Ennesimo prestito del Museo Nazionale di Napoli: la testa di Tito va alle Gallerie d’Italia
Il Museo Archeologico di Napoli cede per alcuni mesi un altro capolavoro. In molti pensano che il museo più importante della città dovrebbe privarsi un po’ meno delle sue opere: gli abbiamo chiesto quale sia il criterio
Per i prossimi mesi, nell’atrio delle Gallerie d’Italia (sede di Napoli), sarà una grande scultura d’epoca romana ad accogliere il pubblico: è la Testa colossale di Tito, opera marmorea del 95 d.C di proprietà del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Un nuovo prestito, dunque, per il museo destinato a passare in prima fascia su scorta delle richieste del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e ancora senza direttore fisso, anche se provvisoriamente gestito dal direttore generale musei Massimo Osanna dopo la fine del secondo mandato dell’apprezzato Paolo Giulierini.
Anni di prestiti del Museo Archeologico di Napoli
Sono molti i prestiti fatti dal Museo Archeologico negli ultimi anni, e molto discussi. Famosa la cessione temporanea, per la sfilata di Bottega Veneta a Milano nel 2023, dei celebri Corridori di Ercolano, cui poco dopo avevano fatto seguito la Tazza Farnese a Fondazione Prada per Recycling Beauty e la Testa Carafa, posta alla Stazione Centrale nell’ottica di una promozione del patrimonio napoletano a Milano. E poi ancora, sempre nel 2023, le opere del museo sono volate a Barcellona per Pompeya, el último gladiator (150 pezzi solo qui) e a Pechino, con una settantina di opere tra cui l’Afrodite Callipigia, l’Afrodite appoggiata, lo Pseudo Seneca della Villa dei Papiri e l’affresco di Eros e Narciso. Un trend, questo, che ha lasciato molti buchi in casa, cosa che ha generato scalpore soprattutto a fronte di un biglietto che proprio nel 2023 ha superato la soglia dei 20 euro: “Ho finito per passare un sacco di tempo a guardare i vuoti e cercare di capire dove fossero tutte queste opere. Sono in prestito in almeno 15 mostre diverse, alcune concluse da mesi, dalla Corea, all’Austria, a Roma. Altre invece erano state spostate internamente, lasciando comunque dei “buchi”, perché in questo momento nelle sale del museo sono in corso 5 mostre diverse”, si leggeva lo scorso giugno sui social dell’associazione culturale Mi riconosci?
La situazione perdura peraltro da tempo, basti vedere il gigantesco prestito al Museo Nazionale di Tokyo l’anno precedente: per la mostra Pompeii (che dopo la capitale si è spostata anche a Kyoto, Miyagi e Fukuoka) ha visto 160 reperti del Mann sparire da Napoli per oltre un anno in cambio del restauro del famoso mosaico della battaglia di Isso. E ancora, nel 2018, circa cento opere erano state nuovamente spostate in Asia, per una grande mostra in Cina.
Certo, il museo ha realizzato nel frattempo progetti molto curati e apprezzati: è il caso dei bronzi di San Casciano, esposti fino a fine giugno 2024 senza costi aggiuntivi al biglietto, o il percorso che dal 2022 ha aperto i celebri depositi detti “di Sing Sing” al pubblico. Meno chiare invece sono state altre attività espositive – è il caso delle bizzarre aragoste di Phil Colbert per la mostra temporanea House of the Lobster – o più genericamente turistiche, come il primo Salone regionale della birra artigianale lanciato a maggio 2023. Progetti fruttuosi di commistione culturale o tentativi di racimolare ulteriori risorse? E sì che lo scorso luglio avevamo assistito a un grosso spostamento di fondi dal Colosseo e da Pompei di due milioni di euro ciascuno volto a “garantire l’equilibrio finanziario” proprio del Mann.
Il commento del Museo Archeologico Nazionale di Napoli sul caso prestiti
Abbiamo chiesto un commento su questo trend di prestiti alla dottoressa Marialucia Giacco, responsabile dell’Ufficio mostre Italia/estero e dell’ufficio prestiti del Mann.
Qual è la vostra politica riguardo ai prestiti museali, che abbiamo visto essere numerosi in questi anni?
Sicuramente negli ultimi anni il numero dei prestiti è notevolmente aumentato: il Museo Archeologico Nazionale di Napoli è il principale prestatore di opere archeologiche in Italia. Dietro la scelta di prestare c’è la volontà di avviare rapporti di collaborazione con enti e istituti, italiani e stranieri, con relazioni non prevedono solo il prestito ma una collaborazione scientifica a più livelli.
Queste collaborazioni portano fondi extra al museo?
Molto spesso si fa l’errore di pensare che i prestiti siano fatti per ricevere un corrispettivo economico, ma non è così: queste sono proprio collaborazioni di carattere diplomatico e scientifico basate su buone prassi. Ne abbiamo avviate anche con i cosiddetti Paesi in via di sviluppo, i cui professionisti vengono a formarsi da noi. Detto questo, il Mann ha cercato soprattutto negli ultimi tempi di prediligere per i prestiti opere provenienti da depositi, cioè reperti che spesso non è possibile esporre al museo, che in questo modo possiamo far vedere e restaurare.
Questi rapporti di amicizia si cercano anche con i privati, come nel caso dei Corridori prestati a Bottega Veneta l’anno scorso?
Il Mann come ente pubblico non ha rapporti di “amicizia” con le aziende. Come già fatto dal direttore Giulierini, l’idea è stata quella quella di diffondere la conoscenza del museo e creare un rapporto di interlocuzione anche con enti privati. L’obiettivo è sempre quello di promuovere la conoscenza del Mann così da aumentare la platea di visitatori.
Sono effettivamente aumentati i visitatori?
Se prima del Covid eravamo quasi a 700mila visitatori all’anno, quest’anno – dopo la ripresa – stiamo per toccare la stessa cifra. I prestiti sono anche uno strumento per uscire da questo avvallamento.
La linea generale è cambiata nel passaggio dall’ex direttore Giulierini al direttore temporaneo Osanna?
Non sta a me parlare di eventuali cambi di linea, posso dire che al momento si stanno anche portando avanti progetti già avviati dalla precedente amministrazione. Ci saranno certamente degli aggiustamenti, ma in ogni caso tutte le mostre organizzate da qui al prossimo anno prevedono quasi esclusivamente prestiti di opere provenienti da depositi.
Giulia Giaume
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