Lo strano caso del Cavallo leonardesco all’Ippodromo di Milano: spostiamolo
Una delle sculture equestri più grandi al mondo, ispirate al cavallo bronzeo che Leonardo da Vinci avrebbe sognato di erigere a Milano, è oggi una mesta attrazione che non riesce a trovare una sua idonea collocazione. Non sarebbe il caso di ripensare la collocazione della scultura?
A Milano, all’interno dell’Ippodromo in zona San Siro, si può ammirare una fantastica scultura equestre, realizzata nel 1999 dall’artista nippoamericana Nina Akamu (Midwest City, 1955). L’opera è basata su un’interpretazione filologica dei disegni di Leonardo da Vinci relativi al grandioso progetto del cavallo dedicato alla memoria di Francesco Sforza, padre di Ludovico il Moro. Il sogno del genio toscano di realizzare un’opera in gettata unica in bronzo alta oltre sette metri non fu mai realizzato. Leonardo dovette accettare l’amara realtà: le cento tonnellate di bronzo comprate per la realizzazione della scultura vennero deviate verso Ercole d’Este a Ferrara, minacciato dai francesi.
La storia del cavallo di Leonardo da Vinci
Per la realizzazione di questa meraviglia inimmaginabile, Leonardo giunse fino agli estremi limiti imposti dall’imperturbabile natura all’ingegno umano. E spesso provò persino a superarli, come quando ipotizzò di realizzare addirittura un cavallo rampante che si sarebbe retto sulle sole zampe posteriori. Il sogno del Cavallo accompagnò Leonardo in tutto il suo prolungato periodo frequentazione milanese, sin dalla lettera (chiamata informalmente il suo Curriculum Vitae) con cui si presentò alla corte meneghina nel 1482. Il toscano investigò con impegno le migliori statue equestri del nord Italia: studiò il perduto monumento equestre del Regisole, capolavoro di epoca tardoantica, che un tempo era il gioiello artistico della città di Pavia. Studiò anche il Gattamelata di Donatello a Padova e il monumento equestre a Bartolomeo Colleoni, opera del suo maestro Andrea del Verrocchio. Leonardo realizzò una quantità incredibile di disegni e di schizzi, studiava i cavalli nelle stalle del castello di Porta Giovia a Milano, o al castello di Vigevano. La sua opera doveva essere perfetta: valutava tra i più bei esemplari di cavallo delle stalle del Duca quelli che sfoggiavano le caratteristiche estetiche migliori e le riassumeva tutte in un’unica, superba selezione. Sappiamo che Leonardo giunse a realizzare nel 1493 un modello in creta alto oltre sette metri. Il Duca era esasperato per la lentezza dei lavori, e addirittura nel luglio 1489 il Moro scrisse alla corte di Firenze affinché gli fosse inviato uno scultore più puntuale nella realizzazione delle consegne.
Il bronzo era a disposizione, ma la storia prese un percorso inatteso e nel giro di pochi anni il Duca perse “lo Stato, la roba e la libertà”, per utilizzare le parole annotate da Leonardo stesso. Nel 1499, con i Francesi in città, la scultura in creta venne utilizzata come bersaglio dalla soldataglia, che evidentemente era dotata una mira così scarsa da necessitare un obiettivo di ingenti dimensioni per non mancare il colpo.
Il cavallo di Leonardo: una nuova vita
Oltre ai disegni della Royal Collection a Windsor, sappiamo molto del suo progetto di fusione grazie ai cosiddetti Codici di Madrid. Fu Pompeo Leoni, figlio dell’aretino Leone Leoni (quello della celeberrima Casa degli Omenoni) a portare i codici in Spagna, ma a causa di un problema di archiviazione si dovette attendere sino alla metà degli Anni Sessanta per venire a conoscenza dei manoscritti. Dieci anni dopo l’annuncio del ritrovamento dei Codici di Madrid, nel 1977 il filantropo Charles Dent lesse un articolo sul progetto di Leonardo sul numero di settembre del National Geographic. Dent, un pilota d’aereo, si innamorò follemente del progetto leonardesco del Cavallo, e decise di dedicare la sua intera vita alla realizzazione del sogno incompiuto di Leonardo, fondando la società no-profit “Leonardo da Vinci’s Horse, Inc”. L’idealista Dent, purtroppo, non riuscì a vedere realizzato il suo progetto, dato che morì il giorno di Natale del 1994 per sclerosi laterale amiotrofica. L’iniziativa passò dunque nelle mani di un imprenditore attivo nel mondo dei supermercati, Frederik Meijer, che riuscì quindi a concludere il progetto affidandone la realizzazione (nel 1997) all’artista statunitense di origine giapponese Nina Akamu, innamorata della cultura italiana. L’impresa riuscì e la statua venne collocata a Grand Rapids, nel Michigan, nel Frederik Meijer Gardens & Sculpture Park, che era stato inaugurato nel 1995. Il parco è oggi uno dei giardini dedicati alle sculture più visitati al mondo: tra il 2015 e il 2017 ricevette la visita di ben 750 mila persone. Una copia della statua giunge invece nel 1999 a Milano, luogo di origine del sogno leonardesco, dove però la collocazione, assai meno spettacolare, riesce ad attirare solamente una frazione insignificante dei numeri raggiunti dal parco statunitense, nonostante la città meneghina, a differenza di Grand Rapids, sia una destinazione di ben consolidata tradizione leonardesca.
L’infelice collocazione all’Ippodromo Snai
La scultura è – come il modello in creta – alta più di sette metri e, una volta giunta a Milano, ci si pose la questione di dove collocarla, affinché fosse valorizzata. All’epoca, l’amministrazione Albertini, forse spiazzata dal magnanimo dono a stelle e strisce e priva della necessaria visione strategica nonché di ambizioni culturali significative, decise stolidamente di puntare sul lato più schiettamente equino del cavallo, esponendolo fuori dal centro storico, in periferia, all’ippodromo di San Siro. La scelta, a distanza di anni, si è rivelata, a nostro modesto avviso, anodina. E oggi? Giungono forse all’ippodromo di Milano le centinaia di migliaia di visitatori che si accalcano per godere della superba scultura in mezzo all’idillico contesto naturalistico del parco di Grand Rapids? Niente affatto. Il torpore in cui è immersa da decenni la mastodontica scultura bronzea viene interrotto talvolta da qualche illuminata iniziativa culturale, come le giornate FAI, quando l’ippodromo si trasforma in luogo d’arte e di cultura, e fare la coda per vedere il monumento leonardesco non richiede la produzione di elaborate giustificazioni volte ad ottenere il tanto agognato accesso alla fruizione del Cavallo.
Alcune proposte per ricollocare il Cavallo
Questo ci fa giungere dunque al quid della questione: la collocazione all’Ippodromo Snai, al di là dell’ingenuo collegamento tra mondo equino e ippica, è davvero il luogo ideale per garantire la fruizione della scultura? Davvero, in vista dell’occasione offerta da Milano-Cortina 2026, non esistono alternative più felici? Forse sì, e nel passato molte interessanti proposte sono state realizzate. Vediamone qualcuna. Ad esempio, durante la realizzazione dei lavori per la riqualificazione della Darsena, nel 2014, una licenza poetica in un rendering presentato a Palazzo Marino (amministrazione Pisapia) fece ipotizzare che esistesse l’intenzione di trasferire il cavallo in un luogo di indubbia vocazione leonardesca come il quartiere dei Navigli, più precisamente in piazza XXIV Maggio, proprio a ridosso della neoclassica Porta Ticinese del Cagnola. Oggi quello stesso piazzale è utilizzato per il Mercato Coperto della Darsena, ed è difficile ipotizzare uno spazio sufficiente in una piazza così frequentata da avventori e turisti per esporre l’opera in un sedime tale da permettere la contemplazione da sufficiente distanza. Il buon senso, infatti, suggerirebbe che la contemplazione ideale dell’opera, che tra basamento e altezza della scultura in sé supera i nove metri d’altezza, dovrebbe essere da una prospettiva che consenta la visione con un angolo non superiore ai 45° rispetto al suolo, pertanto ad almeno una decina di metri di distanza. Possiamo arrotondare questa cifra ad una quantità minima di un centinaio di metri quadrati almeno attorno all’opera, affinché possa essere garantita una fruizione idonea. La proposta della Darsena, però, non è stato il primo caso di una “licenza di rendering”: già nel 2008 il Cavallo era stato oggetto di un’ipotesi assai seducente. L’architetto Alvaro Siza, nella sua superba visione volta a trasformare Corso Sempione in quel grand Boulevard neoclassico che nelle intenzioni napoleoniche avrebbe dovuto diventare, ipotizzò di collocare la scultura di Akamu a metà tra piazza Firenze e l’arco della Pace. Nel 2015, in occasione di Expo, il think tank Urbanfile aveva sollevato attenzione sul caso: perché il progetto di Siza era stato abbandonato? Il cavallo di certo sarebbe stato degno coronamento ad uno dei viali monumentali più ampi d’Europa e ad una linea verde che dal Castello Sforzesco giungeva in periferia. L’intenzione della pedonalizzazione di Corso Sempione è oggi tristemente dimenticata, eppure un nastro pedonale continuo da piazza San Babila (e Corso Venezia?) sino a Corso Sempione passando per il Castello con tanto di Cavallo leonardesco sarebbe stato un progetto davvero visionario. Sempre Urbanfile (articolo firmato da Letizia Paratore e poi un altro di Marco Montella) aveva lanciato nel 2017 qualche suggestiva proposta: si passava da piazza Gae Aulenti, sotto la guglia della torre Unicredit, alla fontana di piazzale Giulio Cesare, in zona Tre Torri-Citylife. Alcuni lo sognavano addirittura in piazzale Loreto, augurandosi un totale ripensamento in verde della piazza, recuperata alla città a discapito del traffico che lo assilla da decenni.
L’ipotesi del Castello Sforzesco e di Palazzo Reale
Tra le proposte dell’articolo alcune erano veramente interessanti, come ad esempio l’idea di vederlo collocato dietro al Castello Sforzesco, all’interno di Parco Sempione, all’altezza della sterrata Piazza del Cannone. Forse Leonardo stesso era solito recarsi lì per studiare i cavalli del Duca. Alternativa ragionevole era anche quella di esporlo all’interno del Cortile delle Armi, all’ombra della Torre del Filarete. Il piazzale, ristrutturato da Luca Beltrami, ospita oggi una ricostruzione in autentica verzura dell’intreccio geometrico presente all’interno della Sala delle Assi, opera di Leonardo, oggi in fase di restauro. Particolarmente interessante è il lato del Cortile delle Armi che si affaccia verso Porta del Carmine, presso cui sono ospitate numerosi frammenti architettonici “minori” della Milano che fu. In questa sorta di antiquarium all’aria aperta, il cavallo di Leonardo potrebbe essere un’ipotesi particolarmente attraente. E sogniamo un duello, epigono di quello forse mai davvero iniziato nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze, tra il Michelangelo della Pietà Rondanini da un lato e il Cavallo leonardesco all’altro. Due opere incompiute frutto del genio di due tra i più grandi artisti del Rinascimento italiano. La Piazza delle Armi si trasformerebbe davvero, in questo caso, in un’autentica “Piazza dei Miracoli”. Ci sono altre ipotesi ragionevoli? Studiando con attenzione la storia del Cavallo, forse possiamo trovare qualche spunto interessante. Ci riferiamo ad esempio al laboratorio che Leonardo aveva allestito in Corte Vecchia, l’antico Palazzo Ducale che oggi, dopo il restauro in stile neoclassico realizzato dal Piermarini nel Settecento, è noto come Palazzo Reale. Eppure era lì, a due passi dal cantiere della Cattedrale, che Leonardo realizzava i suoi esperimenti sul volo. Ed era probabilmente lì che Leonardo stava lavorando sul progetto del Cavallo sin dal 1491.
Sarebbe pertanto suggestiva l’opzione di collocare la statua nel fianco destro del Duomo, nel luogo in cui era originariamente ospitato il modello in creta, nell’attuale Piazzetta Reale. Le dimensioni sono più che sufficienti per supportare la visione comoda della scultura, e il luogo è già oggi considerato uno degli epicentri delle arti a Milano, grazie alla presenza vicina del Museo del Novecento, delle mostre temporanee a Palazzo Reale e del Museo del Duomo. Dalle scalinate che salgono fino al ristorante Da Giacomo Arengario sarebbe possibile avere una vista impareggiabile del Cavallo.
Brera: la destinazione perfetta per il Cavallo di Leonardo?
Sognando un futuro da autentica capitale dell’arte per Milano, non possiamo non valutare, ancorché fugacemente, l’ipotesi più scanzonata ed allegra: quella che forse avrebbe allettato di più Leonardo. Esiste infatti un luogo unico a Milano, un luogo in cui la scienza incontra l’arte, così come amava fare Leonardo. Si tratta di un luogo incantevole, per il quale recentemente è stato proposta la candidatura a sito Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’Unesco, non si sa con quanta serietà di intenzioni. Si tratta del Palazzo di Brera, all’interno del quale troviamo in una superficie compatta tutto lo scibile umano, una sorta di vera e propria enciclopedia fattasi palazzo. Di sicuro Brera sarebbe stato il luogo preferito di Leonardo perché raccoglieva la molteplicità dei suoi interessi. E allora perché non pensare di collocare il Cavallo di Nina Akamu nello spiazzo sterrato che si trova di fronte alla nuova sede di Brera Modern, a Palazzo Citterio? Giusto di fronte all’edificio, infatti, al di sopra delle sale ipogee realizzate da James Stirling negli Anni Ottanta, si trova una superficie che pare perfetta per dimensioni e contesto per ospitare la scultura leonardesca. L’area verde è di circa 600 metri quadrati, più che sufficienti a godere di un’ottima visione sulla scultura. Il peso sui piani ipogei sarebbe notevole, e l’operazione di trasporto nelle strette vie di Brera sarebbe problematico, come lo sarebbe anche l’operazione di collocamento all’interno del giardino. Nel cortile di Palazzo Citterio sarebbe visibile dalle finestre delle sale espositive, nonché dalle vicine collinette artificiali realizzate nel retrostante giardino del palazzo. La congiunzione con la sede storica di Brera, con il Palazzo Reale delle Scienze e delle Arti di Maria Teresa, di Napoleone, di Ruggero Giuseppe Boscovich e di Antonio Canova sarebbe compiuta felicemente. La nostra – si badi bene – intende essere nulla più di una provocazione, un semplice volo pindarico, ma d’altra parte è un tipo di utopia che non sarebbe affatto dispiaciuto a Leonardo, né alla città che osò sognare la costruzione del Duomo. E voi, dove sognereste di vedere collocata la scultura di Nina Akamu ispirata al Cavallo di Leonardo?
Thomas Villa
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