Pompeii Commitment. Una nuova stagione per rilanciare un progetto dalle grandi aspirazioni
L'ideatore e co-curatore del progetto, anche direttore del Museo delle Civiltà di Roma Andrea Viliani, ci racconta la genesi e lo spirito di una visione ad ampio spettro che riporta il passato al proprio legittimo posto: nel presente
Un progetto sperimentale, multidiscplinare, a tratti impavido. Pompeii Commitment. Materie Archeologiche, istituito dal Parco Archeologico di Pompei, è stato un fulmine a ciel sereno nel panorama dell’arte contemporanea italiana, che negli ultimi anni ha spinto diversi artisti del nostro tempo a confrontarsi con la memoria ma soprattutto le innumerevoli professionalità del parco archeologico campano. Con l’annuncio della programmazione 2024, che comprenderà la produzione di nuove opere per la Collectio e il secondo ciclo del programma di Digital Fellowship, abbiamo chiesto al suo ideatore e co-curatore, il direttore del Museo delle Civiltà di Roma Andrea Viliani, di raccontarci l’anima di un progetto ad ampio spettro.
Pompeii Commitment. Intervista ad Andrea Viliani
Come nasce Pompeii Commitment, quali le sue caratteristiche fondanti?
Pompeii Commitment è stato concepito nel 2020 dall’attuale direttore generale musei Massimo Osanna e dal sottoscritto, e dal 2021 è supervisionato dal direttore del Parco Archeologico Gabriel Zuchtriegel (che ha sposato con entusiasmo il progetto), con la responsabile unica Silvia Bertesago e la curatela mia e di Stella Bottai, Laura Mariano e Caterina Avataneo. Parliamo di un programma assolutamente innovativo dal punto di vista del modo in cui coniuga la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale italiano ai linguaggi, le sensibilità e l’attenzione alle epistemologie e alle urgenze del contemporaneo. Un punto di vista chiave, per capire Pompei, che è da sempre un grande epicentro e laboratorio di contemporaneità.
Un sito che è quindi instrinsecamente attuale.
C’è una Pompei di Goethe, di Le Corbusier, dei Pink Floyd, che non perde occasione di avere un contatto diretto con gli intellettuali contemporanei. Pompei non è solo il grande sito archeologico che conosciamo – che attira milioni di turisti ogni anno, dove pagare un biglietto e ammirare la magnificenza –, ma anche un luogo dove ogni giorno si fa ricerca, e non solo nella conservazione e tutela del patrimonio. Qui coesistono architettura, ingegneria, informatica, sicurezza e biotecnologie applicate alla tutela di un patrimonio culturale immerso in ambiente naturale. Un luogo di straordinaria sperimentazione nella contemporaneità delle pratiche: qui la fragilità è trasformata in un’occasione di manutenzione programmata costante, che è la linea di indirizzo e investimento su cui punta la direzione generale musei. Mantenere un patrimonio significa non doverlo salvare in caso di pericolo, ma tenerlo reattivo.
Come si incrociano questa multi-professionalità e il progetto Pompeii Commitment?
Quando ho conosciuto meglio Pompei come persona interessata a capirne la fisiologia, in occasione della mostra del 2017 al Museo Madre di cui ero allora direttore, ho capito che si trattava di un centro di ricerca unico. È questo il modo in cui volevo lo vedesse anche il grande pubblico: un luogo al lavoro con le più avanzate tecnologie, attraverso le pratiche interdisciplinari, intersezionali e multimediali, che oggi sono attuate in primis dagli artisti contemporanei che fanno ricerca. Questo è lo spirito del progetto. E la sua validità resta questa – pure con il passare degli anni e una pandemia di mezzo –, manifestandosi al suo meglio nelle sperimentazioni di ricerca delle fellowship. La domanda è sempre cosa può fare l’arte contemporanea a Pompei, e cosa Pompei può offrire al pubblico con le loro interpretazioni.
Può raccontarci degli esempi di queste interpretazioni?
Anri Sala ha fatto una ricerca di mesi in cui è riuscito a far risuonare un doppio flauto antico: con l’utilizzo delle tecnologie più avanzate e collaborando con esperti di musica antica, è riuscito a far risuonare il flauto ridando vita a un suono ma anche a uno stile di composizione musicale, a partire dal calcolo del fiato e dallo studio della cultura del tempo. Ne emerge un suono, ipotetico, che ha duemila anni. A Pompei, come diceva Chateaubriand, il tempo e lo spazio si assottigliano.
Altro esempio è quello di Sissel Tolaas, che ha sperimentato la possibilità di una “archeologia degli odori”: con la sua formazione multidisciplinare, si è recata sugli scavi ed è intervenuta con una complessa strumentazione per ricavare particelle organiche che contengono informazioni olfattive. Ha proposto di occuparsi, in futuro, di questa smell archeology con una proposta che è a metà tra un protocollo scientifico e un’idea dotata di spirito visionario, com’è proprio degli artisti. Nel 2024 sarà la volta di Sophia Al-Maria, Jennifer Allora & Guillermo Calzadilla, Ed Atkins, Meriem Bennani, Deborah-Joyce Holman, Liliane Lijn, SAGG NAPOLI, Marianna Simnett e la curatrice Noam Segal che accompagna le artiste Libby Heaney, Agnieszka Kurant e Marina Rosenfeld.
Qual è l’anima della Collectio?
È nata appena è stato possibile tornare fisicamente al Parco, così da sviluppare anche qui, in modo sperimentale, una collezione prodotta in relazione al sito. Che non è un white cube, come possono esserlo i musei: qui va ripensato il concetto stesso di opera d’arte e spinto verso una consapevolezza ambientale e multispecie. Le artiste e gli artisti invitati a produrre nuove opere sono Marzia Migliora, Otobong Nkanga, Amie Siegel e Cerith Wyn Evans. Le prime tre artiste avevano già sviluppato altrettanti interventi, a partire dai quali hanno iniziato a collaborare per delle nuove possibili applicazioni tra digitale e fisico.
Recentemente, e a più riprese, è stata contestata a livello politico l’utilità di un dialogo tra presente e passato.
Il nostro patrimonio è sempre stato contemporaneo, basta pensare al modo in cui il Rinascimento ha letto l’antico e il Manierismo il Rinascimento. Pompei stessa è stata contemporanea con il Grand Tour: Salvatore Settis, nel libro Il futuro del classico, dice che il classico esiste nella misura in cui parla più del presente, e quindi del futuro, che non del passato. Noi il passato lo conosciamo attraverso frammenti di cui dare interpretazioni e colmare i vuoti, non come qualcosa di oggettivo: il patrimonio italiano, letto e riletto nei secoli, è destinato a non stare mai fermo, sollecitando costantemente una visione contemporanea. Il programma che abbiamo creato propone proprio questa metodologia, che punta a rendere contemporaneo il passato prima di tutto come forma di accessibilità del patrimonio. Noi lo interpretiamo, ne godiamo, lo contraddiciamo, in un rapporto che non è di “commission” ma di “committment”, cioè un impegno. Studiando il patrimonio siamo responsabili della sua attualità, e quindi della sua preservazione, impregnandolo della nostra lettura, come già Freud, o Sontag. Ce lo insegnano le materie con cui erano fatte le opere, che si sono conservate anche se abbattute, calcificate, erose: un’opera danneggiata rimane un pezzo di straordinaria informazione. Pompei insegna che l’arte non è mai distrutta, anche se danneggiata, e rimane a testimoniare un bisogno umano – come già diceva Warburg per il concetto di “patohsformel” – di avere forme, colori, narrazioni. Il passato non è mai passato perché il contemporaneo ne è imbevuto.
Quali i progetti futuri per il progetto e il Parco?
Sono molti gli sviluppi in cantiere. Il Parco ha sperimentato una ulteriore formula di supporto attraverso le partenship con soggetti come la Fondazione Donnaregina e la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, che hanno interesse a spostare la pratica sperimentale di ricerca su temi di valorizzazione del patrimonio. Inoltre, quello che andiamo a produrre come opere potranno esser oggetto di esposizioni (dopo le première) anche in altre collezioni: così sarà per il Museo Madre, dove con la neodirettrice Eva Fabbri ci siamo trovati nell’idea condivisa di trovare loro uno spazio nel museo. Le opere continuano così a parlare da un white cube che è meravigliosamente poroso, nell’idea di Fabbris, verso la comunità dell’arte. È sempre stato questo l’obiettivo finale: lasciar uscire le opere, e farle diventare ambasciatrici della contemporaneità di Pompei nel mondo.
Giulia Giaume
https://pompeiicommitment.org/
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