A Pompei scoperto un “panificio-prigione” dove operai e animali erano ridotti in schiavitù
Un ambiente angusto e senza affaccio con qualche piccola finestra per far passare la luce del giorno. Una fotografia del lavoro massacrante a cui erano sottoposti uomini, donne e animali negli antichi mulini – panifici della città
Dopo la scoperta del pavimento a mosaico delle Terme Stabiane, dell’affresco di duemila anni fa che ritrarrebbe la prima “pizza” della storia dell’arte, e mentre si delinea la realizzazione del treno ad alta velocità che collegherà Roma a Pompei nel 2024, dal Parco Archeologico di Pompei arrivano nuove scoperte sempre ‘just in time’ rispetto alle inizitive del Parco: sta per inaugurare una nuova mostra sulla vita di tutti i giorni a Pompei? E allora ecco che spunta un ritrovamento coerente con la vita di tutti i giorni. Ci troviamo nell’insula 10 della Regio IX (dove sono in corso gli scavi nell’ambito di un più ampio progetto di messa in sicurezza e manutenzione dei fronti che delimitano l’area ancora non indagata della città), dove è emersa un’abitazione suddivisa in diversi ambienti, tra cui due adibiti a panificio e forno, e uno a stalla, con intagli pavimentali utili al coordinamento del movimento degli animali attorno agli argani dei mulini.
Il panificio – prigione di Pompei
Quello che emerge da questa scoperta è una fotografia del massacrante lavoro condotto da uomini, donne e animali dentro i mulini – panifici della città, che denunciò addirittura Apuleio nelle sue Metamorfosi. Dalla suddivisione dell’abitazione capiamo che la zona delle macine era adiacente alla stalla, contraddistinta da una lunga mangiatoia. Ma la scoperta che più rende l’idea del coordinamento di operai e animali è data dai profondi incavi semicircolari nelle lastre di basalto vulcanico, fatti appositamente per evitare che gli animali potessero scivolare sul pavimento e, contemporaneamente, per tracciare un percorso che gli animali (bendati) potessero fare in maniera meccanica.
La scoperta del panificio – prigione. Parola al direttore del Parco Archeologico di Pompei Gabriel Zuchtriegel
“Si tratta, in altre parole, di uno spazio in cui dobbiamo immaginare la presenza di persone di status servile di cui il proprietario sentiva il bisogno di limitare la libertà di movimento”, sottolinea il direttore Gabriel Zuchtriegel in un articolo scientifico scritto a più mani e pubblicato sull’E-Journal. “È il lato più sconvolgente della schiavitù antica, quello privo di rapporti di fiducia e promesse di manomissione, dove ci si riduceva alla bruta violenza, impressione che è pienamente confermata dalla chiusura delle poche finestre con grate di ferro. Sono spazi come questo che ci aiutano anche a capire perché c’era chi riteneva necessario cambiare quel mondo e perché negli stessi anni un membro di un piccolo gruppo religioso di nome Paolo – poi santificato – scrive che è meglio essere tutti servi, ‘douloi’ che vuol dire schiavi, ma non di un padrone terrestre, bensì di uno celeste”. A esprimersi è anche il Ministro Gennaro Sangiuliano, sottolineando che “il valore inestimabile dell’intero sito archeologico. Queste nuove scoperte, frutto di scavi e di una ricerca scientifica continua e puntuale, confermano l’unicità di un luogo che tutto il mondo ci invidia”. Si, ha detto proprio così ‘che tutto il mondo ci invidia’…
Valentina Muzi
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati