Il legame tra archeologia e turismo, ma da una diversa prospettiva
Quando si parla di archeologia e turismo, a fare la differenza è la percezione dell’autenticità non solo del bene, ma anche della sua relazione con la cittadinanza tutta
Il binomio archeologia e turismo è divenuto, negli ultimi dieci anni, uno dei temi talmente discussi da risultare ormai abusati. Riflessioni su come l’archeologia aiuti il turismo, o su come il turismo possa aiutare l’archeologia, sono ormai all’ordine del giorno. Talvolta con buone intuizioni, molto spesso con la ripetizione di buone intuizioni di anni precedenti, e in entrambi i casi con pochissimi casi di applicazione concreta.
Eppure, c’è un tema che non sempre viene discusso quanto meriterebbe, ed è un tema che sotto alcuni aspetti rappresenta uno dei nodi forse più centrali del rapporto tra l’archeologia e il proprio territorio di riferimento: l’autenticità.
Il problema dell’autenticità
Prima di procedere, va forse sottolineato che il concetto di “autenticità” inquadra una delle dimensioni maggiormente richieste dai turisti. Si badi bene, non solo da coloro che praticano forme di turismo cosiddette sostenibili, ma da tutti i turisti internazionali, anche quelli del turismo di massa. Nella domanda turistica, pertanto, il carattere di autenticità risponde ad una dimensione estremamente specifica: la possibilità di vivere “un luogo reale”, al fine di comprendere le specificità del luogo che si va a visitare. Al di là delle definizioni formali, chiunque di noi abbia mai fatto un viaggio intuisce con estrema semplicità che cosa si intenda con una “domanda di autenticità”.
Per quanto la domanda sia, in fondo, banale, diviene estremamente complicato per i territori strutturare un’offerta autentica. Non tanto per la differenza tra aspettativa e offerta reale, e nemmeno perché costruire autenticità è una contraddizione in termini, ma perché fornire autenticità ad un luogo significa trasmettere, a chi visita quel luogo, una serie di contenuti impliciti.
L’autenticità non sta nel prodotto, ma nell’esperienza
Utilizzando argomenti semplici, l’esperienza del caffè, a Napoli, è autentica. E non la rende tale la fama del caffè nel mondo, ma il fatto che i napoletani, il caffè, lo bevono davvero come un’esperienza importante. Lo si capisce guardandoli nei bar. È autentica l’esperienza dello shopping a Milano, non perché a Milano ci siano le “grandi firme” (che sono ormai in tutto il mondo), ma perché la ricercatezza dell’abbigliamento di coloro che vivono e lavorano nel centro città è evidente.
L’autenticità, quindi, richiama uno degli elementi più importanti di un territorio, e vale a dire l’insieme di valori, prassi e abitudini, implicite ed esplicite, che caratterizzano un luogo e i suoi cittadini.
Si tratta di una espressione sensibile di elementi tangibili e intangibili, e non può essere ricercata nella sola componente “materiale”, ma deve essere presente anche nello stile di vita.
La differenza tra un borgo autentico e un borgo che è stato ricostruito ad uso e consumo dei turisti, è proprio nelle persone che lo vivono. È la loro normalità a rendere il borgo un luogo magico. Non sono le insegne per i turisti, né le guide, né gli hotel. Sono gli anziani che vanno a fare la spesa, il ritrovo degli amici al bar del centro, il modesto via-vai pedonale fatto di impegni quotidiani.
Archeologia, turismo e autenticità
Con l’archeologia, vale lo stesso. È probabilmente utile ricordare che nel momento in cui gli italiani smettono di avere una profonda consapevolezza del proprio passato, delle proprie origini, recenti e risalenti, o nel momento in cui gli italiani etichettano i propri monumenti come “attrazioni per turisti”, in quell’esatto momento, l’Italia perde una parte della propria autenticità.
Non si tratta di stabilire “quante volte al giorno si pensi all’impero romano”, com’era abitudine chiedere sui social qualche mese fa. Non ci sono degli elementi “tangibili”. Ma se accettiamo che il nostro cervello impiega pochissimo tempo a farsi un’idea su una persona, e che nell’elaborazione di quell’idea vengono analizzati in modo anche inconsapevole dei segnali che servono da indizi per valutare elementi anche non visibili di quella persona, allora dobbiamo anche accettare che il medesimo processo non si limita alle persone, ma coinvolge gli oggetti e i luoghi nella loro interezza. E quindi accettare che visitare una città in cui i cittadini hanno un rapporto concreto con il proprio passato, fornisce una sensazione differente rispetto alla visita in una città in cui i cittadini ignorano o si disinteressano alla propria storia. Se queste riflessioni sembrano ovvietà, è giusto ricordare che nelle ricerche internazionali legate al “brand” dei vari Paesi, e a come tali brand venissero percepiti a livello internazionale, l’Italia occupava i primi posti nella storia, nella cultura, e nell’autenticità.
Per mantenere vivo quindi il fenomeno turistico, è importante che i cittadini coltivino un’autentica relazione con la propria cultura e con la propria storia. E l’archeologia, in questo, gioca un ruolo centrale.
In un momento in cui la cultura viene interpretata principalmente come vettore turistico, affermare che lo sviluppo di una relazione tra cittadini e archeologia può favorire un miglioramento generale dell’esperienza turistica può rappresentare una strada per favorire politiche che, pur se con presupposti non sempre condivisibili, possano quantomeno essere indirizzate in modo efficace.
L’archeologia è di tutti nella misura in cui viene essa diviene accessibile a tutti. È un impegno che tanto i decisori politici, tanto gli archeologi, devono tenere bene in mente.
Stefano Monti
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