddivisa in cinque sezioni con opere provenienti dai principali musei italiani e greci, questa mostra cerca di tracciare alcuni importanti passaggi della nostra identità culturale di occidentali attraverso le interpretazioni, la distanza o lo strettissimo contatto che col passare dei secoli hanno segnato il nostro rapporto con certi immortali modelli culturali: quegli “istanti” del nostro passato ormai consegnati a una legittima “eternità”.
Tra i tanti percorsi possibili della mostra, uno si impone con prepotenza anche all’osservatore più pigro e distratto, quello della rappresentazione della figura umana, sia essa la sembianza di una divinità, una personificazione o un semplice ritratto. In mostra è possibile osservare come, in linea con le credenze religiose e i costumi di una determinata civiltà, il corpo umano sia stato rappresentato con più o meno realismo. Si passa così da una piccola statua di idolo femminile fortemente stilizzata proveniente delle isole Cicladi, di certo di alto valore simbolico, a una rappresentazione più naturalistica ma ancora legata a certi rigori geometrici come l’imponente Kore di Thera. A seguire, la scultura classica antropometrizzata con il Canone di Policleto, che riflette le certezze e le conquiste dell’età di Pericle. E ancora: l’Ellenismo con il senso del movimento e delle passioni, un certo acceso realismo quasi caricaturale del ritratto etrusco e romano e l’idealismo di stampo aulico dell’arte ufficiale del potere.
LA RIPRESA DELL’ESTETICA CLASSICA
Altre opere in mostra testimoniano invece i momenti più importanti della ripresa volontaria (ma pure critica) dell’estetica greco-romana durante i secoli. Dal Rinascimento italiano fino al Neoclassicismo che, a partire dalla metà del ‘700, ha assolutizzato e attualizzato i principi estetici della Grecia classica, mentre l’Europa restava affascinata, e presto ossessionata, dallo stile pompeiano finalmente resuscitato dalle ceneri dell’antichità.
E per finire uno sguardo al contemporaneo, come l’opera di Francesco Vezzoli del 2012: l’artista, aggiungendo il proprio autoritratto a un torso mutilo e acefalo di un togato di epoca romana, si inserisce tra le pieghe di un lungo e articolato percorso culturale di cui si dichiara in qualche modo epigono, tra ironia, dissacrazione e narcisismo.
Calogero Pirrera
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati