Lorenzo Bartolini. Storia del più grande scultore italiano dell’Ottocento dopo Canova
Dopo Canova, è senza dubbio il maggiore scultore del 1800. La sua (ingiusta) scarsa fama in Italia si deve ai suoi legami con Napoleone e i Francesi. E al fatto che stava antipatico ai fiorentini. Ecco tutta la storia, a partire dai suoi capolavori oggi visibili a Milano
Tra i grandi dimenticati dell’arte italiana dell’Ottocento, c’è lo scultore che, nei fatti, fu il maggiore esponente della scena italiana dopo la morte di Canova. Lorenzo Bartolini. Una figura che sorprende per la sua diversità – quasi intenzionale – dallo stile neoclassico prevalente dell’epoca. Una diversità che fu accolta con calore in Francia, alla corte di Napoleone. Non si può dire lo stesso dell’Italia. Qui da noi, i riconoscimenti tardarono ad arrivare e furono sempre dovuti a qualche legame con i Bonaparte. Dal canto suo, però, lo stesso Bartolini fu un personaggio per certi aspetti sopra le righe e incurante delle “buone pratiche” che gli ambienti accademici si impegnavano a portare avanti. Questo per anticipare che la sua storia non manca di aneddoti curiosi. L’occasione per riscoprirla arriva proprio in questo autunno 2024, con la mostra che la Fondazione Luigi Rovati gli ha dedicato. Occasione che si somma alla possibilità “permanente” di ammirare in città, al Museo Poldi Pezzoli, il suo più grande capolavoro.
Per punti
La storia del grande scultore dimenticato Lorenzo Bartolini
In una prospettiva storica, Lorenzo Bartolini si colloca come il maggior esponente del Purismo italiano – corrente nata nell’Ottocento come alternativa al prevalente stile neoclassico – nonché il più grande scultore del tempo dopo Canova.
La carriera di Lorenzo Bartolini. Un inizio difficile
La storia di Lorenzo Bartolini (Savignano, 1777 – Firenze, 1850) comincia a Savignano, un paesino vicino a Prato. La famiglia è di modestissime origini: il padre è fabbro, la madre figlia di un fattore locale. A scuola è uno scolaro svogliato, a casa le ristrettezze economiche si fanno sentire. Dimostrando una certa inclinazione verso le attività artistiche e manuali, comincia a fare da apprendista presso qualche bottega del vicinato, per poi tentare il salto passando agli studi all’Accademia di Belle Arti fiorentina. Tentativo di breve durata; il suo carattere ribelle e poco ligio alle regole accademiche lo spinge ad abbandonare l’ambiente ufficiale.
Tornato a Prato, conosce per caso lo scultore trentino Giovanni Insom, che diventa suo maestro. La formazione di Bartolini si conclude a Volterra, a servizio di un alabastraro: è lui a trasferirgli l’interesse per la statuaria classica.
Il viaggio a Parigi e l’amicizia con Ingrès
Stanco dei ristretti ambiti formativi in cui si sente chiuso in Italia, parte alla volta della Francia, arruolandosi al seguito dell’esercito francese capitanato dal generale Macdonald. Dopo la battaglia sul Trebbia del 1799, giunge a Parigi, trovando accoglienza nello studio del grande pittore Jacques-Louis David. È lì che conosce Ingrès – anche lui destinato a diventare un esponente dell’arte neoclassica francese – con cui stringe una forte amicizia. I due diventano collaboratori affiatati e inseparabili, tanto da decidere di aprire uno studio in autonomia. A dividerli sarà soltanto la carriera: la vittoria di Ingrès del Prix de Rome nel 1806 lo porterà in Italia, a studiare i grandi maestri della Capitale.
Anche Bartolini, nel frattempo, inizia a ottenere i primi riconoscimenti, con il secondo posto dell’edizione del 1802 del medesimo Premio. Seguono dunque le commissioni, via via di crescente prestigio, tra cui spicca il gigantesco busto di Napoleone per il Louvre, o il bassorilievo raffigurante la Battaglia di Austerlitz. Lavori, questi, che gli valgono il favore degli ambienti bonapartisti.
Il ritorno in Italia tra favori e antipatie
Proprio grazie ai legami con Napoleone, al suo ritorno in Italia nel 1808 Bartolini viene nominato direttore della Scuola di Scultura dell’Accademia di Carrara. Ma l’accoglienza dell’ambiente non è delle migliori… anzi: le sue simpatie per i Francesi gli valgono l’astio degli artisti locali, che lo accusano, appunto, di essersi “francesizzato”. Astio che gli impedirà per molti anni di ottenere la cattedra di insegnamento alla prestigiosa Accademia delle Belle arti fiorentina, assegnata ad altri meno dotati di lui, ma meglio inseriti nel contesto cittadino.
Le ostilità continuano e anzi si intensificano con la sconfitta di Napoleone a Lipsia e il conseguente esilio all’Elba. Venuto a mancare il suo sostegno, Bartolini è costretto a fuggire da Carrara, ripiegando a Firenze, dove però scarseggiano i committenti locali disposti a relazionarsi con lui. Il suo stile scultoreo purista – più naturalistico e meno idealizzato del Neoclassicismo tanto in voga – non facilita le cose.
Così, in mancanza di clienti locali, comincia a servire i tanti turisti stranieri che giungono in città durante i loro grand tour lungo la Penisola. Russi, spagnoli, inglesi: tutti ottimi acquirenti che apprezzano le sue opere e le fanno conoscere in Europa, nei loro ambienti altolocati. Un ottimo canale che consente all’artista di farsi strada all’estero. Sono questi gli anni dei suoi maggiori capolavori, tra cui spicca la Fiducia in Dio.
La rivalsa accademica degli ultimi anni
Finalmente, giunto ormai all’età di 62 anni, Bartolini ottiene la cattedra tanto desiderata: diventa professore di scultura a Firenze. L’insegnamento lo appassiona, e gli permette di utilizzare le ore di lezione come mezzo per veicolare le sue idee artistiche. Idee divergenti dal filone neoclassico di Canova, in quanto molto più propense a rappresentare la natura per quello che è.
L’esperienza accademica diventa anche teatro di iniziative stravaganti, come la scelta di invitare in classe un gobbo da far copiare agli studenti. Le critiche per un simile atto inaudito si immaginano facilmente.
E così, si arriva alla fine, con la morte avvenuta nel 1850 a causa di una febbre. Tutto il contenuto del suo studio verrà poi acquistato dal neo-nato Stato italiano nel 1884.
Il Purismo di Luigi Bartolini
Pur avendo seguito una formazione tipicamente neoclassica, lo scultore inizia a distanziarsene già in gioventù, sviluppando un’alternativa che sfocerà poi nel Purismo vero e proprio. Questo si affermerà in Italia solo dopo il 1820, con l’affievolirsi del dominio di Canova (che muore nel 1828).
Cosa si intende dunque con questo nome? Si dice che Bartolini fosse “devoto del naturale”: attributo che suggerisce la sua volontà dissociarsi dalla lezione canonica che imponeva agli artisti di guardare e riprodurre il “bello ideale”. Secondo quest’ultimo, gli scultori partivano dai modelli in carne e ossa, modificandone gli aspetti plebei – le mani e i piedi consunti dal lavoro – che venivano sostituiti con parti del corpo ideali. Ossia copiate dai tanti esempi della statuaria classica che si studiavano in accademia. Così facendo, rimaneva solo la perfezione.
Bartolini rivoluziona questa pratica, guardando e riproducendo la natura che ha davanti agli occhi per quella che è. Persino se si tratta di un gobbo, o una serva di casa. Con lui, il bello diviene relativo.
I ritratti delle dame del tempo
Tra i capolavori dell’artista troviamo i busti delle dame – mogli dei ricchi stranieri in visita per il grand tour – che si fanno ritrarre come souvenir del viaggio in Italia. Commissioni, queste, dal ritmo che si intensifica, visto il grande successo e apprezzamento. Si tratta di sculture che documentano la moda del tempo – cosa che un Canova non avrebbe mai fatto – nel loro riprodurre fedelmente le acconciature delle donne. Bellissime le trecce arrotolate in cima alle nuche, talvolta impreziosite da pettini con tanto di stemmi di famiglia, o i riccioli sbarazzini che circondano le fronti. Così facendo, il Purismo diventa anche cronaca ottocentesca.
I capolavori di Lorenzo Bartolini
La Fiducia in Dio
L’opera che in assoluto ha lasciato il segno più profondo nella storia è la Fiducia in Dio. Una scultura in marmo bianco del 1833, conservata proprio a Milano, al Museo Poldi Pezzoli.
Viene commissionata dalla Marchesa Rosina Trivulzio – la medesima raffigurata in un busto esposto sempre lì – per commemorare la morte del marito. È l’immagine del suo dolore per la perdita, e della devozione che da sempre nutriva nei suoi confronti.
Iconica e curiosa è la scelta del soggetto per rappresentare un simile sentimento di lutto. Vista la destinazione domestica del lavoro, un canonico monumento funebre, magari uno scheletro, sarebbe stato ben poco decoroso. Poi, improvvisamente, a Bartolini viene l’idea perfetta. Chiama la giovane serva di casa, e la fa mettere in posa, accovacciata, con le mani giunte in preghiera tra le cosce, e lo sguardo rivolto al cielo. La ritrae rispettando ogni dettaglio naturale, idealizzando solo il volto: quello dovrà esprimere il puro sentimento della Marchesa, rimanendo separato dalla modella.
La Carità educatrice
Il secondo capolavoro che vale la pena citare è la Carità educatrice. Un gruppo scultoreo allegorico dalla valenza politica – allude alla politica paternalistica messa in atto dagli Asburgo Lorena verso i sudditi – commissionata dal Granduca nel 1820. La gestazione è lunghissima e si conclude solo nel 1835, quando l’opera viene portata ed esposta a Palazzo Pitti.
Come dice il nome, è un inno all’educazione della prole, unita alla virtù della carità e al ruolo di nutrice. È la donna si fa madre e si dona per il bene dei figli. Il successo del motivo scultoreo è enorme, tanto che Bartolini ne realizza varie copie, di diverse dimensioni, destinate a contesti domestici. È un esempio quello esposto in mostra alla Fondazione Rovati per tutto l’autunno 2024, in occasione del progetto dedicato alla riscoperta del suo autore.
Emma Sedini
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