La Deposizione di Rosso Fiorentino nuovamente visibile a Volterra dopo un lungo restauro
Durato due anni, l’intervento di restauro della celebre tavola manierista, datata 1521, finanziato dalla Fondazione Friends of Florence, svela nuovi particolari
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Rosso Fiorentino (al secolo Giovanni Battista di Jacopo; Firenze, 1949 – Fontainebleau, 1540) completava la pala d’altare con la Deposizione dalla Croce per la Cappella della Croce di Giorno a Volterra, tra le opere manifesto della sua maniera, nel 1521. Cinquecento anni dopo, nel 2021, è partita la campagna di restauro del dipinto, protagonista solo qualche anno prima – era il 2017 – della grande mostra sul Cinquecento a Firenze allestita a Palazzo Strozzi (dove l’arte di Rosso era già stata celebrata nel 2014, a confronto con l’altro pittore “eversivo” della Maniera, Jacopo Pontormo). Proprio in quell’occasione, la tavola – di proprietà della Parrocchia della Basilica Cattedrale di Volterra, normalmente conservata nella Pinacoteca civica della cittadina toscana – aveva manifestato serie problematiche di conservazione (dovute soprattutto allo choc termico subìto dal supporto ligneo nel 2003), cui l’intervento di restauro, finanziato dalla Fondazione Friends of Florence (i donatori John e Kathe Dyson e Alexander Bodini Foundation si sono fatti carico dei costi), si prefiggeva di rispondere. A dirigerlo, il restauratore Daniele Rossi, con l’auspicio di rivelare, attraverso le moderne indagini diagnostiche, nuovi dettagli sulla tecnica pittorica dell’artista fiorentino, specialmente per quanto concerne l’utilizzo peculiare del colore (fonte, da un lato, dei problemi conservativi dell’opera; dall’altro alleato dell’espressività senza tempo del pittore, che tanto piaceva anche a Pasolini, come dimostra la ricostruzione filmica inscenata ne La ricotta, nel 1963).
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La Deposizione dalla Croce di Rosso Fiorentino
Orientata dall’esempio di Michelangelo, Fra Bartolomeo e Andrea Del Sarto, la pittura di Rosso Fiorentino si espresse principalmente al servizio della committenza di famiglie aristocratiche toscane (non i Medici, però, essendo il pittore un seguace di Savonarola), fino a raggiungere la corte di Francesco I, in Francia. La Deposizione fu realizzata dal pittore durante il suo soggiorno a Volterra, collocata in origine nella cappella della Compagnia della Croce di Giorno, presso la chiesa di San Francesco, dove rimase fino alla fine del Settecento. Dopo un passaggio nella cappella di San Carlo, nella Cattedrale di Volterra, trovò collocazione definitiva, nel 1905, alla Pinacoteca Civica. Ambientata su uno sfondo astratto che amplifica la sacralità dell’evento, la pala si caratterizza per la potenza della composizione e per la trattazione dell’iconografia tradizionale (l’artista scelse un momento poco rappresentato nelle opere dell’epoca, dal vangelo di Matteo), con la Croce che diventa fulcro per i personaggi che si dispongono intorno (sopra, ai suoi piedi, colti in movimento). In alto c’è Giuseppe di Arimatea, con Nicodemo e tre aiutanti; In basso, a sinistra, la Madonna sorretta dalle due Marie, e la Maddalena inginocchiata che veicola lo sguardo sulla scena dolente, mentre sulla destra la figura di Giovanni si stringe il volto fra le mani.
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Il restauro della Deposizione di Rosso Fiorentino
Il progetto di restauro – in un primo momento visibile al pubblico tramite un cantiere aperto – avviato nel 2021 dall’ex Soprintendente Archeologia, Belle e Arti Paesaggio di Pisa e Livorno, Andrea Muzzi, e portato avanti sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Pisa e Livorno, diretta da Esmeralda Valente, con la supervisione del funzionario storico dell’arte Amedeo Mercurio e della restauratrice Elena Salotti, è ora completato. Al disvelamento dell’opera, che dal 16 novembre 2023 torna visibile nella sala di Rosso Fiorentino alla Pinacoteca di Volterra, si accompagnano le scoperte agevolate dallo studio approfondito del supporto e dello strato pittorico. In precedenza, il dipinto ha subìto almeno quattro interventi di restauro, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, ma stavolta si è lavorato innanzitutto sul supporto ligneo, costituito da cinque assi in legno di pioppo: l’obiettivo (raggiunto) è stato quello di recuperare il corretto allineamento della superficie pittorica, con l’inserimento di traverse in legno di castagno.
Per quel che riguarda la pratica del pittore, attraverso le analisi chimiche è stato possibile risalire alla preparazione degli strati pittorici, ai leganti e ai colori originali della sua tavolozza, molto ricca di pigmenti pregiati quali le lacche, il giallo Orpimento, il Giallo di piombo e stagno detto giallorino, il rosso Cinabro, l’Azzurrite e la Malachite. Si è notato inoltre come Rosso abbia aggiunto negli impasti un particolare sale come l’Allume di Rocca e della polvere di vetro, per dare maggior lucentezza e trasparenza alle stesure pittoriche. Mentre con la riflettografia si è risaliti al disegno preparatorio, trasposto a mano libera sulla tavola ingessata tramite un carboncino poco carbonizzato. L’indagine ha evidenziato alcuni pentimenti, rilevanti soprattutto nella composizione delle pie donne che sorreggono la Madonna (in origine presentata svenuta, e invece dolente, ma vigile, sospesa tra la sofferenza e il controllo delle emozioni, nella versione definitiva); ma sono emerse anche scritte appuntate dall’artista relative ai colori da utilizzare per le diverse campiture – anche questi non esenti da ripensamenti nella stesura finale.
Livia Montagnoli
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