Il valore del ritorno. Riflessioni sull’Atleta Vittorioso e sull’Afrodite di Morgantina
A neppure 15 anni di distanza, la storia si ripete: un altro bene uscito illecitamente dall’Italia potrebbe fare presto ritorno. Chi si ricorda dell’Afrodite di Morgantina? È il momento buono per vedere che fine ha fatto
È un curioso parallelo, quello che sembra in procinto di costruirsi tra l’Atleta Vittorioso di Fano (o Atleta di Lisippo) e l’Afrodite di Morgantina. A distanza di meno di un ventennio – le vicende legali dell’Afrodite cominciarono nel 2004 – la storia si ripete. I protagonisti sono gli stessi, e l’esito potrebbe presto confermarsi anch’esso tale. Da una parte c’è il Ministero della Cultura italiano, forte della Convenzione dell’Unesco contro i traffici illeciti di beni culturali del 1970, e dall’altra il Getty Museum di Malibu. L’oggetto conteso è sempre una statua antica, ritrovata in terra italiana, e poi – dopo una serie misteriosa di passaggi di mano – diventata inquilino illustre della collezione della Villa-museo americana.
Nel caso dell’Afrodite ritrovata nel sito archeologico siciliano di Morgantina, l’iter processuale cominciato nel 2004 ebbe esito vittorioso, o meglio “trionfale” se si considerano le celebrazioni che accompagnarono l’evento, nel 2011. Anno in cui, sfruttando la ricorrenza dei 150 anni dall’Unità, la statua fece ritorno in patria. Una vittoria che assunse il significato di un vero e proprio nostos odissiaco. Un’affermazione di politica culturale fortissima, che non mancò di risvegliare le voci di altrettanti Stati – la Grecia in cima alla lista – che rivendicavano la restituzione dei propri beni.
Il tema è caldo e delicato, in particolare nel momento attuale: un nuovo possibile precedente potrebbe aggiungersi alla lista, a favore di nuovi, legittimi, ritorni a casa. È l’Atleta Vittorioso, ritrovato a Fano nel 1964, e di cui oggi la Corte di Strasburgo ha votato all’unanimità il rimpatrio. In attesa dei prossimi – e forse conclusivi – sviluppi, l’occasione è buona per tornare a parlare dell’Afrodite, ora con un potenziale con-sorte, e delle implicazioni di valore e valorizzazione che questi eventi trascinano con sé.
Per punti
La storia dell’Afrodite di Morgantina: un breve riassunto
Dalla Sicilia al Getty di Malibu
Risale all’area archeologica di Morgantina, in provincia di Enna, quella statua femminile databile V secolo a.C. che fu illegalmente trafugata, e poi venduta a Lugano da un trafficante di antichità. Dopo un passaggio nelle mani di una compagnia inglese, il Getty Museum di Malibu – durante la grande campagna di acquisizioni degli Anni Ottanta guidata da Marion True – la acquistò per esporla dopo un accurato restauro e studio.
Dal Getty di Malibu alla Sicilia
Nel 2004, il Ministro della Cultura italiano chiamò in giudizio il Getty e la stessa True, con l’accusa di aver acquisito la statua pur essendo a conoscenza della sua “dubbia” provenienza.
Tre anni di dispute, e il Museo americano acconsentì alla restituzione di una quarantina di pezzi riconosciuti di proprietà italiana, inclusa l’Afrodite, che rimase però a Malibu per tutto il 2010.
Il valore dei beni culturali trafugati
Una prima riflessione interessante in merito ai beni culturali illecitamente esportati, e poi diventati protagonisti di episodi politico-mediatici, riguarda il loro valore. Valore economico – il primo a venire in mente – ma non solo. L’Afrodite in particolare (ma il ragionamento è condivisibile anche per l’Atleta) ha avuto una vera carriera, che l’ha portata da semplice reperto trafugato da uno scavo a emblema internazionale di opere d’arte che possono davvero essere rimpatriate nei loro luoghi d’origine.
In termini monetari, il suo valore si formò e crebbe non appena fu introdotta nel mercato antiquario. Raggiunse il picco di 28 miliardi di vecchie lire con l’acquisto del Getty. Da allora, però, sono altri i valori ad essersi accresciuti. Quello culturale, ad esempio, dato dagli studi in cui l’istituzione americana ha investito fin dall’acquisizione, che hanno arricchito le conoscenze attorno all’opera e alla sua storia, in gran parte perdutasi con la sottrazione clandestina. Ma soprattutto quello identitario, mediatico e politico, che l’Afrodite ha accumulato con l’inizio della dialettica processuale. Prima di allora, nessuno aveva mai sentito parlare molto della scultura: era nota agli studiosi e ai visitatori che l’avevano vista a Malibu. Poi, tutt’ad un tratto, ecco che si cominciò a parlarne ovunque: una carriera giunta all’apice della popolarità.
Popolarità che l’ha resa – e sta rendendo oggi l’Atleta – l’emblema di un Paese che afferma (e ottiene) il dovere di restituire i beni culturali illecitamente usciti dai propri confini. Un’affermazione fortissima, che fa tremare centinaia di opere al momento dislocate a migliaia di chilometri dal loro luogo d’origine. Un’affermazione che fa leva su un valore ancora non richiamato: quello del legame e dell’appartenenza di ciascun bene a un certo tempo e un certo spazio. Il locus di provenienza diviene la leva con cui rivendicare ciò che spetta. In opposizione, ancora un ultimo valore: quello di patrimonio dell’umanità della scultura, che, considerando un pubblico universale ipotetico, dovrebbe essere conservata laddove i più potrebbero fruirne, e laddove potrebbe meglio essere promossa e conservata. E qui si apre la riflessione sulla valorizzazione.
La valorizzazione dell’Afrodite e dell’Atleta Vittorioso
Il nostos dei beni culturali illecitamente esportati non si conclude (o per lo meno non si dovrebbe) con il ritorno a casa. L’Odissea dovrebbe continuare, prendendo la forma di iniziative di valorizzazione atte a mantenere viva l’opera restituita. Una critica al rimpatrio di certe entità considerate patrimonio dell’umanità è infatti di ridurre le possibilità di fruizione del pubblico universale a cui sarebbero destinate. I luoghi di origine di alcuni beni non sono esattamente agevolie predisposti all’accoglienza, quanto lo possono essere i grandi musei del calibro del Louvre o del British Museum… o della Villa del Getty a Malibu.
Se dunque si riprende il filo del viaggio dell’Afrodite, si arriva al Museo Archeologico di Aidone. È in questo paesino della Sicilia – sicuramente più arduo da raggiungere della Villa americana per il pubblico globale – che dimora la scultura dal 2011. Più di 50 mila visitatori ne acclamarono il ritorno nell’anno di celebrazione dell’Unità, a neppure 22 mila erano già ridotti nel 2014. E non certo perché l’opera avesse perso di valore estetico in così poco tempo. Piuttosto, sono gli altri aspetti ad essere messi a dura prova. Durante la permanenza al Getty, l’attività di ricerca, restauro e promozione culturale aveva contribuito ad accrescerne la conoscenza e il valore artistico. La battaglia legale aveva fatto il resto. Per mantenere quanto creato, però, occorre, come già accennato, una costante attività di valorizzazione. Una traccia di essa si può ritrovare nel calendario di eventi e nel progetto artistico organizzati dal Comune di Aidone nel 2021, in occasione del decennale dal ritorno. La speranza è che il programma si intensifichi, coinvolgendo tanto la comunità, quanto le istituzioni italiane e non. La nuova vita dell’Afrodite è tutta da scrivere.
E l’Atleta Vittorioso? Se davvero tornasse in Italia – il condizionale è per prudenza – si dovrebbe innanzitutto pensare al luogo in cui collocarlo. Il Ministro Sangiuliano ha parlato di Fano, ma c’è già chi si accenna a città e Musei dalla nomea più prestigiosa. E poi, anche qui, verrebbe il momento di svilupparne valorizzazione. L’alea è legata alle risorse… umane, imprenditoriali e finanziarie. Staremo a vedere cosa porterà questo secondo nostos.
Emma Sedini
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