Storie di collezionismo a Genova. In mostra i capolavori delle antiche dimore
Luci accese sulle dimore storiche genovesi e sulle opere dei grandi maestri dell’arte che custodiscono, frutto di un raffinato collezionismo. Un allestimento inedito, nel teatro secentesco di Palazzo Reale, ne racconta relazioni e curiosità
L’aristocratica, scontrosa e cosmopolita Genova offre una colta occasione per rivisitare in una prospettiva nuova alcune gallerie dello Stato. Al Teatro del Falcone di Palazzo Reale si narrano, per il tramite di capolavori, storie di collezionismo, acquisizioni pubbliche, dimore antiche e gusto antiquario, in una trama di inedite relazioni.
La mostra sui capolavori dell’arte di Genova
Le opere provengono da sedi statali riunite in un’unità giuridica autonoma e la mostra, con il volume che l’accompagna, di questo legame è l’espressione più compiuta. Sotto la dicitura di Musei Nazionali di Genova, dal 2016, si ascrivono infatti Palazzo Spinola, la Galleria Nazionale della Liguria e Palazzo Reale, nel cui secentesco teatro si tiene lo speciale allestimento, distinto in settori da smaglianti cromie.
L’esposizione è costruita su un fitto intreccio di rimandi: se per un verso si propone di illuminare – fin dal titolo – oltre quaranta opere custodite nelle gallerie riunite, per un altro si vuole indurre il pubblico a visitarne le sedi, con una sezione dedicata alle riproduzioni di lavori preziosi e inamovibili. Tre secoli d’arte, dal Cinquecento al Settecento, sono illustrati attraverso maestri quali Joos van Cleve, Tintoretto, Orazio Gentileschi, Guercino, Grechetto, Bernardo Strozzi, Filippo Parodi e altri, mentre Van Dick, Rubens e Antonello da Messina, tra i tanti, aspettano i visitatori nelle sale dei musei.
Collezionismo e gusto antiquario a Genova
La rassegna si apre e si chiude con un primo highlight (da cui il titolo della mostra) tra le dimore storiche, di cui sono testimoni due pezzi oggi a Palazzo Spinola ma legati alla committenza di Palazzo Reale. Si è accolti dal gruppo marmoreo con Adone e Amore (1635 c.) di Filippo Parodi (Genova, 1630 – 1702) – assimilazione del tardo barocco berniniano libero, sperimentale e intriso di naturalismo – e congedati dal ritratto che Anton von Maron (Vienna, 1733 – Roma, 1808) destina alla figlia del doge Maria Francesca Durazzo (1792), emblema di quel gusto sofisticato e composto che distingue l’antica aristocrazia genovese.
Il percorso che si snoda tra le due opere elette a simbolo è cronologico e tematico. Si parte dal collezionismo cinque e secentesco, frutto dell’ingegno di mercanti e finanzieri beneficiati dall’alleanza con la Corona spagnola, che gareggiano per fregiarsi di capolavori. Un fiammante rosso corallo accende le Storie delle Sante Caterina d’Alessandria e Agnese, parti di un polittico fiammingo smembrato della fine del Quattrocento: nella vivezza delle immagini il senso della realtà tangibile dei nordici si ambienta nello spazio umanistico degli italiani.
In alcuni casi l’allestimento aiuta la lettura di quei dipinti che la collocazione filologica nelle sale museali ha sistemato in alto. Ci si accosta con piacere alle opere di Tintoretto, Paris Bordon, Bassano e dei tanti fiamminghi, tra cui un’incantevole tavola con Madonna orante (1511-12) di Joos van Cleve (Kleve, 1485 – Anversa, 1541), in cui un volto di giovinetta dalla sintesi idealizzante è incastonato in un velo bianco frammentato in ombre turchesi, come sovente nelle stoffe nordiche.
La grande stagione del Barocco a Genova
Il Barocco dei Palazzi Spinola e Reale si esibisce con una serie di capolavori di Guercino (Cento, 1591 – Bologna, 1666), la cui Sibilla Samia (1652-53) sembra una bambina vestita da popolana che osserva malinconica un codice antico; di Giovan Battista Gaulli (Genova, 1639 – Roma, 1709), presente con molti pezzi tra cui un Sant’Andrea (1693 c.), assorto filosofo che medita sulla croce del martirio; di Orazio Gentileschi (Pisa, 1563 – Londra, 1639), con un Sacrificio di Isacco ((1611-15 c.) quasi metafisico per nitore e sospensione temporale.
Tra i molti genovesi non possono mancare Giovanni Benedetto Castiglione (Genova, 1609 – Mantova, 1664), che da sempre colloca scene mitologiche – qui Aria e Fuoco (1653-55 c.) – in sfarzose composizioni con rami, argenti, animali esotici e bizzarrie, né Bernardo Strozzi (Genova, 1581 – Venezia, 1644), con la sua prosperosa fanciulla nel ruolo di Allegoria della pittura (1636 c.).
Si avvicendano poi una scelta di opere di Gherardo delle Notti, Bartolomeo Guidobono, Gregorio De Ferrari, Domenico Piola e altri protagonisti del Sei e Settecento italiano e nordico. Largo spazio è dato alla nobile ritrattistica barocca, sempre in bilico tra le verità umane profondissime di Rubens e Van Dick e le effigi encomiastiche come quella di Maria Mancini, nipote del cardinal Mazzarino. Il busto severo e misurato della nobildonna è incluso in una cornice lignea dal superbo intaglio dorato, opera del tardo Seicento di Filippo Parodi, che mette in scena un Giudizio di Paride dalla scatenata fantasia compositiva. Nella ritrattistica rococò, invece, sono più accentuati il rango e la cura nell’abbigliamento e nell’acconciatura.
È Parodi l’indiscussa star della mostra: le statue marmoree con tracce dorate provenienti dalla Galleria degli specchi di Palazzo Reale ne valorizzano l’estro immaginifico nel reinterpretare in forma teatrale i miti ovidiani.
Alla rassegna storica s’aggiunge infine un altro invito a proseguire la visita nei saloni: al piano nobile di Palazzo Reale si tiene la mostra We Linked Passages. Maestri del ‘900 dalle collezioni private genovesi, ove diciannove lavori italiani e stranieri del secondo Novecento sostituiscono gli spazi lasciati vuoti dalle opere esposte al Teatro del Falcone.
Francesca Bottari
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