Il marmo di Luni e l’Impero di Roma. La mostra da vedere a Genova
Dalle statue ai templi, il marmo dell’antica Luni ha permesso la creazione dei monumenti dell’Impero Romano che oggi ci affascinano: la mostra al Palazzo Reale di Genova è una grande occasione per scoprire la storia della “Pietra di Luna”
Prima che nell’Alto Medioevo i grandi edifici e le sculture pagane in marmo venissero trasformati in calce, o che i templi fossero smantellati per diventare chiese, l’Impero Romano aveva prima costruito e poi consegnato alla furia della storia una civiltà che proprio della metamorfica pietra si era infatuata, trasformandosi da civiltà di laterizi e bronzo in civiltà del marmo. È la storia del marmo di Luna quella che adesso una mostra a Genova racconta con dovizia di particolari, portandoci dai capolavori ritrovati a Luni fino ai monumentali edifici realizzati a Roma, passando per le scene di lavorazione nelle cave e per la vita dei naviganti sulle rotte del marmo. Curata da Matteo Cadario, Marcella Mancusi e Antonella Traverso, Pietra di Luna. Il marmo di Luni e l’Impero di Roma è organizzata da Musei Nazionali di Genova con il Museo nazionale e parco archeologico di Luni – uno dei più visitati della Liguria, oggetto di significativi finanziamenti – in collaborazione con il Museo Nazionale Romano.
Luna: una città di marmo
Nel 177 a.C. duemila coloni vennero inviati da Roma a fondare Luna per proteggere il suo porto dai Galli e dai Liguri indomiti, 40mila dei quali furono deportati nel Sannio. Luna era un porto del ricco sistema romano in un’epoca in cui i traffici per nave costavano trenta volte meno di quelli via terra. E da lì il marmo poteva facilmente raggiungere Ostia, il porto di una Roma che due secoli più tardi farà proprie le cave per rifarsi il look. La mostra racconta come la piccola città sia diventata una delle più splendenti avendo a disposizione le cave delle Alpi Apuane (quelle del marmo di Carrara), poco distanti. Ha inizio così la storia avvincente di una colonia che all’epoca, prima degli interramenti e delle sedimentazioni dei secoli a venire, si affacciava sul mare e sorgeva vicina a un’area lagunare ricca di approdi. La sua forma quadrangolare, formata da cardini e decumani, vedeva il suo centro nella grande piazza del foro, sulla quale si affacciavano le tabernae e gli edifici pubblici, in particolare il tempio capitolino e, più tardi, la basilica civile. Presto Luna diventò una città di marmo. Nel teatro progettato seguendo gli schemi di Vitruvio, le statue colossali si alternavano a quelle in miniatura, mentre il tempio di Luna ospitava alcune delle statue più belle oggi conservate in musei archeologici tra Roma e Carrara. La città contava anche una seconda piazza, più numerose ricche dimore e un anfiteatro.
Augusto il marmorizzatore
Per mano del suo primo imperatore, Ottaviano Augusto, Roma assume l’eredità marmorea delle pòleis greche, rivestendosi della “pietra splendente” (ciò significa in greco il termine “marmaron”) al fine di dichiarare una supremazia culturale, estetica ed economica. Augusto vuole mettersi al pari delle capitali elleniche come Alessandria, che proprio l’Impero è riuscito a conquistare. Tutto ciò non sarebbe stato fattibile senza il marmo di Luna, che il geografo Strabone considera decisivo anche per la trasformazione monumentale di molte città galliche, come Arles, e ispaniche, come Terragona e Cordoba. Grazie a un allestimento che utilizza grafiche comparative per meglio fruire le opere esposte in relazione al contesto e alla sede originaria, la mostra rende conto degli edifici sorti con il marmo di queste cave, quali e quanti siano. Oltre che nella città eterna, il marmo lunense compare infatti nei siti archeologici di tutta Italia: solo in Campania troviamo il tempio di Augusto a Pozzuoli, il tempio dei Dioscuri a Napoli, l’arco di Traiano a Benevento. Dopo oltre quattro secoli di “coltivazione” a mano dei marmi lunensi, e dopo gli ultimi utilizzi di Caracalla all’inizio del III Secolo, l’intenso sfruttamento delle cave tramonterà fino a scomparire, per poi tornare circa otto secoli dopo in epoca medievale e rinascimentale. Se le statue antiche realizzate in bronzo sono state tutte fuse – tranne quella di Marco Aurelio, perché scambiato per il primo imperatore cristiano Costantino –, il marmo, per quanto depredato e riutilizzato, è giunto fino a noi con monumenti feriti o resti di edifici. Metà del Colosseo è meglio di niente, del resto. E in questa storia di splendori e smarrimenti, il marmo della colonia di Luna ha dato un considerevole contributo.
L’intervista ai curatori della mostra
Come nasce questa mostra così particolare?
Marcella Mancusi: Luni è la realtà archeologica più importante per l’età classica in Liguria, ma pochissimi sanno che il suo marmo ha avuto una straordinaria importanza nell’Impero Romano. La mostra nasce dal desiderio di far conoscere questa realtà.
Matteo Cadario: Questa mostra è l’occasione per fare un primo bilancio e per presentare i reperti in marmo più antichi realizzati in età repubblicana. Studia anche il periodo esatto in cui le cave diventano di proprietà imperiale, bloccando le capacità produttive locali.
Dopo cosa accade?
MC: Luni resta concorrenziale sui materiali architettonici. Se l’imperatore vuole farsi fare la colonna Traiana viene a Luni, ma per i ritratti di Traiano non si usa quasi più il marmo lunense ma quello che proviene dalla Turchia.
Quanto è importante l’economia del marmo in quel mondo?
MC: Abbiamo pochissime informazioni sul costo della vita, ma in un mondo in cui le classi dirigenti costruiscono edifici per dimostrare il proprio “evergetismo” l’investimento è significativo, anche da parte degli imperatori. Nella città romana gli edifici pubblici e di culto sono in marmo nella loro parte esterna, per le parti interne si usano il cementizio o i laterizi, che costano meno perché prodotti in serie dagli schiavi.
Si tratta soltanto di un valore economico?
MM: Il marmo ha un valore anche ideologico, è uno strumento di potere utile per la propaganda politica.
L’ampia diffusione dei ritratti imperiali dà la misura di un valore che non è quantificabile soltanto in termini di costi in una società in cui la comunicazione si basa sulle immagini.
Qual è il legame tra il marmo e Roma?
MC: La Repubblica non aveva questo marmo, ma in età augustea si valorizza la prossimità di Luni e ciò cambia le regole del gioco. Si può fare una lista significativa di edifici: la Basilica Emilia, il Tempio del Divo Giulio, il Tempio dei Dioscuri ed il Tempio della Concordia sono tutti rifatti in marmo di Luni in età augustea. Poi ci sono l’Ara Pacis, il Tempio di Apollo Palatino e il Foro di Augusto. Si tratta di un numero significativo; quando Augusto dice: “Ho trovato una Roma di laterizi e l’ho fatta di marmo”, non è solo una vanteria ma un dato reale.
Quali sono gli oggetti più importanti in mostra?
MM: La mostra è divisa in sezioni. La prima è dedicata al riconoscimento dei marmi bianchi. Poi c’è la sezione sulla produzione, che prevedeva varie tappe e coinvolgeva numerose figure di lavoratori. Qui è esposto un rilievo con una rara raffigurazione di lapicidi all’opera. Nella sezione dedicata alla colonia di Luna punterei invece l’attenzione sulla statua di un comandante trovata nel tempio della dea eponima e protettrice della città. È un capolavoro, e poteva ritrarre Augusto.
Poi c’è il trono degli Alessandri.
MC: È un pezzo raro, di qualità eccezionale e stranissimo, anche per la presenza di figure di guerrieri. Probabilmente non è di età severiana, come si pensava, ma molto più antico. Difficile capire dove potesse essere ubicato e per quale funzione. I valori che presenta sono quelli del ginnasio, quindi ellenistici e non stricto sensu romani.
Nella sezione dedicata a Roma c’è una novità.
MC: È il ritratto di Augusto da Isernia. Siamo i secondi, dopo Roma, a presentarlo; è fatto in marmo lunense ed è stato scoperto due anni fa. Con il capitello coi Pegasi del foro di Augusto dà bene l’idea dell’alta qualità formale che in età augustea il marmo poteva raggiungere attraverso la lavorazione di botteghe altissimo livello che lavoravano nella capitale.
Una Roma che guardava comunque alla Grecia.
MC: Sì. Dopotutto nel foro di Augusto c’erano le copie delle Cariatidi dell’Eretteo: Roma è il luogo dove gli scultori ateniesi si trasferiscono.
Nicola Davide Angerame
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