Guercino, il mestiere del pittore. La mostra a Torino
L’infanzia prodigiosa, la fama precoce, l’Accademia del nudo. Una mostra nel capoluogo piemontese racconta l’artista che ha sacrificato tutto sull’altare del proprio talento
Giovanni Francesco Barbieri (Cento, 2 febbraio 1591 – Bologna, 22 dicembre 1666), detto il Guercino per via dello strabismo, rappresenta un tipo psicologico tra il workaholic ed il self made man, uno che sacrifica tutto sull’altare del proprio talento. Già infante, e senza alcune educazioni specifiche, dipinge sul muro esterno della casa natia una Madonna, che lo farà notare prima dai genitori, perduti prematuramente, poi da maestri e mentori, tra cui spicca il suo talent scout, il canonico Antonio Mirandola.
Nell’adolescenza centese, mentre lo Stato Pontificio conquista il ducato estense di Ferrara, Guercino frequenta pochi e scarsi maestri, ma un’opera gli è quasi sufficiente per apprendere il linguaggio e lo stile di una nuova relazione tra la realtà, la pittura e la luce: quella Madonna col bambino dipinta nel 1591 da Ludovico Carracci che lo inizierà a quella retorica delle passioni fino ad allora sconosciuta e che anni dopo, nel 1617, lo elogerà come “mostro di natura e miracolo da far stupire”. Guercino sfrutta la precoce fama e fonda la sua Accademia del nudo, a cui accorrono 23 alunni, anche dalla Francia. L’anno successivo visita Venezia, dove riceve il plauso di un Palma il Giovane estasiato dai suoi disegni. Studia i maestri veneti e apprende quel “tinger di forza” che rende la sua pennellata più sprezzante e di un colorismo più vigoroso. Ciò si aggiunge al suo linguaggio schietto e popolare con cui trasforma i miti classici in narrazioni vivide e drammatiche.
A Roma, con Papa Gregorio XV, e l’atelier-azienda
Quando il cardinal Alessandro Ludovisi, che lo ha sempre ammirato, sale al soglio pontificio come Gregorio XV, Guercino lo raggiunge nella Roma del nepotismo e del culto controriformista delle immagini per creare alcune delle sue opere più alte. Sono tre anni di lavoro ispirato ma anche di promesse infrante, come quella di affrescare la Loggia della Benedizioni in San Pietro che sfuma quando il pontefice e protettore muore nel 1623.
Rientrato a Cento, Guercino lavorerà nei decenni successivi in terra natale. Grazie a ciò potrà organizzare la sua bottega come una vera azienda, con regole ferree e compiti assegnati. Quarantenne, rifiuterà sia di prender moglie sia gli inviti delle corti d’Inghilterra, della regina di Francia, Maria de’ Medici, e poi di Luigi XIII. Restare libero e prolifico è il suo obiettivo. La trasparenza è un valore e nel suo “Libro dei conti” annota ogni vendita: una miniera per gli storici dell’arte e uno strumento per la futura fama. Dotato di tariffario e tempi di attesa, l’atelier del Guercino è una macchina moderna che mal sopporta gli intermediari e i trafficoni. Il lavoro procede celato, nessuno può vederlo dipingere, tranne il suo copista Bartolomeo Gennari: ogni nuova creazione, infatti, viene copiata più volte e ogni copia venduta per un terzo del prezzo dell’originale, ma soltanto dopo che l’originale sia stato consegnato. Non c’è spazio per la sregolatezza, soltanto per il genio, anche organizzativo.
La mostra su Guercino a Torino e il periodo storico
Dopo la riapertura della Pinacoteca Civica di Cento, danneggiata dal terremoto del 2012, la Pinacoteca Nazionale di Bologna ha organizzato una monografica del pittore centese e un’altra giungerà in autunno alle Scuderie del Quirinale. Quella nella capitale sabauda rappresenta un capitolo fondamentale per quantità dei temi affrontati e per qualità delle opere. Il catalogo (Skira editore) è ricco di studi e di analisi di quel mestiere del pittore di cui Guercino è l’emblema. Lui è un ingranaggio principale del sistema dell’arte della prima metà del Seicento, quando il Manierismo lascia il campo al Barocco. Galileo è costretto all’abiura nel 1633 ma gli ideali di una conoscenza metodica del reale iniziano ad imporsi dentro una rivoluzione scientifica che è nata a metà Cinquecento ma che matura nella filosofia empirista di Bacone (il Novum Organum è del 1620) e nel razionalismo di Cartesio (il Discorso sul metodo data 1637). Sacro e profano s’intrecciano nella danza degli affetti. Miti pagani, eroi ed eroine della storia antica, Ercoli e Sibille (una delle dieci sezioni della mostra è dedicata a loro) sono soggetti validi al pari di Madonne e Padri eterni (ve ne sono almeno tre in mostra). La magia, l’alchimia e l’astrologia (allegorizzata dalla Musa Urania) sono ancora parte di un mondo, quello principesco e cardinalizio colto, in cui laicità e religiosità procedono affiancate.
Guercino a Bologna, atto finale
Nello Stato Pontificio, di cui Bologna è la seconda più importante città, l’arte s’infiamma di poesia ed estasi, assumendo l’afflato drammatico dei poemi dei letterati di corte, a cui anche il Guercino attinge, primi fra tutti l’Ariosto e il Tasso. Caravaggio, con la sua luce, il suo istinto cinematografico e (diremmo oggi) neorealista sono un riferimento dell’epoca, così come la grazia e il distacco classicista di Guido Reni, che sarà per il Guercino un modello ma anche il concorrente più silenziosamente temuto. Dopo la scomparsa di Reni nel 1642, Guercino andrà a Bologna e vi passerà il resto della vita, concedendosi brevi viaggi. Nel 1649, la morte dell’amato fratello Paolo Antonio, autore delle più belle nature morte del suo studio, gli procura una depressione; con lui, il Guercino ha condiviso una solidissima fede cattolica e la casa-studio, dove ora subentrano la sorella e il cognato per aiutarlo nell’amministrazione.
Il primo dei due infarti che colpiranno il pittore centese avviene nel 1961, cinque anni prima di quello fatale. Il suo lascito oggi appare enorme, come dimostrano le tante mostre a lui dedicate: segno certo di come il talento ben organizzatopossa tramandare la propria fortuna nei secoli.
Nicola Davide Angerame
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