Sulle tracce del Perugino. L’itinerario tra Perugia e il Lago Trasimeno
Il “Divin Pittore” Pietro Perugino non era originario di Perugia, ma di Città della Pieve. È da lì che si parte alla scoperta del maestro che istruì Raffaello
Racchiusa nel cuore della Penisola, l’Umbria conserva gelosamente un tesoro naturale: il Lago Trasimeno. I suoi scorci pittoreschi hanno ispirato nei secoli letterati e artisti, diventando parte (e spesso protagonisti) dei capolavori della pittura rinascimentale. Tra i tanti nomi, un posto d’onore è riservato a colui che non solo vi lavorò, ma nacque sulle rive del Trasimeno. Pietro di Cristoforo Vannucci, meglio noto come il Perugino(Città della Pieve, 1448 circa – Fontignano, 1523). Nientemeno che il maestro del giovane Raffaello. A differenza di quest’ultimo, conteso tra i musei di tutto il mondo, molte tracce della sua presenza si possono ancora ammirare nel loro ambiente naturale. Il Lago, Perugia, e quei borghi di pietra che paiono rimasti al Medioevo che lo circondano. Questo itinerario raccoglie le tappe della sua produzione tra la natìa Città della Pieve, e l’attivissima bottega di Perugia. Con una pausa finale per ammirare il Trasimeno “come da un balcone”. Un trompe l’oeil ininterrotto, in cui il paesaggio umbro continua uguale al di là della pittura.
Emma Sedini
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Città della Pieve. L’Oratorio dei Bianchi e la Cattedrale
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Corso Vannucci, Perugia. La Galleria dell’Umbria e il Collegio del Cambio
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Piazza Raffaello, Perugia. La Cappella di San Severo
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La Cattedrale di San Lorenzo e la Basilica di San Pietro
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L’Oratorio di San Bernardino, il Convento di Monteripido
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Panicale. La Chiesa di San Sebastiano
Contraddicendo il racconto del Vasari (che lo vuole natìo del capoluogo), il Perugino nacque da una ricca famiglia di Città della Pieve. Circondata da un perimetro di colline, questa cittadella fortificata sorge su un’altura strategica. Da lì domina tanto la Valdichiana toscana, quanto il Trasimeno. Le sue origini medievali si indovinano guardando alle casette di laterizi rossi (materiale locale in uso dal Duecento), cinte da possenti mura. La pianta che ricorda Siena tradisce la sua storica ribellione al dominio perugino, confermata dalla Rocca: punto di avvistamento inteso a sorvegliare le mosse di Perugia.
Si comincia dal Duomo dedicato ai santi protettori della città, Gervasio e Protasio, costruito sui resti della pieve longobarda del VIII secolo. L’interno barocco racchiude due opere del Perugino: il Battesimo di Cristo (1510) e la Madonna in Gloria con i due patroni (1514) che reggono una bandiera recante lo stemma cittadino: un castello dorato su sfondo rosso. La firma visibile in quest’ultima, “Petrus Christoferi Vannutii De Casteo Plebis pinxit MDXIII”, testimonia l’origine locale del pittore.
Il capolavoro più affascinante, però, si trova nell’Oratorio della Confraternita dei Bianchi: L’Adorazione dei Magi del 1504. Si tratta dell’Adorazione del Perugino (tra le innumerevoli) in cui paesaggio e personaggi sono veri co-protagonisti. Una studiatissima macchina scenica è costruita sulla parete: una pièce teatrale dal gusto cavalleresco prende le mosse sotto al baldacchino di legno della capanna. Curiosa, poi, è la storia dietro questa commissione. Una lettera di mano del pittore, ritrovata nell’Ottocento sepolta sotto il muro, testimonia la sua accettazione dell’incarico, con straordinaria concessione di uno sconto sul prezzo da 200 a 100 fiorini. Prezzo che fu ulteriormente compensato dalla donazione di una casa in città da parte dei canonici, che non avevano molte disponibilità finanziarie.
Prima di lasciare la cittadella, il consiglio è di fermarsi alla Casa dello Zafferano, per gustare e scoprire la storia di questo pregiato ingrediente coltivato qui fin dal Medioevo. La sua importanza è oggi confermata dal Consorzio, istituito nel 2002. Già ai tempi del Perugino, però, l’uso dello zafferano era ben noto: pigmento perfetto per ottenere il colore giallo brillante!
Inseguire il Perugino a Perugia tutto d’un fiato non si può: troppe sono le testimonianze e i luoghi che lo rievocano in città. Si parte dal Corso che porta il suo nome, l’arteria principale su cui si affacciano negozi e musei e che conduce fino al Duomo. La fama locale dell’artista è notevole, giustificata dalla sua intensa produzione. A ben vedere, prima di Tiziano, fu il Perugino a incarnare la figura di artista-imprenditore. Sempre al lavoro, con un folto gruppo di assistenti, diviso tra le due botteghe, di Firenze e di Perugia.
È su Corso Vannucci che si trova la Galleria Nazionale dell’Umbria, ospitata a Palazzo dei Priori.
Non c’è posto più ricco in cui ammirare da vicino le pitture del Vannucci. Dalle Tavolette di San Bernardino (1473) e l’Adorazione dei Magi della giovinezza, fino alle opere della maturità, destinate a varie chiese perugine. Si notano le lezioni di Piero della Francesca e della Bottega del Verrocchio; quasi onnipresente è il dolce paesaggio collinare che si apre su uno specchio d’acqua: il Lago Trasimeno.
Letteralmente accanto alla Galleria si trova la seconda tappa di Corso Vannucci: il Collegio del Cambio. Antica sede dell’Arte del Cambio, fu per secoli teatro di scambi di monete tra i suoi membri e i commercianti stranieri. I segni di questa fiorente attività, antenata delle moderne banche, si vedono nel ricco mobilio intarsiato. Il grifone che sorveglia uno scrigno pieno di monete (simbolo dell’Arte) ricorre ovunque. Per ammirare il Perugino bisogna alzare lo sguardo: la volta e le pareti della Sala dell’Udienza sono un continuum di affreschi incorniciati da grottesche. I temi del ciclo, formulati dal letterato perugino Maturanzio sulla base di classici latini, sono due. Le migliori qualità dell’animo umano, e le Sibille e i Profeti che annunciarono la venuta di Cristo. La decorazione richiese ben due anni di lavoro, una bottega di aiutanti, e non pochi cartoni riutilizzati varie volte. Il Perugino era solito riproporre spesso le stesse figure, velocizzando i tempi di produzione.
Spicca la Natività (1497-98), allegoria della Carità. Oltre alla dolcezza del volto di Maria (in cui qualcuno vede la mano del giovane Raffaello), colpisce il paesaggio: uno scorcio pittoresco, ancora una volta, sul Trasimeno.
Passeggiando in direzione di Porta Sole, si sale fino alla piazza chiamata “di Raffaello”. Nome che anticipa quanto conservato nella Cappella di San Severo, un tempo parte del Convento dei Camaldolesi. L’occasione è duplice: l’unica opera di Raffaello presente a Perugia, e il confronto vis-à-vis con il suo maestro Perugino. L’affresco della Trinità e Santi Benedettini e Camaldolesi, realizzato a due mani, non testimonia una sfida aperta, bensì una necessità contingente.
La storia dell’opera comincia nel 1505, quando i monaci Camaldolesi commissionarono l’affresco a Raffaello. Il giovane pittore, allora impegnatissimo, iniziò il lavoro senza concluderlo: il Papa, a Roma, scalpitava per avere i suoi servigi. Fu costretto a partire subito. Nel breve arco della sua vita (morì a 37 anni nel 1520), non ebbe mai modo di tornare a dipingere anche la parte inferiore, lasciando la parete incompleta.
Un anno dopo la morte di Raffaello, i monaci chiesero a Perugino di realizzare quanto mancava. La differenza di fattura è tale che oggi si può distinguere chiaramente chi fece cosa: sopra spicca la dolcezza di Raffaello; sotto si vede la mano stanca del suo maestro, ormai anziano e non più nel pieno delle sue potenzialità.
Dall’attiva bottega del Perugino uscirono grandi opere destinate alle chiese cittadine. Malgrado molte siano ormai nei musei, vale la pena visitare il contesto originale di capolavori come lo Sposalizio della Vergine: per farlo, ci si dirige nella piazza principale, che porta il nome del Duomo: San Lorenzo. Cattedrale dalle lunghe vicissitudini costruttive, cominciate nel Trecento, per terminare con la consacrazione definitiva del 1569. Oggi, pur in assenza dell’opera che ispirò l’analogo di Raffaello conservato a Brera, è possibile ammirare il dipinto murale della Madonna delle Grazie. Un raro esempio di stile tardo-gotico nel campionario peruginesco.
Percorrendo fino in fondo Corso Cavour, oltre Porta San Pietro, si arriva a Borgo XX Giugno. Qui ha sede il Dipartimento di Scienze Agrarie di Perugia, dal ricco orto botanico curato dagli stessi monaci che animano l’adiacente Basilica di San Pietro. Edificata intorno all’Anno Mille, fu ristrutturata nel 1591, assumendo l’aspetto barocco attuale. Malgrado le spoliazioni napoleoniche, rimane la “chiesa-galleria d’arte” più ricca della città. Seconda solo alla Galleria Nazionale dell’Umbria (GNU). Gli interni sono affollati all’inverosimile di affreschi, tavole e stucchi. Oltre a vari pittori locali dell’Italia Centrale, al nome della basilica è legato l’omonimo Polittico di San Pietro (1496-1500), commissionato dall’abate del convento. Le ricostruzioni rievocano un’immensa macchina d’altare, oggi scissa tra i musei francesi, romani e perugini. Qui, nella sagrestia, sono conservate alcune tavolette della predella, descritta da Vasari come la migliore opera dell’artista a Perugia.
Ritornando su Corso Vannucci, e superandolo dalla sponda opposta, lungo Via dei Priori, la discesa conduce all’Oratorio di San Bernardino, annesso alla chiesa di San Francesco al Prato. In occasione della sua costruzione, seguita alla canonizzazione del Santo (1450), i frati richiesero al Perugino le Tavolette, oggi esposte alla GNU.
L’ultima chiesa da visitare (per chi ha ancora le gambe per una salita di gradoni) è il Convento di Monteripido. Come suggerisce il nome, sorge in cima a un’altura, appena fuori da Perugia. È raggiungibile a piedi dal centro, attraversando l’Acquedotto che offre uno splendido scorcio dal basso sulla città. Per la chiesa del complesso, il Perugino realizzò la cosiddetta “Pala opistografa”: un raro caso di opera dipinta da entrambi i lati. Ancor più curioso è constatare (sempre alla GNU, dove si trova oggi) il fatto che il Crocifisso non sia disegnato, ma applicato sulla tavola come una scultura.
L’ultima tappa di questo sentiero del Perugino riporta nei pressi di Città della Pieve, ma permette di cogliere tutta la bellezza del Lago. C’è un motivo, se Panicale è definito il “balcone sul Trasimeno”. La sua altura offre una visione unica dello specchio azzurro, circondato dalle dolci colline. Tale e quale ai paesaggi del pittore.
Il borgo fu abitato prima dagli Etruschi, poi dai Romani e dai Longobardi. Fu trai primi a diventare Libero Comune Italiano. Il suo castello, creduto inespugnabile, resistette a tutti i nemici, cadendo solo sotto i Fiorentini nel Seicento.
Panicale merita una visita tanto per la vista, quanto per il suo passato artistico. Fu città natale di Masolino, conserva un’opera di Raffaello, e uno dei maggiori lasciti di Perugino: il Martirio di San Sebastiano, datato 1505. Lo si può ammirare nell’omonima chiesa, situata appena fuori dal centro storico. Anche in questo caso, come alla Cappella di San Severo a Perugia, il maestro è vicino all’allievo Raffaello. L’opera, però, realizzata nel periodo d’oro del Divin Pittore, ne fa più onore alla memoria rispetto all’altra.
L’iconografia tradizionale di San Sebastiano trafitto dalle frecce è resa in un contesto urbano ideale, dalle architetture classicheggianti. Armonia ed equilibrio addolciscono la scena violenta. Sembra di trovarsi dinanzi a un balletto: tre arcieri e un balestriere si muovono a ritmo di danza, con pose studiatissime, benché poco naturali. La prospettiva invita ad allontanare lo sguardo, al di là delle arcate: a passeggiare fino alla riva dell’immancabile Trasimeno.
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Città della Pieve. L’Oratorio dei Bianchi e la Cattedrale
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Corso Vannucci, Perugia. La Galleria dell’Umbria e il Collegio del Cambio
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Piazza Raffaello, Perugia. La Cappella di San Severo
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La Cattedrale di San Lorenzo e la Basilica di San Pietro
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L’Oratorio di San Bernardino, il Convento di Monteripido
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Panicale. La Chiesa di San Sebastiano
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Emma Sedini
Etrusca e milanese d'origine in parti uguali, vive e lavora tra Milano e Perugia. È laureata in economia e management per arte, cultura e comunicazione all'Università Bocconi, e lì frequenta tutt'ora il MS in Art Management. Nel frattempo, lavora in…