Alla Pinacoteca di Brera per scoprire Boccaccio Boccaccino, misterioso artista di frontiera
Vissuto al crocevia tra Milano, Ferrara e Venezia, influenzato da Leonardo e Giorgione. E forse colpevole di omicidio. Chi fu Boccaccio Boccaccino? Quattro opere riunite a Brera per scoprirlo
La tradizione dei Dialoghi di Brera, ormai all’XI edizione, porta in Pinacoteca quattro tele attribuite a Boccaccio Boccaccino (Ferrara?, 1462 – Cremona, 1525). La Madonna con il Bambino (1502-1503), già in collezione, è accostata a due prestiti del Museo Correr, e a uno proveniente dal Museo e Real Bosco di Capodimonte: datate allo scoccare del Cinquecento, le opere testimoniano il ruolo dell’artista di crocevia tra tradizioni e scuole diverse, Milano, Cremona, l’area emiliana. Per arrivare a connettere anche Venezia. Figure itineranti e permeabili come Boccaccino furono essenziali per propagare le novità artistiche dell’epoca.
Boccaccio Boccaccino: un artista di frontiera
Ma chi fu Boccaccio Boccaccino? Risponde il conservatore Andrea Bellieni: “Un artista di frontiera”. Poche le certezze storiche. Figlio di un ricamatore di Cremona, la sua vita è un continuo movimento: si forma tra Bologna e Ferrara; poi arriva a Milano, gettando l’occhio sui lavori della cerchia leonardesca. Finisce in carcere, ma ne è liberato dall’ambasciatore Antonio Costabili, che, riconosciutone il talento, lo suggerisce al Duca d’Este. Tanto basta per renderlo pittore ufficiale di corte. Anche il soggiorno ferrarese è però di breve durata, perché al principio del secolo è già costretto a scappare, macchiatosi (forse) dell’omicidio della moglie adultera. Sbarcato a Venezia, guarda con interesse ai maestri locali, che ne influenzano la produzione. Arricchito da una commistione di tradizione belliniana e innovazione giorgionesca si sposterà infine a Cremona, mettendo su bottega e stabile produzione.
Le quattro opere di Boccaccino a Brera
La piccola mostra braidense si colloca nella cesura tra Quattro e Cinquecento: momento clou per la vita di Boccaccino, sul piano personale quanto artistico. L’Adorazione dei Pastori (1499-1500) viene prima, ancora in terra d’Este; le altre tre opere dopo. Dopo il presunto omicidio “di sua moiera”, possibile motore del trasferimento a Venezia. Se nell’opera ferrarese i virtuosismi di riflessi nelle capigliature tradiscono l‘influenza della scuola di Leonardo, nel paesaggio e nella luce c’è già una nota giorgionesca, che si intensifica con l’arrivo in Laguna, dove la fama consolidata di Giovanni Bellini e le novità di Giorgione catturano l’interesse dell’artista. Il drappo di velluto che abbraccia ciascuna delle tre scene è tipicamente belliniano: lo dimostra la Madonna col Bambino (1510) del pittore veneziano presente in sala. Anche la costruzione scenica, con la Vergine opposta a un dolce paesaggio campestre, ripropone un impianto iconografico ai tempi molto di moda. La tradizione abbonda, e da diverse fonti. Per trovare il nuovo, occorre concentrarsi sulla luce. La tenda, oltre a essere un emblema di Bellini, è anche originale tentativo di far proprio Giorgione: quella sensibilità chiaroscurale preannuncia già la strada dei grandi nomi del Cinquecento.
Emma Sedini
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