Accadeva 500 anni fa: Parmigianino, Lotto, Dürer e le corti italiane
Il 1524 fu un anno rilevante dal punto di vista politico e religioso, ma anche storico-artistico. In quello che più che un articolo è un racconto, lo storico dell’arte Antonio Rocca ci conduce per mano negli eventi di mezzo millennio fa
L’estate del 1524 stava finendo e Giovanna Piacenza, badessa del convento benedettino di Parma, avrà pensato con qualche nostalgia alle sere trascorse nell’appartamento affrescato da Correggio. Non avrebbe mai più visto acceso quel magnifico camino, decorato con la dea Diana posta sopra l’iscrizione: IGNEM NE GLADIO FODIAS (non stuzzicare il fuoco con la spada). Le era sempre piaciuto quel motto ambivalente, era un monito sì, ma era anche un invito a cercare la luce divina senza arroganza: la caccia della sapienza va condotta con umiltà.
Il 1524 di Parmigianino e Lorenzo Lotto
Nel vicino castello di Fontanellato, Parmigianino aveva appena completato la storia di Diana e Atteone. La badessa avrebbe voluto vedere come l’assistente di Correggio aveva interpretato quel mito così complesso. Lei stessa non sapeva se gli antichi in quella favola avessero celato un avviso per il cacciatore tracotante o se, al contrario, avessero voluto suggerire che la visione di Diana era l’esito della ricerca: la liberazione dal corpo era il premio conseguente. Giovanna non poteva saperlo, come non poteva sapere che Lorenzo Lotto, in quello stesso 1524, aveva firmato l’oratorio Suardi, ritraendosi in veste di cacciatore. Il pittore s’era collocato al di sotto del profeta Ezechiele e di una sibilla che si sostiene il capo, il gesto classico del tipo melancolico.
Il contesto storico e politico
Pur distanti, i piccoli ambienti di Trescore, Parma e Fontanellato erano connessi dal magistero del cardinale Egidio da Viterbo. Il porporato era infatti amico dei Suardi e di Alessandro Farnese, vescovo di Parma. Egidio aveva fatto carriera negli agostiniani, era stato il generale dell’ordine quando il confratello Martino aveva avviato la Riforma (1517). Leone X aveva dapprima ignorato la provocazione, poi aveva esitato e infine era intervenuto con la bolla di scomunica. Nell’Exsurge Domine (1520) il papa aveva ordinato di colpire le volpi che devastano la vigna del signore. Nel 1521 il pontefice Medici era morto e l’elezione di Adriano VI, vecchio precettore di Carlo V d’Asburgo, aveva fatto sperare in una pacifica soluzione della controversia. L’austero fiammingo era scomparso troppo presto per dare corso alle riforme previste e dal nuovo conclave era uscito vincitore Clemente VII, cugino di Leone X.
Religione e politica nel ciclo di Trescore di Lorenzo Lotto
Il lavoro di Trescore era allora quasi concluso e ruotava attorno alla parabola del Cristo-vite (Giovanni 15, 1-15), fonte di salvezza. Come ha chiarito Adriano Prosperi è questo il motivo di Trescore e non il Cristo-vigna (Matteo 20, 1-6), immagine della Chiesa utilizzata nell’Exsurge Domine. L’oratorio Suardi non è quindi un precoce avamposto antiprotestante e il pittore non va a caccia di luterani. L’obiettivo di Trescore è la minaccia turca, nell’oratorio segnalata con anacronistici abiti ottomani e con mezzelune islamiche disseminate tra i soldati Romani. Al tempo in molti ritenevano che Lutero avesse solo radicalizzato istanze legittime, richieste a gran voce dal suo superiore. Egidio aveva portato avanti la sua battaglia riformatrice, mentre si faceva teorico della sacra venatio, la caccia come metafora della ricerca di Dio.
Il 1524, tra Giulia Farnese e Albrecht Dürer
Il 1524 fu anno di capolavori e di lutti: nel minuto feudo di Carbognano moriva Giulia Farnese. Con Giovanna aveva condiviso un destino di reclusione, entrambe costrette in una gabbia dorata. Giulia era colpevole di aver fondato le fortune dei Farnese sulla scandalosa relazione con il papa Borgia. Nessuno voleva ricordare che, proprio grazie a quella tresca, il fratello Alessandro aveva ottenuto porpora e vescovado di Parma. È lecito supporre che quest’ultima carica abbia facilitato la diffusione del tema egidiano della caccia sacra nella Camera della Badessa e a Fontanellato. Vero è che il legame tra caccia e illuminazione era già presente in Melencolia I (1514) di Dürer. Il levriero giace a terra, con gli altri strumenti necessari all’esecuzione del progetto, e l’emblematico pipistrello è cacciatore notturno. Prima ancora erano stati gli Zavattari a legare caccia e malinconia. Nella cappella monzese Teodolinda prega per un’illuminazione, ma l’epifania divina si palesa alle sue spalle. Si costruiva così un triangolo tra una scena di caccia, la rivelazione del sacro e la malinconica regina, con la mano sulla guancia.
Follia e melancolia
Era una via saturnina verso la luce, splendente oltre la caligine che protegge l’umanità da una visione insostenibile. IGNEM NE GLADIO FODIAS, ci si approssima al sacro fuoco disarmati e rasentando la pazzia. Di quella follia Erasmo aveva vergato un celeberrimo elogio, integrato da Dürer con un’apologia dello spirito melanconico. Era una rivoluzione che rivalutava umore nero e predatori notturni. Michelangelo, il melanconico della Scuola d’Atene, inserì pipistrelli nel pensoso Lorenzo de’ Medici e nella saliera per il duca di Urbino. Anche Buonarroti conosceva Egidio, nella Sistina l’aveva ritratto idealmente nei panni di Ezechiele, il profeta di Trescore. Giovanna non lo sapeva, ma si trovava esattamente al centro di un cerchio. Piace pensare che in ultimo sorrise, come l’angelo di Dürer.
Antonio Rocca
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