Santa Rosalia nell’arte. Dalle Fiandre a Palermo, il romanzo storico di  un’iconografia 

Tra capolavori, opere di pregio e oggetti di devozione popolare, una mostra valorizza beni recuperati dai depositi del Museo Abatellis, accanto ad altri assai noti. È una delle iniziative con cui Palermo saluta i 400 anni del culto di Santa Rosalia

Tragedia umana, devozione religiosa, arte e racconto popolare s’intrecciano nell’indimenticata vicenda palermitana registrata a partire dalla primavera del 1624, quando un’epidemia di peste metteva in ginocchio la città. Fu nel corso dell’estate che destò scalpore ritrovamento delle (presunte) spoglie della contessa Rosalia Sinibaldi, vissuta tra il 1130 e il 1170, folgorata giovanissima dalla fede, sottrattasi al promesso sposo e rifugiatasi in convento, per poi vivere da eremita in una grotta, a Santo Stefano di Quisquina, nell’agrigentino. Dopo mesi di dibattiti e verifiche, al riconoscimento ufficiale delle reliquie da parte della Chiesa, seguì nel 1625 la fine della devastante pestilenza. Così la fanciulla, tra guarigioni miracolose e apparizioni, si era guadagnata il titolo di Santa Patrona di Palermo, rimpiazzando le beate compatrone Ninfa, Oliva, Agata e Caterina. Una storia che oggi compie quattro secoli, segnati da ininterrotte memorie di celebrazioni, culti, leggende, rappresentazioni sacre, documentazioni e pellegrinaggi verso il santuario di Monte Pellegrino, dove riposano le venerate reliquie, lì rinvenute il 15 luglio di quell’anno funesto. 

Palermo, Oratorio dei Bianchi
Palermo, Oratorio dei Bianchi


Diva Rosalia, opere da Palazzo Abatellis 

Sono molti gli eventi e le iniziative (su tutte la pubblicazione del libro d’artista di Davide Camarrone e Francesco De Grandi “Vita di Rosalia” – Silvana Editoriale, 2024) fiorite intorno al quattrocentesimo Festino della Santuzza, che ogni anno, nella notte tra il 14 e il 15 luglio, riversa migliaia di palermitani lungo il Cassaro, l’asse più antico ed esteso del centro storico. Protagonista è il mitico “carro”, macchina scenica annualmente forgiata e reinventata, il cui transito convive con una scaletta di esibizioni musicali, teatrali, acrobatiche: un mix di sacro e profano, condito di street food, luminarie, souvenir, infine suggellato dai giochi pirotecnici che a mezzanotte ricamano i cieli di Palermo in direzione del mare, là dove la statua della Santa arresta il suo lento passaggio, al di là dell’antica Porta Felice.  
Tra le mostre organizzate per questo quarto centenario c’è anche Diva Rosalia. La Santa Patrona di Palermo nelle collezioni di Palazzo Abatellis, che della Galleria Regionale – ex Museo nazionale, scrigno di importanti collezioni d’arte medievale e moderna, incorniciati dagli allestimenti di Carlo Scarpa – espone una selezione di circa cento opere connesse alla figura della Santa e alla storia del suo rapporto, fortissimo, con Palermo. Un progetto di valorizzazione che riguarda soprattutto i depositi, da cui proviene gran parte del materiale.  
La sede è quella dell’Oratorio dei Bianchi, trionfo di stucchi serpottiani, gestito dallo stesso Palazzo Abatellis. La grande aula del primo piano accoglie le opere suddivise in cinque sezioni, mentre all’ingresso, in cima alla scalinata in marmo, introduce il percorso un settecentesco busto in terracotta dorata, di autore anonimo ma certamente d’ambito palermitano, dimenticato tra i depositi: grazie al recente restauro, sotto gli strati di patina nera è emerso l’elegante basamento in gesso con decori aurei, mentre il fine modellato immortala il volto di Rosalia in un momento di estasi, con lo sguardo rivolto verso il cielo. 

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Antoon van Dyck, Santa Rosalia incoronata da angioletti, 1624-25 ca., olio su tela. Collezione Galleria regionale Palazzo Abatellis, Palermo

Antefatto. Santa Rosalia e van Dyck  

Era l’aprile del 1624 quando al giovane ed eccellente pittore Antoon van Dyck (Anversa, 1599-Londra, 1691), ex allievo di Rubens, stabilitosi a Genova tre anni addietro nel pieno di una galoppante carriera internazionale, giungeva un prestigioso invito: il viceré di Sicilia Emanuele Filiberto di Savoia bramava un suo ritratto. Palermo lo attendeva, con tutti gli onori del caso. Il ragazzo, conteso dalle migliori aristocrazie d’Italia, accettò, aggiungendo una nuova tappa al suo fortunato viaggio di formazione, dopo aver toccato città come Firenze, Roma, Venezia, Modena. La grande tela, oggi conservata alla Dulwich Picture Gallery di Londra, immortalò l’ultima immagine del Principe, scomparso da lì a poco a soli 36 anni, tra le vittime della galoppante epidemia di peste: il 7 maggio un galeone era entrato nel porto di Palermo, portando con sé alcuni “untori” non segnalati alle autorità. Il virus si diffuse rapido, seminando per mesi morte e terrore. Van Dyck, che nel frattempo aveva ottenuto importanti commissioni, scampò al morbo e rimase in città fino al settembre dell’anno successivo, lavorando alacremente. Tornato a Genova terminò uno dei suoi capolavori palermitani, la trionfale pala con la Madonna del Rosario e santi (1625-27), destinata (e poi inviata) all’Oratorio del SS. Rosario in S. Domenico, dov’è tutt’ora collocata. Tra le presenze femminili ritratte anche quella della bionda Rosalia, inserita, in tutta la sua virginale bellezza, nel coro delle già note sante di Sicilia. 
Ed è proprio alla figura della “Santuzza” che van Dyck legò in buona parte la storia del suo soggiorno a Palermo, facendosi autorevole interprete di un’urgenza iconologica e liturgica: la Chiesa, in un momento di profonda crisi sociale, nel cuore della Controriforma e con il flagello della peste in atto, puntava a un nuovo culto da offrire ai fedeli, costruendo rinnovate occasioni di devozione, simboli di comunità, fede e speranza a cui affidare il peso del presente, il timore dell’eresia, l’accettazione della pena, il senso del futuro. 

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Ambito siciliano, seconda metà XVII sec., Madonna col Bambino che benedice Santa Rosalia, marmo alabastrino. Collezione Galleria regionale Palazzo Abatellis, Palermo

L’immagine di Santa Rosalia all’Oratorio dei Bianchi 

Van Dyck dipinse diverse versioni di Rosalia, nuova stella del firmamento agiografico, celebrata da un perfetto sistema di comunicazione. Tele custodite oggi da musei come Il Prado, il Metropolitan, il Kunsthistorisches di Vienna e il Ponce di Puerto Rico, mentre a Palazzo Abatellis è esposta Santa Rosalia incoronata dagli angeli (1624), oggi in mostra all’Oratorio dei Bianchi. Un capolavoro dai toni bruni e dalla composizione essenziale: il corpo della santa, avvolto in un semplice saio marrone, è tutt’uno con il rifugio roccioso retrostante, una massa pittorica segnata da morbide lumeggiature e vellutati chiaroscuri, con lo squarcio azzurrino del paesaggio in lontananza, tra velature di nuvole; il volto della giovane è un punto di luce assoluta, incorniciato dalle lunghe chiome biondo rame e restituito con dolcezza di tratto e intensità espressiva magistrali. 
Una serie di tele di autori siciliani, copie e rifacimenti dal van Dyck, prova qui il ruolo che il fiammingo ebbe nella genesi e nella definizione dell’iconografia della nuova santa siciliana, entrata subito nell’immaginario collettivo: sono opere coeve, per lo più anonime, ma anche deliziose prove ottocentesche, come quelle firmate da Annetta Turrisi Colonna
Ancora in dialogo con la celebre tela del pittore belga è una pregevole sculturina anonima in marmo alabastrino, raffigurazione della Madonna col Bambino che benedice Santa Rosalia, anch’essa proveniente dai depositi: l’opera secentesca di ambito siciliano è importante per il riferimento a una rara produzione di disegni che van Dyck realizzò dietro commissione e che oggi si trova al British Museum. Attribuiti all’artista solo nel 1923, vennero in un secondo tempo collegati alla santa palermitana, grazie al ritrovamento di una pubblicazione a stampa dal titolo “Vita S. Rosaliae Virginis Panormitanae Pestis patronae iconibus expressa”, edita ad Anversa nel 1629 dal mitico incisore Cornelis Gallae e illustrata da 8 incisioni a bulino di Philippe de Mallery, espressamente realizzate su disegni di van Dyck. La piccola scultura dell’Abatellis riproduce fedelmente una di queste carte, ancora una volta testimoniando la straordinaria fioritura dell’iconografia rosaliana, a cui il geniale artista fiammingo diede luce, sostanza e vigore. 

Grande arte sacra, tra dipinti e disegni 

Capolavoro di questa iniziale e più ampia sezione è anche la Madonna delle Grazie con i santi Rosalia e Giovanni Battista (1633-1637 ca.), direttamente dal percorso espositivo dell’Abatellis, espressione della maturità artistica di Pietro Novelli, che pare avesse lavorato presso lo studio palermitano di van Dyck. Una prova di prezioso cromatismo che mette in vibrazione le figure affusolate, fluide eppure austere, organizzate secondo una plasticità teatrale. 
È invece esposta per la prima volta nella sua veste restaurata la poderosa tavola di Riccardo Quartararo Madonna con Bambino e Santa Rosalia, dalla cappella di S. Rosalia in S. Ignazio all’Olivella: il restauro ha rivelato, con diversi studi a supporto, che Caterina d’Alessandria, poi sostituita con Rosalia nel frangente del miracoloso ritrovamento, durante la peste di Palermo. Un esempio di revisione iconografica, tra osservanza religiosa e servigio alla committenza, nel quadro dell’articolato progetto di propaganda clericale. 
Uno spazio di rilievo hanno infine i molti gioielli del Gabinetto di Disegni e Stampe del Museo, solitamente a disposizione degli studiosi, ma non fruiti dal pubblico. Una meravigliosa collezione di acquerelli, inchiostri, matite, intitolati all’immagine della Santa, tra cui spiccano esemplari di Novelli, Pietro D’Asaro, Agatino Sozzi

Dal culto di Santa Rosalia alla devozione popolare 

Delle cinque sezioni che scandiscono la mostra – messe a punto dal comitato scientifico presieduto da Vincenzo Abbate  e composto da  Maddalena De Luca, direttrice di Abatellis, Valeria Sola,  Gaetano Bongiovanni e Maria Reginella – quella intitolata agli oggetti e le pratiche del culto svela altre opere su carta, selezionate tra i tesori non esposti del Museo: dallo Studio per un altare di Santa Rosalia di Pietro Novelli, trionfo di dettagli resi con enfasi compositiva, decorativa, scultorea, ai due studi per un’urna di Mariano Smiriglio, restituiti con profondi chiaroscuri nel fitto tratto a penna e inchiostro, fino al disegno dinamico e svettante di Antonino Grano per il reliquiario ideato da Giacomo Amato, con la soluzione squisitamente barocca del putto che regge una corona di rose, fiore simbolo di Rosalia. 
Ci si sposta fino all’Ottocento con la sezione dedicata al santuario del Monte Pellegrino, rappresentato soprattutto da incisioni, alcune delle quali realizzate durante i Grand Tour di vedutisti stranieri giunti in Sicilia e pubblicate all’interno di opere editoriali illustrate, mentre l’ultima parte, che accenna alle manifestazioni della devozione popolare, include ceramiche policrome del Seicento, preziosi ex voto, un capezzale in corallo trapanese e una serie di piccole acqueforti, litografie e stampe tipografiche diffuse tra i fedeli come immaginette miracolose, con tanto di iscrizioni sacre e invocazioni alla Santa Patrona protettrice dei palermitani.  


Giulio Bonomo (Palermo, 1859 - 1910), Progetto per il carro di Santa Rosalia del 1897, olio su tela. Collezioni Galleria regionale Palazzo Abatellis, Palermo
Giulio Bonomo (Palermo, 1859 – 1910), Progetto per il carro di Santa Rosalia del 1897, olio su tela. Collezioni Galleria regionale Palazzo Abatellis, Palermo

Il carro del Festino a Palermo 

Notevole la sezione che espone un nucleo di disegni, incisioni e acquarelli raffiguranti carri trionfali, macchine pirotecniche e immagini tradizionali del “festino” di Santa Rosalia. Sono lavori acquistati a fine Ottocento dal grande archeologo Antonino Salinas (allora al direttore del Museo nazionale), attraverso cui leggere le evoluzioni del gusto e dello stile, tra soluzioni architettoniche e ornamentali. Anni in cui l’esecuzione di questi imponenti oggetti scenici veniva affidata a progettisti di rilievo, dietro scrupolose selezioni. Cosa che da tempo non avviene più, a discapito della qualità (ancora si ricorda, come bella eccezione, il carro ideato da Jannis Kounellis nel 2007, un’essenziale barca in legno, a evocare quelle dei tonnaroti, con la bianca vela tempestata di cristalli Swarovski e una minuta Rosalia sospesa sull’albero maestro, ispirata alle rappresentazioni secentesche). 
Sono spesso, i carri odierni, elaborati di mediocre fattura, al massimo gradevoli e in certi casi piuttosto grossolani. La versione approvata per l’evento celebrativo del 2024, eseguita dall’artista Giacomo Rizzo, non ha brillato: più un oggetto simil baroccheggiante in “stile Casamonica”, che non una raffinata citazione plastica, con la gingantessa Rosalia a incombere sulla folla, alta, rigida, poco aggraziata.   
Il più intrigante, tra i carri d’epoca documentati all’Oratorio dei Bianchi, è forse quello di Giulio Bonomo, illustrato da un enorme olio su tela. Un progetto per il festino del 1897, che tale rimase: l’opera, seppur di straordinario fascino, non venne mai realizzata per la sua portata utopica. Trentasette metri di altezza, per un vero e proprio tributo architettonico, un articolato mausoleo mobile, summa di devozione, immaginazione, grandeur e virtuosismo. Nella sua fallimentare bellezza si palesa tutta l’opulenza scenografica, la costruzione estetica ed il fervore spirituale coltivati intorno al mito della giovane eremita, incarnazione di una Palermo irrimediabilmente esposta a un destino di tragedia e di luce, nel più pittorico dei chiaroscuri e nella più letteraria delle contraddizioni. 

Helga Marsala   

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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