Quali segreti e relazioni di potere si nascondono dietro le opere di Michelangelo? A Firenze una mostra sui retroscena
A Palazzo Vecchio, un percorso con oltre cinquanta capolavori di Michelangelo e dei maestri a lui vicini illustra la sua visione politica e il rapporto dell’artista con i “potenti” del tempo. Dai
Solitamente, ci si ferma ad ammirare le creazioni di Michelangelo Buonarroti per la loro inarrivabile bellezza. Tuttavia, nei confronti del suo genio è possibile adottare anche altri approcci, come chiedendosi quale tipo di rapporto avesse con il potere e i suoi esponenti. È questa la domanda a cui hanno cercato di rispondere Cristina Acidini e Sergio Risaliti, i due curatori della mostra Michelangelo e il potere, allestita negli spazi di Palazzo Vecchio a Firenze tra la Sala delle Udienze e la Sala dei Gigli. Un percorso inedito, con oltre cinquanta opere – sculture, dipinti, disegni, lettere autografe e calchi in gesso – selezionate per interpretare la natura dei contatti che il grande artista ebbe con i potenti dell’epoca. Contatti a volte problematici, altre volte conflittuali, altre volte ancora sinergici, che lasciano trasparire la sua concezione politica e fermezza nel considerarsi alla pari con i “dominatori”: regnanti, certo, ma anche gli stessi papi.
Michelangelo nelle parole del curatore Sergio Risaliti
“Il nome Michelangelo mette i brividi”, ha dichiarato Sergio Risaliti, “obbliga a commisurarsi con l’incommensurabile grandezza dell’uomo e dell’artista. A suo modo, seppe tener testa ai suoi committenti, affidandosi non solo al suo orgoglio di cittadino fiorentino e di artista, ma alla monolitica convinzione della suprema superiorità dell’arte”.
Il Bruto di Michelangelo a Palazzo Vecchio a Firenze
Se presentate nel contesto adeguato, anche le creazioni michelangiolesche più note possono sprigionare significati inediti, in genere non facilmente percepibili. È la stessa sede di Palazzo Vecchio che sollecita, in quest’ottica, a ripensare la vita e le opere di Michelangelo, a partire dal Bruto, concesso in prestito dal Museo Nazionale del Bargello, vero focus della mostra. Precisando che – prima ancora d’essere un’opera d’arte – è una ammissione di schieramento politico. L’impostazione del busto idealizzato rivela l’influenza dell’antico. Ma è solo un modo per mascherare il suo significato, per non indispettire i suoi protettori.
Il Bruto si inserisce infatti in un contesto storico in cui Firenze era sotto il controllo assoluto dei Medici, dopo l’assedio del 1530. Michelangelo, mediante quest’opera, si espresse chiaramente a favore della libertà repubblicana. In un periodo burrascoso per i conflitti religiosi – Riforma luterana, Concilio di Trento e Controriforma – e per le guerre che imperversano in Europa, egli preservò in ogni modo la sua libertà di coscienza, reclamando il potere dell’arte e dell’artista.
Il retroscena del Bruto di Michelangelo
La scultura di Michelangelo è più vigorosa, se paragonata ai modelli del passato. Si guardi al suo collo robusto, ai lineamenti in espansione, alla convinta e accentuata tensione psicologica, che ricorda il David delle Gallerie dell’Accademia.
Secondo le fonti, lo spunto per il busto sarebbe giunto da Donato Giannotti, personalità importante di quel partito di esuli fiorentini rimasti fedeli alla Repubblica e nemici dei Medici. E sarebbe stato scolpito dopo l’uccisione del duca Alessandro il Moro, pugnalato il 6 gennaio 1537 dal cugino Lorenzino de’ Medici, detto Lorenzaccio, riverito come eroe della Libertas comunale dagli stessi esuli.
I ritratti dei potenti nella mostra di Michelangelo a Palazzo Vecchio a Firenze
L’allestimento nella Sala dei Gigli propone un insieme di ritratti di uomini e donne importanti, che ruotano intorno a quello di Michelangelo, gli zigomi sporgenti e lo sguardo penetrante, dipinto con il turbante all’età di 47 anni dall’amico Giuliano Bugiardini, collocato al centro della grande parete come astro sfolgorante.
D’impatto la quadreria dei dipinti che raffigurano Girolamo Savonarola di Fra’ Bartolomeo, o Pier Soderini, attribuito a Ridolfo del Ghirlandaio che riporta curiosi tratti somatici, come il naso lungo e leggermente aquilino, le folte sopracciglia e la bocca stretta dalle sottili labbra serrate.
C’è poi Cosimo I in armatura, dipinto da Agnolo Bronzino, che non guarda verso l’osservatore. L’espressione è determinata e comunica orgoglio e distacco. Il Duca indossa un’armatura metallica molto rifinita, che lascia libera solo la mano destra posata sull’elmo.
Le opere della Fondazione di Casa Buonarroti a Palazzo Vecchio a Firenze
Il percorso espositivo continua con le opere concesse dalla Fondazione Casa Buonarroti. Tra questi, vi un disegno il cui soggetto è un Torso di nudo di spalle, studio per la Battaglia di Cascina. L’affresco fu commissionato a Michelangelo, probabilmente nel 1504, dalla Signoria fiorentina per la Sala del maggior Consiglio (oggi Salone dei Cinquecento) di Palazzo Vecchio, dove Leonardo avrebbe dovuto dipingere – quasi a gara con il Buonarroti – la Battaglia di Anghiari. Le due opere, come si sa, non furono mai portate a termine.
Suggestiva, infine, è l’idea di una sorta di gipsoteca dedicata a Michelangelo, con calchi di alcune delle sue opere più notevoli: il calco del Bacco commissionato all’artista dal cardinale Riario, la riproduzione in gesso della Pietà Vaticana, realizzata a Roma per il cardinale Jean Bilhères De Lagraulas. Oppure la copia monumentale della testa del David di Piazza Signoria, i due Schiavi (il Barbuto e il Morente), la Notte delle Cappelle Medicee, una delle sculture scolpite per celebrare i duchi Medici, Lorenzo e Giuliano. Tra queste testimonianze indirette, anche una riproduzione sempre in gesso del Busto di Michelangelo, eseguita a partire dall’originale di Daniela da Volterra.
Fausto Politino
Libri consigliati:
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati